Belladonna: proprietà, a cosa serve e come si usa

La belladonna è una pianta tossica, un tempo utilizzata in erboristeria e i cui principi attivi vengono usati ancora oggi a scopo terapeutico

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Tatiana Maselli

Erborista ed Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze e Tecnologie Erboristiche, ambientalista e appassionata di alimentazione sana, cosmesi naturale e oli essenziali, scrive per il web dal 2013.

Cos’è

La belladonna (Atropa belladonna) è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Solanaceae, la stessa di patate, peperoni, melanzane, pomodori e altre specie normalmente usate come alimenti.

La pianta della belladonna può raggiungere anche il metro e ottanta di altezza sviluppando fusti eretti, robusti e ramificati che portano grandi foglie ovali, acuminate e disposte in modo alterno. I fiori della belladonna sono campanule ascellari pendenti, di colore bruno violaceo e il frutto è una piccola bacca nera e lucida.

La belladonna è diffusa in Europa meridionale e la si trova allo stato spontaneo nelle zone montane e submontane, ai margini di boschi e nei terreni incolti.

Proprietà

La belladonna, come molte altre solanacee, contiene alcaloidi. Gli alcaloidi sono molecole spesso tossiche presenti in piante della stessa famiglia come il tabacco, lo stramonio e la mandragora. Nella belladonna è presente un alcaloide noto come atropina, oltre a piccole quantità di scopolamina, un altro alcaloide. Oltre agli alcaloidi, nella belladonna sono presenti flavonoidi, minerali e una cumarina nota con il nome di scopoletolo.

L’atropina e la scopolamina hanno attività parasimpatolitica e inibiscono dunque la fissazione dell’acetilcolina a livello degli organi periferici e del sistema nervoso centrale. Questa azione determina riduzione degli spasmi, aumento del ritmo cardiaco, vasodilatazione e broncodilatazione, inibizione di tutte le secrezioni (salivari, gastriche, lacrimali, bronchiali eccetera), paralisi dei muscolo ciliari e dei muscoli che contraggono l’iride con conseguente dilatazione delle pupille (midriasi).

Ad alti dosaggi, la belladonna provoca agitazione, disorientamento, allucinazioni e deliri.

A cosa serve e come si usa

In passato le foglie e le bacche di belladonna erano impiegate soprattutto per sopprimere le secrezioni corporee e per ridurre gli spasmi. Le preparazioni a base di belladonna trovavano impiego tradizionalmente per combattere la tosse secca, l’asma, l’iperacidità di stomaco, la stipsi e l’eccessiva sudorazione. A questo scopo la belladonna era somministrata oralmente sotto forma di tintura madre, polvere o estratto fluido.

Esternamente, pomate e unguenti contenenti estratti di belladonna erano usati per trattare le emorroidi e per dilatare le pupille. Questa sua ultima proprietà era sfruttata dalle donne durante il Rinascimento, che utilizzavano il succo spremuto dalle bacche per rendere gli occhi più affascinanti, usanza da cui deriva il nome della pianta.

A causa dell’elevata tossicità della belladonna, il suo utilizzo in erboristeria è stato praticamente abbandonato nel tempo. Si è infatti valutato che i rischi legati alla somministrazione di belladonna siano inferiori ai benefici e, di conseguenza, è stato vietato di utilizzare qualsiasi parte della belladonna (foglie, fiori, frutti, radici) nella realizzazione di integratori alimentari.

Sebbene la pianta non sia ammessa in queste preparazioni, l’atropina è invece ancora oggi utilizzata nei colliri impiegati nelle visite oculistiche per dilatare la pupilla e per paralizzare il muscolo che consente la messa a fuoco, così da rendere possibile esaminare l’occhio. Anche la scopolamina è utilizzata nell’industria farmaceutica, che la impiega per formulare farmaci antispasmodici, contro gli spasmi a carico dell’apparato gastrointestinale e di quello urinario. La scopolamina è anche utilizzata per preparare medicinali contro nausea e vomito.

Esternamente la belladonna è invece usata contro i dolori muscolari e articolari.

La belladonna è invece utilizzata nella medicina omeopatica per formulare granuli e gocce consigliati per svariati disturbi come mal di testa, allergie, infiammazioni di varia natura, problematiche della pelle, spasmi addominali e sintomi influenzali tra cui febbre, tosse e raffreddore. Occorre sottolineare che ad oggi non esistono prove sufficienti sull’efficacia della medicina omeopatica e che i rimedi di questo tipo potrebbero agire semplicemente grazie all’effetto placebo.

Controindicazioni ed effetti collaterali

A dosi terapeutiche, gli alcaloidi della belladonna in genere non hanno effetti collaterali rilevanti se non in caso di glaucoma, ipertrofia della prostata e insufficienza cardiaca, situazioni in cui l’uso di tali principi attivi sono controindicati. La belladonna non deve inoltre essere impiegata in gravidanza, allattamento e nei bambini, nemmeno esternamente.

Per quanto riguarda la pianta della belladonna, tutte le parti della pianta risultano altamente tossiche. Se ingerite, le foglie e le bacche causano inizialmente problemi digestivi, tachicardia, secchezza delle mucose, midriasi e altri sintomi, fino ad arrivare a crisi convulsive, coma e morte. Atropa, il nome della pianta, deriva non a caso da Atropos, che nella mitologia greca è la Parca che taglia il filo della vita. Particolarmente pericolose sono le bacche, la cui ingestione può portare alla morte anche in piccole quantità. Per un adulto il consumo di 10-15 bacche risulta fatale, mentre nei bambini bastano solo due o tre bacche. Bisogna dunque porre grande attenzione durante le passeggiate, soprattutto verso i i più piccoli, che possono essere facilmente attratti dalle bacche nere e lucide di belladonna.