Il 2 giugno si celebra il World Eating Disorders Action Day, la giornata mondiale d’azione sui disturbi alimentari. Siamo di fronte ad un problema molto diffuso. In Italia si stima che siano 3,5 milioni di persone con disturbi alimentari, come anoressia, bulimia, binge eating, ecc. Si tratta di numeri in forte aumento.
“La pandemia da Covid-19 ha determinato un aumento del 30% di questi disturbi, con gravi ripercussioni sulle famiglie, che, disarmate, si trovano a fronteggiare i disagi dei propri figli causati dalla riduzione significativa dei contesti di socialità – segnala Laura Dalla Ragione, psichiatra, fondatrice della Rete DCA Umbria 1 e del numero verde SOS DCA, Presidente del Comitato scientifico della Fondazione Ananke di Villa Miralago. Nel corso del 2024 le richieste di aiuto pervenute al numero verde SOS DCA istituito dalla Presidenza del Consiglio sono più che triplicate”.
Stando all’ultimo censimento dell’Istituto Superiore di Sanità, le 214 strutture sul territorio nazionale (79 sono al Nord, 34 al Centro Italia e 51 tra Sud e Isole), anche se in lieve aumento, risultano purtroppo ancora non sufficienti a rispondere a tutti i bisogni. Intanto, sul fronte della scienza e dell’assistenza, si moltiplicano le conoscenze e le iniziative.
Indice
Il peso del clima e dell’ambiente sui disturbi del comportamento alimentare
Il concetto di One Health definisce come la salute dell’uomo, la salute del pianeta e il benessere animale siano fortemente interconnesse e quindi un pianeta “malato” può influenzare negativamente la salute dell’uomo e viceversa, così come elementi comuni possono essere causa sia di minaccia alla salute del pianeta, che alla salute dell’essere umano.
In tale contesto, il cibo, probabilmente più di ogni altro elemento, rappresenta un fattore chiave che funge da ponte tra il benessere della Terra e quello dell’uomo. Infatti, l’aumento delle temperature dovuto all’emissione dei gas climalteranti, la perdita di biodiversità, l’esaurimento delle risorse naturali, l’eutrofizzazione delle acque, la scarsità idrica e molte altre problematiche, trovano nel sistema alimentare attuale una delle cause maggiori.
Sistema alimentare che è, allo stesso tempo, anche co-responsabile del triplo onere della malnutrizione, ovvero la presenza a livello mondiale di malnutrizione per difetto, per eccesso (sovrappeso e obesità) e per deficit selettivo di micronutrienti.
Ma questi elementi, che rappresentano minacce per il pianeta, potrebbero influenzare anche lo stato di salute mentale delle persone. La letteratura su questo argomento, più che mai in forte crescita, ha evidenziato che le problematiche legate ai cambiamenti climatici sono state associate, ad esempio, a distress psicologico, incremento del rischio di ospedalizzazione per patologie psichiatriche, aumento di mortalità tra le persone con una storia personale di malattia psichiatrica.
Ancora poco esplorato nella letteratura disponibile è il rapporto tra cambiamenti climatici e Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA). Tuttavia, l’incidenza crescente dei DNA e il tema più che mai attuale dei cambiamenti climatici, accanto al ruolo del cibo come ponte tra salute dell’uomo e del pianeta Terra, impongono delle riflessioni in merito.
Al Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), è stato presentato lo studio coordinato da Simona Bo, dell’Università di Torino e consigliere SINU, che ha visto il coinvolgimento anche dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e dell’Università Sapienza di Roma, che mira a identificare la possibile connessione tra il rischio di sviluppo di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e le eco-preoccupazioni, ovvero quella sfera di emozioni associate ai cambiamenti climatici.
“La ricerca ha mostrato come vi sia una connessione tra la presenza di eco-emozioni, come l’eco-ansia e l’eco-colpa, e il rischio di sviluppo di un DNA – segnala Andrea Devecchi, Medico specialista in Scienza dell’Alimentazione, dottorando interateneo UNITO-UNISG e membro del Gruppo SINU Giovani.
Nel dettaglio sono state coinvolte 880 donne ed è stata mostrata una correlazione tra i due fenomeni, che è stata confermata anche in un modello di regressione multiplo aggiustato per numerose variabili come età, l’indice di massa corporea, livello di educazione etc. Inoltre, dallo studio è emersa un’associazione inversa tra l’età dei soggetti e tutte le eco-emozioni prese in esame.
“Infine, tale relazione è risultata significativa anche per quanto concerne l’ortoressia nervosa, la condizione di chi mostra una preoccupazione eccessiva e ricorrente riguardo l’alimentazione sana e la qualità del cibo”.
La visita “sospesa”
Come detto, l’accesso alle strutture può non essere semplicissimo. Quindi nascono iniziative per agevolare le persone che magari avrebbero difficoltà a trovare risposte considerando che più passa il tempo e più la patologia si aggrava. È per questo che la Fondazione Ananke di Villa Miralago rilancia il progetto “Terapia sospesa” ideato dall’Associazione Ananke Family APS, che si occupa attivamente di prevenzione e informazione sui disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e fornisce sostegno ai familiari di pazienti con tali disturbi.
“L’idea di questo progetto nasce dalla tradizione napoletana del ‘caffè sospeso’ – spiega Cinzia Fumagalli, Presidentessa di Ananke Family. Questa usanza iniziò durante la Seconda Guerra Mondiale, quando, in tempi molto difficili, la gente era solita pagare due tazze di caffè: una per se stessa, ed una per chi non poteva permetterselo.
Lo scrittore e filosofo Luciano De Crescenzo, nel libro intitolato, appunto Il caffè sospeso ha scritto: ‘Quando qualcuno è felice a Napoli, paga due caffè: uno per se stesso, ed un secondo per qualcun altro. È come offrire un caffè al resto del mondo’. La tradizione del ‘caffè sospeso’, quindi rappresenta l’umanità, l’incredibile sentimento dell’amore, della compassione, della comprensione e di tutti gli altri sentimenti positivi che non dobbiamo mai dimenticare. La ‘terapia sospesa’ segue la stessa logica di gesto solidale, ma può salvare delle vite”.
Secondo Laura Dalla Ragione, psichiatra, fondatrice della Rete DCA Umbria 1 e del numero verde SOS DCA, Presidente del Comitato scientifico della Fondazione Ananke di Villa Miralago – Nel corso del 2024 le richieste di aiuto pervenute al numero verde SOS DCA istituito dalla Presidenza del Consiglio sono più che triplicate”.
Occhio alle diete facili
Sul fronte dell’alimentazione, gli esperti segnalano quanto e come sia importante procedere lungo un percorso su misura, senza cercare soluzioni facili che magari promettono risultati rapidi attraverso regole semplici, spesso rigide.
“L’aspettativa è che con queste diete il cambiamento sia facile, rapido e risolutivo – spiega Giuseppe Magistrale, co-founder e CEO di Lilac-Centro DCA – Ma non sarà così. E la disillusione che segue è spesso più dannosa del punto di partenza. La letteratura descrive questo schema come sindrome della falsa speranza. La ricerca clinica, poi, mostra da tempo come la dieta – intesa come restrizione strutturata e protratta – è il primo fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo alimentare. Non è l’unico, ma è spesso il punto di partenza, soprattutto in soggetti predisposti o vulnerabili.”
Per fare chiarezza, con un approccio scientifico, in questo panorama variegato di regole alimentari disfunzionali ci ha pensato Lilac-Centro DCA, digital health tech startup – prima realtà in Italia nata con l’obiettivo di creare un modello innovativo per il trattamento dei disturbi alimentari – in occasione del World Eating Disorders Action Day, la giornata mondiale d’azione sui disturbi alimentari con una guida che ha l’obiettivo di sfatare i miti ma soprattutto mettere in guardia sui rischi psicologici che si celano dietro questi regimi alimentari modaioli.
Come segnala Filippo Perotto, co-founder di Lilac-Centro DCA “i primi giorni producono spesso una perdita di peso visibile, una sensazione di ordine e un senso di padronanza sul corpo. Questa esperienza funziona come un potente rinforzo positivo. Ma quando il peso si stabilizza, la restrizione diventa insostenibile e la vita sociale ne risente, subentra la frustrazione. A questo punto invece di mettere in discussione il metodo, molte persone incolpano se stesse e ripartono con una dieta ancora più restrittiva. Questo ciclo – entusiasmo, euforia, fallimento, colpa, nuova dieta – è ben noto in ambito clinico, e può essere la porta d’ingresso a un disturbo alimentare conclamato”.