“Sindrome da odore di pesce”: cos’è e come si affronta

Si chiama trimetilaminuria o sindrome da odore di pesce, è una malattia metabolica molto rara che può avere un forte impatto sulla qualità della vita

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Ogni giorno, innumerevoli enzimi ci consentono di metabolizzare e smaltire le sostanze che introduciamo. Come segnalano gli esperti dell’Osservatorio malattie Rare, molte patologie sono legate proprio alla carenza o all’assenza totale di uno di questi sistemi di pulizia. E quando il corpo non dispone di un sistema per “ripulire” da quanto andrebbe eliminato, ovviamente la sostanza si mantiene al suo interno e viene rilasciata per vie non propriamente ottimali.

Nasce in questo modo la trimetilaminuria, TMAU, o sindrome da odore di pesce: si tratta di una malattia metabolica dovuta all’incapacità del nostro corpo di produrre un enzima che deve smaltire una sostanza presente in molti cibi, soprattutto pesce e crostacei. Se l’enzima manca la trimetilammina viene rilasciata attraverso sudore, urine e respiro che acquisisce così un caratteristico odore sgradevole, da cui il nome evocativo di “Sindrome da odore di pesce”.

Cosa succede?

Come spiega allo stesso Osservatorio Malattie Rare Valentina Rovelli, Pediatra metabolista dell’Equipe Medica dedicata alla cura e assistenza dei pazienti affetti da Malattie Metaboliche presso la Pediatria dell’Ospedale San Paolo di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo, diretta da Giuseppe Banderali, “La TMAU consiste in un difetto genetico ereditario dovuto a mutazioni a carico del gene FMO3”.

Sia chiaro: non si tratta di una situazione pericolosa sotto l’aspetto medico, come invece purtroppo accade in altre malattie legate a deficit enzimatico, ma può ovviamente avere un impatto molto significativo sulla qualità di vita. “L’odore emanato dai soggetti affetti può essere percepito dagli altri come fortemente fastidioso, portando i pazienti che ne soffrono ad essere isolati, talvolta emarginati e quindi soggetti al rischio di sviluppare patologie psichiatriche quali depressione, disturbi d’ansia o dell’umore e analoghi – fa sapere l’esperta.

Non sempre i pazienti ne risultano consapevoli, non sempre percepiscono il disturbo come tale magari non gli è mai stato segnalato, magari la famiglia ne risulta talmente abituata che non vi fa caso. Questo può far sì che, una volta superato il contesto familiare, all’ingresso in società, il soggetto affetto si trovi improvvisamente a fare i conti con un isolamento inatteso, dal suo punto di vista inspiegabile, possibilmente quindi foriero di difficoltà di accettazione e comprensione dei relativi meccanismi di sviluppo. L’inconsapevolezza, in questi casi, può risultare controproducente: comprendere il proprio stato di malattia può permettere agli individui affetti di mettere in atto tutta una serie di provvedimenti specifici, soprattutto alimentari che, ove guidati in modo corretto da un adeguato team di medici e dietisti, risultano in grado di ridurre se non talvolta del tutto eliminare la problematica”.

Attenzione nell’adolescenza

Il quadro varia ovviamente da caso a caso. “Ci sono persone che emanano odori lievi – chiarisce Rovelli – e solo in seguito all’assunzione di determinati cibi. La crescita, con le variazioni ormonali ad essa connesse, può risultare un fattore trigger nello scatenare in modo più accentuato tali manifestazioni. Soprattutto il periodo dell’adolescenza può risultare determinante: periodo peraltro estremamente delicato proprio per lo sviluppo psicosociale. È proprio per questa ragione che ancor più in un periodo tanto delicato risulta fondamentale saper identificare, diagnosticare e trattare questa patologia, prima che l’eventuale isolamento sociale che ne può conseguire possa determinare danno sulla vita del paziente affetto”.

Va detto che si tratta di una condizione molto rara, che va studiata con grande attenzione. E che non deve diventare “invisibile” visto il peso del quadro sulla qualità di vita di chi presenta il deficit enzimatico.  “Attualmente non esiste un registro di patologia – aggiunge Rovelli – e i pazienti italiani ai quali la diagnosi è stata confermata geneticamente ci risultano essere nell’ordine di poche decine. Presso il nostro centro di recente è stato però registrato un notevole incremento di richieste di consulenza a questo proposito, forse anche grazie a internet e al fatto che se ne parli sempre più di frequente.

Per questa ragione abbiamo deciso di implementare i servizi già ad oggi presenti presso la nostra struttura, realizzando un percorso dedicato ai pazienti affetti da trimetilaminuria, fatto di un team multidisciplinare di medici e dietisti che stanno sempre più approfondendo questa malattia metabolica, al fine di fornire un servizio sempre più efficace e in grado di significativamente migliorare l’outcome (cioè l’esito) clinico del paziente”.  Per informazioni e per una presa in carico completa del paziente segnaliamo che presso il Laboratorio di Genetica del San Paolo è possibile effettuare l’indagine genetica per la conferma diagnostica, previa consulenza presso l’Ambulatorio di Malattie Metaboliche Congenite.