Paolo Crepet, sociologo e provocatore per eccellenza, ha lanciato un duro affondo a Belve, il programma condotto da Francesca Fagnani che cattura milioni di telespettatori ogni settimana. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Crepet non ha avuto alcuna remora nel definire la trasmissione “disperazione allo stato puro”, senza alcuna indulgenza verso la formula che l’ha reso tanto popolare.
Non invitato mai in trasmissione, Crepet non si è mostrato interessato a ricevere nemmeno un futuro invito. La sua analisi è impietosa: Belve non è solo uno show di intrattenimento, ma una riflessione amara sulla società e sulla sua ossessione per il dolore altrui.
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Perché Belve non è il programma che Crepet vuole vedere in tv
La vera critica di Crepet non riguarda tanto, ovviamente, la conduttrice, quanto il meccanismo dietro la trasmissione. La trasmissione, secondo lui, è incentrata sull’umiliazione e sull’esplorazione delle fragilità degli ospiti. “Perché la gente è disperata” spiega, suggerendo che Belve non offre altro che un giostra di sofferenze, con l’unico scopo di far divertire chi guarda. La sensazione è quella di un circo in cui si gettano, a forza, i protagonisti sotto il riflettore, per poi farne carne da macello. La ricerca dell’umano è quasi assente, e Francesca Fagnani, per quanto affabile, non riesce a fare da schermo alla brutalità del gioco.
Il cambio di rotta della tv: da “trash” a “animalesca”
Crepet, affondando ulteriormente il colpo, paragona Belve ai programmi che si definivano “trash”. A suo dire, questa evoluzione non è altro che l’inizio di una televisione sempre più crudele. “Si chiamano ‘Belve’ e ‘Iene’ ora”, rimarca. La tv, in passato più ironica e quasi autoparodica, è ora diventata una piattaforma dove la vulnerabilità e la sofferenza sono il carburante principale, una tv che sembra nutrirsi delle debolezze umane come un predatore affamato.
Un invito alla riflessione sull’umanità
Se l’interesse dei telespettatori di Belve fosse davvero di tipo umano, Crepet sarebbe disposto a parlarne. Ma, come ci spiega, non si tratta mai di analizzare un evento in profondità. “Se avessi Giorgia ospite, invece di parlare della sua carriera, mi concentrerei sul suo dolore”, commenta, descrivendo la superficialità con cui la tv attuale affronta anche le tragedie più intime. La tv di oggi, e in particolare quella di Francesca Fagnani, riduce gli esseri umani a semplici oggetti su cui riflettere momentaneamente, senza nulla di sostanzioso da dire. Che fine ha fatto la ricerca di un significato più profondo?
La tv di oggi: tra critica e evoluzione, riflessioni su Belve e oltre
Le parole di Paolo Crepet su Belve aprono uno spunto interessante di riflessione su come oggi consumiamo la televisione, in particolare quella che si nutre della sofferenza altrui. Non c’è dubbio che alcuni spezzoni del programma sembrano voler mettere alla gogna gli ospiti, facendo emergere le loro fragilità come se fossero pezzi di carne da esibire. La Fagnani, a volte, può sembrare davvero una “bulla” a primo acchito, pronta a scovare il punto più debole dei suoi interlocutori per esibire quel dettaglio che li riduce a umani imperfetti, tanto più interessanti da “spiare”.
Ma non tutti gli ospiti vengono trattati con la stessa durezza. Non tutte le interviste sono una corsa alla gogna, anche se quelli sono gli spezzoni che più colpiscono il pubblico e, inevitabilmente, fanno notizia.
Ed è proprio su questa rappresentazione selettiva che ci fermiamo a riflettere. Perché Belve diventa l’incarnazione del male, quando in realtà molti altri programmi, come Verissimo, Domenica In, e anche la stessa La Volta Buona, sono esattamente sulla stessa lunghezza d’onda? Il trucco è lo stesso: trattare i protagonisti come esseri umani prima che come artisti, esplorare la loro vita, toccare corde intime. Ma mentre per Belve la critica è feroce, per gli altri show, in qualche modo, la cosa viene accettata come normale, quasi ovvia, proprio per l’assenza di un intervistatore-belva.
Poi c’è il tema del “prima era meglio”. Non è che tutto ciò che arriva dopo debba essere bollato come il decadimento dell’arte e della cultura, come se la televisione fosse diventata la discarica della nostra società. Non possiamo giudicare il presente con l’occhio del passato. Sì, oggi c’è un altro tipo di cultura, più rapida, a volte più superficiale, ma sicuramente anche più accessibile. Ma non possiamo nemmeno ignorare che il mondo della televisione sta cambiando, adattandosi al nostro modo di consumare l’intrattenimento. Ed è legittimo che a volte, sì, si faccia fatica a vedere la bellezza in mezzo a tutta questa immediatezza.
Guardiamo, per esempio, alle gloriose commedie degli anni ’70 e ’80 che hanno fatto la storia del cinema italiano. Oggi, quei capolavori della commedia italiana verrebbero spesso bollati come maschilisti e razzisti, come già accaduto peraltro, intrisi di cultura woke che ha troppo spesso lati negativi. Ma lo stesso accanimento con cui ci guardiamo indietro non possiamo applicarlo alla televisione di oggi, perché ogni epoca ha il suo linguaggio, i suoi codici, le sue zone d’ombra. Se continuiamo a guardare all’oggi con gli occhi del passato, rischiamo di fare lo stesso errore di chi, magari troppo presto, ha dimenticato il contesto in cui certe storie venivano raccontate. E sì, Belve è un esempio estremo, ma non è l’unico. E non sempre è il più colpevole.