Infarto ed ictus minacciano le donne, i rischi da non sottovalutare

Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nella donna. La prevenzione può salvare la vita: sintomi e cosa fare

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 27 Settembre 2024 10:18

Non si riconoscono a dovere. E quindi sono sottodiagnosticate. Poi al momento delle cure, può accadere che vengano sottotrattate. Infine, per chiudere il cerchio, c’è sempre il rischio che negli studi per sviluppare nuovi approcci terapeutici per le malattie cardiovascolari le donne siano meno presenti. Il tutto, a fronte di un dato inequivocabile. Infarto, ictus e patologie di cuore ed arterie sono la prima causa di morte nella donna.

E bisogna ricordarlo per 365 giorni l’anno, in occasione della Giornata Mondiale del Cuore del 29 settembre. Anche perché le osservazioni scientifiche segnalano chiaramente come occorra particolare attenzione. A fare il punto sulla cardiologia di genere arriva un documento di consenso che ha visto riuniti specialisti, infermieri e pazienti che fanno parte della British Cardiovascular Society, pubblicato online sulla rivista Heart. Si tratta di un vero e proprio appello perché si focalizzi su una strategia in grado di puntare la prevenzione sulla donna, garantendo la parità di cure e migliorando i risultati in termini di sanità.

Donne più a rischio, lo dicono i numeri

Secondo quanto riporta il documento sull’aderenza alle terapie redatto dal Gruppo di lavoro dell’Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari sull’aderenza terapeutica, i numeri preoccupano. E molto. Le malattie cardio-cerebrovascolari, rappresentano la principale causa di morte anche nel nostro Paese.

Stando al documento, nel 2021, sono state responsabili del 30,8% di tutti i decessi. Pensate però alla differenza di genere. Si parla del 27,7% fra i maschi e del 33,7% fra le femmine. Riprendendo poi i dati Istat sempre per quell’anno ci sono stati poco meno di 220.000 decessi per queste cause (43,7% maschi e 56,3% femmine).

Se per l’infarto e le patologie ischemiche acute del cuore la prevalenza delle morti è nella popolazione maschile, per le altre malattie del cuore le donne rappresentano quasi il 60% delle morti, così come avviene per gli ictus. La quota di genere, purtroppo, vede ancora le donne prevalenti per le morti anche per le altre patologie legate alla circolazione.

Più attenzione alla prevenzione

Tornando alla pubblicazione inglese, poi, si vede che occorre puntare con sempre maggior forza sulla prevenzione. Pensate: come riporta una nota per la stampa, la dichiarazione segnala che i fattori di rischio convenzionali per le malattie cardiovascolari, come l’ipertensione e il colesterolo alto, spesso non vengono trattati in modo tempestivo o appropriato come negli uomini, nonostante rappresentino circa la metà di tutti i decessi prevenibili per malattie cardiovascolari. Il tutto, sempre secondo il documento, mentre si pensa ancora (sbagliando) che il rischio di malattie cardiovascolari delle donne sia inferiore a quello degli uomini.

“Questo è un errore grave – ha segnalato Stefano Carugo, Direttore del Dipartimento Area Cardio-Toraco Vascolare del Policlinico di Milano, in occasione della presentazione del progetto “Da Quore a Cuore”. E’ fondamentale che la prevenzione inizi fin da giovani, sia controllando regolarmente i valori dei fattori di rischio come il colesterolo LDL e la pressione sia soprattutto modificando eventuali stili di vita errati. Sono moltissime, ad esempio, le ragazze che fumano”.

Il ruolo del fumo di sigaretta nella definizione del rischio cardiovascolare appare diverso nel genere femminile: per le donne basterebbe infatti fumare un terzo delle sigarette dell’uomo per essere esposta al medesimo livello di rischio. Ma non basta. La sindrome dell’ovaio policistico può compromettere la salute cardiovascolare delle donne in età giovane tra i 30 e 40 anni, che presentano un rischio più alto rispetto alle coetanee che non hanno disturbi ovarici, essendo più soggette a sovrappeso/obesità, ipertensione, diabete, dislipidemia e sindrome metabolica. Infine, chi ha sofferto gestosi e di ipertensione durante la gravidanza presenta un rischio molto più elevato di far fronte a problemi cardiovascolari, così come accade a chi ha sviluppato diabete nella dolce attesa.

Cosa deve fare la donna

“Le donne devono prendere coscienza che non esiste solo il tumore al seno, ma che il nemico principale sono le malattie cardiovascolari, soprattutto negli anni dalla menopausa in avanti. – spiega Emanuela Folco, Presidente FIPC (Fondazione Italiana per il Cuore). Se vogliono continuare a essere il sostegno della famiglia devono prendersi cura della propria salute. Questo vuole dire seguire i consigli del proprio medico, ossia aderire a stili di vita salutari, aderire a controlli medici periodici, aderire alle prescrizioni mediche”.

È importante che le donne acquisiscano maggiore consapevolezza sul proprio rischio cardiovascolare perché, vivendo mediamente più a lungo degli uomini, dovrebbero preoccuparsi di una longevità in salute. E torniamo al fumo nelle teen-ager.

“Aggiungerei l’urgenza di parlare di prevenzione primaria e di un importante fattore di rischio  modificabile come il fumo tradizionale e non, soprattutto alle giovani donne – riprende l’esperta. Circa uno studente italiano su tre tra i 14 e i 17 anni (30,2%) ha fatto uso di un prodotto a base di tabacco o nicotina negli ultimi trenta giorni, tra sigarette tradizionali, elettroniche e tabacco riscaldato.

Tra le ragazze il consumo è in percentuale leggermente maggiore rispetto ai coetanei maschi. Quasi raddoppia rispetto all’ultima rilevazione 2022 in questa fascia d’età il policonsumo, cioè l’utilizzo contemporaneo di questi prodotti, che si attesta al 62,4%, rispetto a un precedente 38,7%. E’ quanto emerge da un’indagine sul consumo di tabacco e nicotina negli studenti nell’anno scolastico 2023-2024 del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità su un campione rappresentativo di 6012 studenti”

Non bisogna sottovalutare il rischio e curarsi bene

Il consiglio degli esperti è quindi chiaro. Per la donna è fondamentale riconoscere il proprio profilo di rischio, seguire (come per l’uomo) sane abitudini di vita (Carugo segnala come movimento regolare, alimentazione secondo le regole della dieta mediterranea, controllo del peso siano di grande importanza) e, se il medico lo consiglia, seguire trattamenti specifici. Con grande cura.

A parte le differenze di genere, considerando il problema del colesterolo LDL come esempio, solo il 43,6% delle persone in cura segue correttamente il trattamento, con un’adesione che tende a diminuire. Magari anche dopo un infarto. Passato il primo periodo di grande attenzione, c’è la possibilità di non assumere bene le cure.

Un esempio? Riflettiamo ancora sul colesterolo LDL. mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo “cattivo” LDL è vitale per prevenire nuovi eventi cardiovascolari ma a volte ci si dimentica di seguire con attenzione le indicazioni del curante.

Con l’approccio “colpisci presto, colpisci forte” si aiutano i pazienti a raggiungere tempestivamente i livelli raccomandati. Lo confermano i dati dello studio italiano AT TARGET-IT coordinato da Pasquale Perrone Filardi, Direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università “Federico II” di Napoli, Presidente SIC (Società Italiana di Cardiologia), pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology.

I dati, senza considerare il genere, mostrano che intervenire subito dopo l’infarto, già durante il ricovero, in modo intensivo con anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9, abbassa i livelli di LDL fino al 70%. Dall’analisi su 771 pazienti post-infarto trattati in 22 centri italiani con anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9, è emerso che questi farmaci sono ben tollerati, con il 90,9% dei pazienti che risultano aderenti allo schema terapeutico in 11 mesi. Questo risultato è significativo considerando che, secondo la letteratura scientifica, solo circa 5 pazienti su 10 (45,9%) a rischio molto alto e tre su dieci (30,2%) a rischio medio seguono regolarmente una terapia ipolipemizzante tradizionale, esponendosi così a un maggior rischio di complicazioni cardiovascolari.

Come detto, è un esempio. Ma fa riflettere. Pensiamo al cuore della donna. Per tutta la vita. magari ricordando l’ambizioso obiettivo della The Lancet Women and Cardiovascular Disease Commission, che pone l’obiettivo di ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile a livello globale entro il 2030. Si parte dal fatto che a tutt’oggi queste malattie rappresentano la prima causa di mortalità. E che la prevenzione può davvero salvare la vita.