Disturbi dell’alimentazione, quanti ne esistono e quante persone colpiscono

Il numero delle persone che soffrono di disturbi dell'alimentazione è in aumento: chi sono i soggetti a rischio e come intervenire

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non pensate solamente all’anoressia. I disturbi del comportamento alimentare, spesso riportati con la sigla DAN, sono davvero tanti. Ed assumono caratteristiche diverse. Lo ricordano gli esperti della SINU – Società Italiana di Nutrizione Umana, in occasione della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, che si celebra il 15 marzo.

Quanto pesano i disturbi dell’alimentazione e della nutrizione

I DAN – i più noti sono anoressia, bulimia, binge eating – sono in costante aumento, anche per quanto avvenuto in tempo di pandemia Covid-19. Queste patologie affliggono nel mondo 55 milioni di persone. In Italia sarebbero invece tre milioni e mezzo le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare nelle diverse forme. Più o meno il 5% della popolazione italiana.

Dal 2019 c’è stato un aumento dell’incidenza dei casi del 147%, complice la pandemia da Covid 19. L’età di esordio di questa patologia è in diminuzione, mentre la diffusione nella popolazione maschile è in aumento, due pazienti su dieci hanno meno di 14 anni, due pazienti su dieci tra i 12 ed i 17 anni sono di sesso maschile, secondo i dati aggiornati al 2023.

Le diagnosi più frequenti sono state nel 2022 il 36% di anoressia, il 18% di bulimia ed il 12 % di binge eating. Durante la pandemia si è riscontrato il 48% di ricoveri per DAN, il 60% dei pazienti hanno riportato un peggioramento dei comportamenti alimentari restrittivi, il 32% sono i pazienti che hanno riportato un aumento delle abbuffate, mentre il 12% dei pazienti hanno avuto un aumento delle strategie compensatorie.

Purtroppo questi problemi non sono limitati semplicemente ad abitudini scorrette legate al cibo, ma possono avere complicanze mediche, che possono portare anche alla morte. Per questo richiedono un trattamento specifico e la collaborazione tra diverse figure professionali, che si occupino in modo integrato di questi diversi aspetti, psicologico-psichiatrici, nutrizionali e medico-internistici.

Come diffondere la giusta conoscenza

 Prevenire questa malattia, che riguarda moltissimi pazienti e sconvolge le loro famiglie, informando tutti coloro che possono essere coinvolti, è il primo passo da compiere. È fondamentale trasferire corrette informazioni alla rete di relazioni di questi giovani (famiglie, amici, insegnanti, istruttori di palestra, ecc.) per l’identificazione tempestiva di questi disturbi.

Ad esempio, una particolare attenzione verso l’aspetto fisico o l’alimentazione possono nascondere una situazione di disagio psicologico e rappresentare un campanello d’allarme. Per promuovere la salute intesa come pieno benessere psico-fisico anche nella fascia di popolazione più giovane, il Gruppo di Lavoro SINU – Education, coordinato da Matilde Borriello, ha dedicato diversi progetti mirati alla formazione degli insegnanti ed alla diffusione nelle scuole di ogni ordine e grado dei documenti di riferimento come i LARN, formulati dalla Società Scientifica, organizzando attività di divulgazione, formazione e aggiornamento.

Giovani atleti e non solo

Una categoria particolare a rischio di sviluppare disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono i soggetti che praticano attività sportiva e gli atleti a ogni livello di competizione. Infatti, una particolare attenzione all’immagine e alle forme corporee, il dover rimanere in una specifica categoria di peso, il dover indossare uniformi o costumi, così come la pressione derivante dal raggiungimento della vittoria, possono essere fattori scatenanti per un disturbo alimentare.  In goni caso, siamo di fronte ad una vera e propria patologia. Per cui il riconoscimento ed il trattamento precoce sono fondamentali per aiutare i soggetti colpiti.

Tuttavia, a differenza di altre situazioni, spesso il soggetto affetto non percepisce il disturbo come malattia e non accetta di intraprendere un percorso di cura, pensando che una “dieta” o anche un’attività fisica esasperata possa portare alla risoluzione del problema. In Italia è ancora troppo scarsa l’attenzione ai segnali di disagio psicologico e tuttora si assiste alla stigmatizzazione nei confronti di chi necessita e richiede un aiuto psicologico-psichiatrico.

I disturbi del comportamento alimentare sono una patologia complessa – spiega Livia Pisciotta, membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Nutrizione Umana. Sono classificati come una malattia psichiatrica per cui devono essere diagnosticati prioritariamente dallo psichiatra e trattati da equipe multidisciplinari, in quanto comportano come conseguenze patologie importanti, che possono compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico, ecc.) e, nei casi gravi, portare alla morte. Una volta identificato il problema è indispensabile, quindi, un approccio multidisciplinare ed integrato e garantire la continuità delle cure, che possono durare anni o anche tutta la vita”.

Per la vigoressia, una rete tra cuore, intestino e cervello

Per chi soffre di bigoressia o vigoressia l’obiettivo è continuare a muoversi per apparire sempre più forte e robusto, con fasci muscolari invidiabili e, al contempo, con la percezione errata che le persone vedano la persona sempre gracile. Una ricerca molto ardita ha definito cosa può accadere quando si verifica questo quadro, che va sempre affrontato con il giusto aiuto sul fronte psicologico e nutrizionale, in termini di “messaggi” che gli organi interni inviano al cervello.

Proprio questo continuo e impercettibile scambio di “idee” intangibili, sotto forma di segnali nervosi, sarebbe infatti un possibile meccanismo neurobiologico che aiuterà forse ad affrontare la situazione. Ad aprire questa “finestra” è un’originale ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Cortex, condotta dagli esperti dell’Università Anglia Ruskin. Stando allo studio, cuore, intestino e cervello sarebbero in costante collegamento anche sotto l’aspetto dei messaggi che si scambiano di continuo.

In particolare, studiando adulti sani, gli studiosi hanno visto che risposte cerebrali più deboli agli stimoli in arrivo a intestino e cuore sono risultate associate ad una maggior percezione di un corpo che non “piace” e quindi anche di ansie per il peso. Insomma: anche un’alterazione di queste vie di comunicazione potrebbe contribuire a spiegare non solo quanto ci “piace” il nostro corpo ma anche influire sulla percezione che ne abbiamo. E non solo per la vigoressia, ma anche per altri potenziali disturbi del comportamento alimentare.

I pericoli della stressoressia

La “stressoressia” colpisce soprattutto le donne tra i 25 e i 45 anni. Può portare da un lato a dimenticarsi letteralmente di mangiare o di consumare cibi in quantità insufficiente ed in tutta fretta, con il risultato di perdere peso e magari sentirsi ancora più in forma, anche se il corpo soffre. Oppure, in altre situazioni, può condurre ad un’alimentazione insufficiente intervallata da episodi di “binge eating”, vere e proprie abbuffate che portano a introdurre migliaia di calorie in un unico pasto. I rischi sono maggiori per la classica donna “multitasking”, che vuole essere al contempo moglie perfetta, madre che non dimentica mai i figli, figlia che assiste i genitori e soprattutto leader sul lavoro, con il risultato di trovarsi a dimenticare le proprie passioni ed anche l’alimentazione.

La condizione appare spesso legata all’eccessiva tensione emotiva tipica dello stress cronico, che a volte può portare anche a modifiche del quadro ormonale che stanno alla base della situazione. Frequentemente si accompagna ad altre manifestazioni dello stress, come i disturbi del ritmo sonno-veglial’insonnia può diventare un problema in più – e depressione latente.

Sul fronte dell’alimentazione si osserva una diminuzione dell’introito calorico con una dieta poco salutare, che a volte viene intervallata da vere e proprie “abbuffate” inspiegabili. Purtroppo, oltre alla riduzione del cibo, spesso si assiste anche a scelte che non sono propriamente salutari. Ad esempio la donna può ricercare cibi particolarmente sapidi per avere un “piacere” intenso al gusto oppure tende a lasciarsi andare al consumo di zuccheri semplici (caramelle e bibite in primis) con il risultato di aprire la porta ad un possibile aumento della pressione o di sottoporre il corpo a vere e proprie sferzate di insulina che possono favorire l’insorgenza del diabete.

Come affrontare la situazione

Negli ultimi tempi si è ampliato lo spettro dei disturbi alimentari, con nuove patologie emergenti come vigoressia, pregoressia, drunkoressia, ortoressia, ecc. Nonostante l’aumento di queste patologie, diffuse in tutto il territorio nazionale, persiste una difficoltà di accesso alle cure in molte regioni italiane, con gravi conseguenze sulla prognosi, che risulta essere influenzata soprattutto dalla precocità dell’intervento e dall’adeguatezza del percorso assistenziale.

Le 126 strutture censite nella mappatura territoriale dei Centri dedicati alla cura dei DAN, realizzata dal Ministero della Salute, sono insufficienti rispetto al numero crescente di pazienti che necessitano di cure appropriate e posti disponibili, distribuiti in modo omogeneo tra Nord, Centro e Sud. Sono necessari nuovi centri, strutture residenziali e ambulatori specializzati su tutto il territorio nazionale, per garantire ai pazienti che soffrono di DAN, cure ed ambienti adeguati, anche in vista della sempre più giovane età dei soggetti colpiti.

“Dobbiamo continuare a costruire una rete di prevenzione e protezione, che coinvolga le diverse figure professionali sanitarie (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, dietisti, dietologi e nutrizionisti, endocrinologi, gastroenterologi, cardiologi, pediatri ecc.), le associazioni dei pazienti e delle famiglie, come la Fondazione Fiocchetto Lilla, già attiva da anni, e tutte quelle che operano a livello nazionale e territoriale, le scuole, le società sportive, i gruppi di aggregazione dei giovani – conclude l’esperta. Un percorso comune e condiviso, che va dall’informazione alla diagnosi precoce e alla cura, in base alla gravità del quadro clinico, in settings sempre più complessi, dall’ambulatorio al ricovero ospedaliero, fino alla terapia intensiva”.