Violenza sulle donne: “Contro abusi e stupri ci vuole la cultura del consenso”

La cultura del consenso sessuale contro la violenza sulle donne. Parla Tina Marinari, coordinatrice della campagna #IoloChiedo di Amnesty International Italia

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Pubblicato: 26 Settembre 2023 16:58

Secondo l’OMS (2021), nel mondo una donna su tre nel corso della sua vita subisce violenze fisiche e/o sessuali, principalmente da parte di un partner intimo. Il report Donne vittime di violenza, pubblicato dal dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno lo scorso marzo, ha evidenziato come in Italia si registri un trend in crescita per le violenze sessuali: dal 2020, anno nel quale si è registrato il dato minore (4.497), l’incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi (+33% dal 2020).

Di fronte a un fenomeno così allarmante, per produrre un profondo cambiamento culturale, creare consapevolezza sul concetto di consenso e aumentare l’accesso alla giustizia per le sopravvissute allo stupro in Italia, Amnesty International Italia rilancia la campagna #IoloChiedo e ricorda che per sostenere questo impegno, è possibile destinare il proprio 5×1000 nella dichiarazione dei redditi all’Organizzazione leader nel mondo per la tutela dei diritti umani.

Contro la disparità di genere, i pregiudizi e gli abusi sulle donne, serve sostituire la cultura dello stupro con la cultura del consenso sessuale, ci spiega Tina Marinari, coordinatrice della campagna #IoloChiedo di Amnesty International Italia.

Tina Marinari
Fonte: Ufficio stampa - Amnesty International
Tina Marinari

Abusi, stupri, femminicidi sembrano in aumento in Italia: è solo una percezione o è davvero così?
I dati raccontano un numero sempre più alto di violenza e a più livelli. Possiamo interpretare quest’aumento come una mancanza di impegno negli anni nell’affrontare in maniera seria e strutturata il problema della violenza contro le donne e la cultura dello stupro.

Negli anni Settanta le donne si sono battute per la parità di genere e per essere padrone del proprio corpo: oggi questa consapevolezza femminile è diminuita?
Difficile dare una risposta. Quello che posso dire rispetto agli incontri pubblici che facciamo o che organizziamo nelle scuole è che c’è una forte divisione. Abbiamo una parte anche tra le giovani generazioni che ha una forte consapevolezza e sensibilità su tutto quello che riguarda la parità, il rispetto, l’uguaglianza di genere, ma anche su tutto quello che riguarda l’orientamento sessuale, la scelta di vivere la propria sessualità in libertà. Dall’altra parte invece dove la cultura non riesce ad arrivare, questi temi sembrano essere lontani e non percepiti.

Dunque, la mancata parità di genere e la cosiddetta sottomissione della donna dipende essenzialmente da un fattore culturale?
Assolutamente sì. Per noi il punto di partenza è lavorare sull’educazione sessuale, sull’educazione sentimentale. Fin da quando siamo in tenera età bisogna che la parola “rispetto” per l’altra persona venga insegnata. Bisogna far capire che la persona di fronte a noi ha sempre un limite fisico e psicologico e questo va rispettato in ogni situazione, sia quando si chiede di andare a prendere un gelato insieme o ci si prende per mano quando si è alle elementari, sia quando siamo adulti e parliamo di avere un rapporto sessuale.

Il pregiudizio che persiste ancora molto forte si esprime perfettamente nella frase: ‘Guarda come ti sei vestita, ti sei meritata quello che è successo’…
Sì, il problema degli stereotipi è enorme. Abbiamo condotto delle indagini, anche nel 2019, e i dati sono sempre gli stessi del 2014. Vuol dire che in questi anni non è cambiato nulla. La maggior parte della società civile in Italia crede che una donna che è stata stuprata può evitarlo se vuole; pensa che una donna che ha subito uno stupro è in qualche  modo colpevole se era vestita in modo succinto o se ha bevuto, fumato qualcosa. E questo lo vediamo anche nel modo in cui ci vengono raccontati i fatti di cronaca. A volte sappiamo il colore della biancheria intima della donna ma non ci poniamo il problema di come quella persona abbia vissuto quella situazione, di come il suo corpo, il suo spazio siano stati invasi senza nessun rispetto.

#IoloChiedo è la campagna voluta da Amnesty International: qual è il suo obiettivo e come possiamo sostenere il progetto?
Abbiamo lanciato questa campagna tre anni fa. È stato scelto il nome #IoloChiedo, perché volevamo suscitare l’attenzione delle persone sperando si domandassero: ‘che cosa devo chiedere?’. E soprattutto: ‘che cosa devo rispondere?”. Ci siamo accorti infatti che in Italia la cultura del consenso sessuale non esiste. Quando parliamo di consenso, pensiamo a quello che diamo in ospedale o quello che diamo per l’utilizzo dei dati privati. Ma la parola consenso non è quasi mai associata al concetto di consenso sessuale.
La campagna ha due obiettivi principali: il primo quello di promuovere la cultura del consenso sessuale affinché possa prendere il posto della cultura dello stupro e quindi rendere assodato che il sesso senza consenso è stupro.
Il secondo obiettivo è quello di modificare il codice penale, in particolare l’articolo 609 bis, in cui non si fa riferimento al concetto di consenso ma solo ai concetti di abuso di autorità, minaccia e violenza. Noi chiediamo che il nostro codice penale sia adeguato alle richieste della Convenzione di Istanbul che appunto indicano l’inserimento della formula “a consenso esplicito”.

#IoLoChiedo Amnesty International
Fonte: Ufficio stampa - Amnesty International
La campagna di Amnesty International contro la violenza sulle donne

In concreto noi donne che cosa possiamo fare contro questa situazione di disparità?
Dovremmo alzare la voce, nel senso che le campagne di Amnesty International possiamo portarle avanti in grandi spazi, ma bisogna parlare e diffondere la cultura del consenso in qualsiasi momento di socialità, a pranzo, a un aperitivo, a un incontro con gli amici. Ovviamente oltre a tutto questo, se una persona lo desidera, può sostenere le nostre campagna con una firma al 5×1000 che è un gesto semplice ma fondamentale per noi.

Amnesty sostiene anche le donne che hanno subito violenza?
Non abbiamo centri, ma collaboriamo con organizzazioni come Dire o Differenza Donna per portare avanti la modifica della legge.