Kim Kardashian, eleganza sobria in tribunale: il look total black per l’udienza

Kim Kardashian torna a Parigi per affrontare in tribunale chi l’ha rapinata nel 2016: il suo look total black è un manifesto di forza e sobrietà

Foto di Ilaria di Pasqua

Ilaria di Pasqua

Lifestyle Editor

Nata a Carpi, si laurea in Fashion Culture and Management. La sua avventura nella moda comincia come Producer, ma nel 2020, con coraggio, diventa Web Editor, fonde stile e scrittura con amore.

Pubblicato: 13 Maggio 2025 17:44

Sfila come in passerella, ma stavolta davanti a una corte. Kim Kardashian varca le soglie del Palais de Justice di Parigi con passo lento e vestita di nero. Niente red carpet, niente flash da Met Gala. A quasi nove anni dalla rapina che ha segnato un punto di svolta nella sua vita, la star torna nella capitale francese per testimoniare contro chi l’ha privata – in una notte – di gioielli, sicurezza e innocenza. Ma stavolta, il linguaggio è tutto nel taglio del tailleur.

Kim Kardashian, un tailleur nero come scudo

Kim Kardashian ha scelto il nero per raccontare il trauma. Un abito sartoriale dalla linea affilata, costruito con rigore: giacca dal taglio peplum che scolpisce il punto vita, gonna lunga con spacco posteriore e décolleté a punta in suede. Ogni dettaglio sembra studiato per dire molto senza dire troppo. La scollatura profonda bilancia l’essenzialità delle linee, mentre il collier di diamanti – abbagliante ma contenuto – rievoca proprio ciò che è stato portato via quella notte.

I capelli raccolti in uno chignon ordinato, le ciocche frontali lasciate libere a incorniciare il volto, gli occhiali da sole neri firmati Alaïa e gli orecchini luminosi completano l’ensemble. La scelta è chiara: un’eleganza composta, senza eccessi. Una dichiarazione visiva di forza e controllo, anche in un contesto emotivamente devastante. Il nero è l’unico colore possibile, perché qui, a parlare, sono la postura e la memoria.

Kim Kardashian
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Kim Kardashian

“Pensavo che mi avrebbero uccisa”: il racconto choc in aula

Sotto il profilo severo del completo si cela una donna ferita. In aula, Kim Kardashian racconta ogni dettaglio della rapina subita nell’ottobre 2016 in una suite dell’Hôtel de Pourtalès durante la Paris Fashion Week. “Ho assolutamente pensato che sarei morta”, ha dichiarato davanti ai giudici. Cinque uomini mascherati fecero irruzione nella sua camera, la trascinarono via, la legarono con fascette di plastica e le puntarono una pistola alla tempia.

La star ha raccontato che, indossando solo un accappatoio, è stata completamente esposta quando uno degli uomini glielo ha strappato. “Ero sicura che mi avrebbe violentata. Invece mi ha chiuso le gambe e le ha legate con del nastro adesivo”. In lacrime, Kim ha ricordato di aver supplicato i rapinatori: “Ho dei bambini. Devo tornare da loro”. Ha detto una preghiera. Si è preparata al peggio.

Il terrore più grande era che a trovarla morta sarebbe stata Kourtney, la sorella, di ritorno poco dopo. “Pensavo che mi avrebbero sparato sul letto. Che lei mi avrebbe trovata così. Con quell’immagine impressa per sempre”. Quando i rapinatori sono fuggiti, Kim è riuscita a liberarsi, a raggiungere la stanza della stylist Simone Harouche – amica d’infanzia e testimone al processo – e a cercare riparo.

Kim Kardashian
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Parigi non è più la stessa: la vita dopo il trauma

Quel 3 ottobre ha cambiato tutto. Parigi, che fino ad allora era “magica” per Kim, è diventata un luogo carico di ombre. “Amavo passeggiare da sola alle tre del mattino, bere una cioccolata calda, fare shopping. Mi sembrava sicuro. Ora ho tra i quattro e sei bodyguard ovunque vada”. Anche nella sua casa di Los Angeles, la sicurezza è diventata un’esigenza quotidiana. “Non riesco più a dormire senza”, ha ammesso.

Durante il processo, la testimonianza della stylist Simone Harouche ha confermato la portata del trauma: “Non l’ho mai vista in quello stato. Urlava, piangeva, diceva ‘dobbiamo saltare dalla finestra’”. Simone ha lasciato il mondo delle celebrity e oggi fa interior design: “Non volevo più rischiare la vita per quel lavoro”.

In aula, anche uno dei rapinatori, Yunice Abbas, ha chiesto perdono. “Mi pento. Non perché sono stato preso, ma per il trauma causato”. Il presunto capo della banda ha scritto una lettera a Kim: “Mi dispiace profondamente”. Lei ha risposto: “Lo perdono. Ma non cambia ciò che provo”.

Quasi dieci anni dopo, Kim Kardashian ha avuto il coraggio di tornare a Parigi. Ha raccontato la sua verità. Ha camminato tra fotografi e gendarmi senza vacillare. Non con un post. Non con una diretta. Ma con la sola potenza del nero assoluto, tagliato come un’armatura. E con le parole giuste, finalmente ascoltate.