Dress code da ufficio: vietati gli eccessi. I look must have consigliati dalla stylist

La Personal Stylist, Paola Farina, ci guida nella scelta dei look di successo per l'ufficio e lo smartworking: sì a tailleur e cardigan. Bandite tute e magliette

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Sul posto di lavoro sussistono una serie di regole non scritte che costituisce il galateo del giusto look.  I codici di abbigliamento in azienda –  e non solo – sono molto importanti. Come mostra uno studio condotto dal Central College (Iowa, USA), il dress code adottato in un ambiente lavorativo ha un effetto diretto sul comportamento dei dipendenti e sulla loro produttività, oltre a essere un mezzo di identificazione del ruolo sia per chi indossa sia per chi interagisce.

Noi abbiamo chiesto a Paola Farina, Personal Stylist e Consulente d’Immagine, con 20 anni di esperienza nel campo della moda e della comunicazione e una formazione oltreoceano, di darci alcuni consigli sul perfetto look da ufficio e da smartworking.

In Una donna in carriera, Sigourney Weaver sentenziava: “Se hai un vestito brutto, notano il vestito; se indossi un vestito bello notano te”. Funziona davvero così?
Sì. Le prime impressioni si formano nei primissimi momenti di conoscenza di una persona, uno studio ha dimostrato che occorrono 2 secondi al cervello per elaborare il 50% dell’immagine di una persona. Nei restanti 4 minuti completerà il quadro. L’immagine mentale che ci siamo creati determinerà il modo in cui ci relazioneremo con quella persona. Ricordiamoci sempre che, come sosteneva Oscar Wilde, non avremo una seconda occasione di fare un’ottima prima impressione.
La comunicazione non verbale, quindi anche l’abbigliamento, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di una corretta prima impressione per circa il 90/95%. Questo perché, come spiega il professore Todorov dell’Università di Princeton, noi agiamo in base al cervello primitivo e non a quello razionale. Nel prendere decisioni ci affidiamo a delle scorciatoie: impressioni, sensazioni “di pancia”, stereotipi. Nel caso di decisioni che riguardano gli estranei, per esempio, la scorciatoia più semplice è appunto la prima impressione. Queste impressioni sono giudizi sugli altri, fatti alla svelta e sulla base di segnali superficiali come l’aspetto fisico.

Quali sono gli elementi da tener presente per scegliere il look giusto in ogni occasione?
Direi l’occasione, poi la nostra identità stilistica e ovviamente una buona consapevolezza della propria fisicità. Sui colori c’è meno rigidità, la moda ha ormai sdoganato quasi tutta la tavolozza.

Un esempio di look da ufficio per un ambiente formale e uno per un ambiente informale?
L’ambiente formale è quello in cui le gerarchie sono ben presenti, per esempio uno studio professionale, il top management o la finanza. Il completo giacca e pantalone per lui e giacca e gonna o pantalone per lei sono la scelta più indicata. Gli accessori giusti come una bella cravatta, scarpe pulite, una borsa rigida e un filo di perle completeranno il look. I colori scuri sono sinonimo di affidabilità e autorevolezza, ma oggi questo diktat è meno marcato, soprattutto il venerdì o se non sono previste riunioni importanti. Nell’ambiente informale le gerarchie ci sono, ma sono meno rigide, pensiamo per esempio a una scuola. In questo caso si potrà optare per dei pantaloni Chino e una giacca da portare su una camicia per lui, gonna e maglioncino per lei, per esempio.

Oggi che sempre più spesso si lavora da casa, cosa si deve indossare per un outfit decoroso?
Io consiglierei di non perdere di vista il fatto che anche se siamo da casa, nelle ore lavorative siamo comunque in ufficio. Bandite tute, tutone, felpe, magliette spiritose, top e gonne striminzite. La giacca potrebbe essere sostituita da un cardigan, la camicia da un twin-set. Per lui almeno la camicia. Fondamentale è l’igiene e il grooming, quindi capelli puliti, barba in ordine e trucco leggero.

In ufficio i tacchi sono sempre necessari? Ci potresti suggerire una valida alternativa?
In realtà no, soprattutto se non si è in grado di camminare e si arranca pericolosamente ad ogni passo. In genere sconsiglio i tacchi eccessivamente alti perché sono poco pratici, meglio il mezzo tacco. Nelle ultime stagioni sono tornati di moda i “kitty-heels”, 3/5 cm di stiloso piacere, facilissimi da gestire anche per chi non è abituato a indossarli. L’alternativa sono le ballerine, le stringate maschili o, negli ambienti molto creativi, babbucce e loafer.

Quali sono i capi essenziali in un guardaroba elegante?
In realtà dipende sempre dalla nostra identità stilistica, per chi è “drammatica” come Naomi Campbell sarà un abito ad effetto con strascico. Per chi ha uno stile più naturale come Julia Roberts, un raffinato capo firmato Armani. Direi che il LBD (Little Black Dress) è un salvavita, basta trovare il modello giusto per il proprio corpo. Poi io ci infilo sempre un bel cappotto di cashmere, un completo sartoriale in fresco di lana, scarpe e borsa di qualità, una blusa o una camicia di seta.

Qual è l’errore più grave in fatto di look da ufficio che possiamo commettere?
Basta girare qualche ufficio per rendersi conto che oggi, purtroppo, è stato sdoganato più o meno tutto. Direi comunque un make-up circense, unghie che paiono artigli, abiti troppo attillati e corti, accessori vistosi e una scarsa igiene. E naturalmente prendere troppo alla lettera il concetto di “casual Friday”.

Parlando di teste coronate al lavoro: preferisci di più lo stile di Kate Middleton, Letizia di Spagna o Meghan Markle?
Le adoro tutte e tre. Kate è per me l’incarnazione della forza di volontà. Da semplice borghese di buona famiglia si è trasformata in una splendida principessa, arrivando a fare quel salto qualitativo che Diana non è mai stata in grado di compiere. Elegante senza essere eccessiva, solare, sorridente, con una passione per la moda low-cost, praticamente è sempre perfetta grazie anche ai consigli dei suoi stylist. Meghan Markle è una vera e propria diva, infatti sta finalmente recitando la parte più importante di tutta la sua vita. Nello stile scimmiotta un po’ Kate, ma è più spontanea e più insofferente al protocollo di corte. Infine Letizia di Spagna è elegante, raffinata e bellissima. Un esempio perfettamente riuscito di come anche donne molto minute possano comunque indossare un po’ tutto. Permettimi di osare un quarto nome, Rania di Giordania. Nel mondo arabo non ha eguali, capace di mixare tradizione e stile senza sbagliare mai.

Infine, ci racconti del tuo lavoro: come e perché hai scelto di diventare personal stylist?
È una storia piuttosto lunga, io nasco come fashion stylist. Nel 2000 ho seguito uno dei primi corsi in Italia per diventare “fashion stylist e redattore moda” grazie a una borsa di studio offerta da Corriere Lavoro. Ho iniziato a collaborare con diverse testate come Fashion, case editrici e i nascenti portali online, da Mtv a Tgcom24 fino a Modaonline, Coin e luxgallery. Poi, sotto la guida di Ines Monti, ho seguito la sposa.
Dopo essermi laureata ho avuto la possibilità di spostarmi a Roma, dove ho condotto due programmi a tema per un canale satellitare RAI. Sono dovuta rientrare a Milano perché in quel periodo mio papà ha avuto alcuni problemi di salute. Per un po’ ho accantonato il mio lavoro da freelance, limitandomi a seguire solo piccoli progetti indipendenti, e ho trovato un impiego stabile prima in Sky e poi in Elsevier.
La decisione di tornare ad occuparmi di moda è nata nel 2012, quando in seguito a una riorganizzazione aziendale Elsevier ha tagliato diverse posizioni lavorative. Per un po’ ho cercato un lavoro simile, ma a 35 anni in Italia sei praticamente considerata “vecchia” per il mercato del lavoro o troppo ”costosa” per i risicati budget aziendali. Naturalmente la decisione non è arrivata subito, mi sono presa un po’ di tempo per capire cosa volessi fare. Un pomeriggio, facendo zapping, sono finita a guardare “The Zoe Project”, un reality sulla vita di Rachel Zoe, una stylist americana che si occupa di celebrity e lì è scattata la molla. Ho cercato informazioni online e trovato un corso al FIT di New York e poi alla UAL di Londra, dove mi sono specializzata in personal styling per individui e artisti emergenti e commercial & e-commerce styling per brand emergenti. Diciamo che il mio percorso è stato un ritorno alle origini, lo prendo un po’ come un segno del destino.

Paola Farina stylist
Fonte: Ufficio stampa
Paola Farina