I disturbi alimentari si nutrono dell’inganno del controllo, rendendo la cura una sfida ardua e delicata. Cosa significa ammalarsi di questo tipo di disturbi oggi e quali sono le implicazioni per le famiglie? Quali i fattori di rischio, di formazione e mantenimento? E quanto influiscono i social media sulla loro diffusione?
Elisa Valteroni, psicologa e psicoterapeuta al Centro di Terapia Strategica di Arezzo, esplora nel suo libro Anoressie, edito da Ponte alle Grazie, le risposte a queste domande, presentando un modello di trattamento efficace, supportato da numerosi casi clinici.
Il suo libro s’intitola Anoressie, perché l’utilizzo del plurale?
Per risponderle mi piace iniziare con le parole di Irvin Yalom, il quale suggeriva “guardate dal finestrino dei vostri pazienti, cercate di vedere il mondo come lo vede il vostro paziente”. Ecco, è da questo finestrino che si scorgono tante e diverse Anoressie, perché tante e diverse sono le bambine, i bambini, le donne e gli uomini inciampati nel disordine alimentare.
Il titolo, pertanto, da una parte enfatizza il rispetto dell’unicità di ogni storia personale di disordine alimentare e dall’altra sottolinea la necessità di formalizzazione e condivisione con largo pubblico e il mondo scientifico dei tanti protocolli di trattamento del modello breve strategico evoluto, ovvero prassi di cura rigorose e eterogenee per i diversi volti di ciò che nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali 5-TR è definito come Disturbo alimentare e della nutrizione.
Ed è proprio da questa prospettiva che il titolo abbraccia pure la sofferenza e il vissuto dei pazienti tradizionalmente diagnosticati come quadri di disturbi da alimentazione incontrollata associati anche al sovrappeso e all’obesità. Anoressia infatti non è solo un numero bassissimo sulla bilancia, si può essere normopeso, sovrappeso e obesi ed avere per così dire la “mente anoressica”: l’ossessione per il controllo del corpo e del cibo, i quali diventano il metro indiscusso per giudicare il proprio valore personale, per sentirsi più sicuri, meritevoli di vivere dimensioni importanti della vita (come quella relazionale, sociale, sentimentale/amorosa, talvolta anche quella scolastica/lavorativa). Questo divario tra la mente e il corpo non solo espone questi pazienti al vissuto di fallimento ma anche a quello di solitudine e di incomprensione da parte degli altri, proprio perché le sembianze estetiche non palesano un difficile rapporto con il cibo e il corpo.
In conclusione, quindi, il titolo Anoressie al plurale da una parte è volto a rappresentare le nuove classificazioni dei disordini alimentari compiute a partire dal vissuto dei pazienti, dall’altra parte rappresenta invece l’eterogeneità dei protocolli di trattamento del modello strategico evoluto che proprio a “tante anoressie” deve adattarsi allo scopo di favorire la guarigione da un disordine alimentare.

Quali sono i disturbi alimentari più comuni? Sono più diffusi rispetto al passato?
I disturbi alimentari più comuni sono quelli tradizionalmente classificati come anoressia, bulimia e binge-eating disorder, ai quali è possibile aggiungere il Vomiting -sindrome riconosciuta dal modello strategico negli anni Novanta- rappresentata dall’ossessivo e compulsivo piacere nel mangiare per vomitare.
All’interno dei diversi quadri di anoressia, di bulimia e di binge-eating disorder definiti dalla ricerca e dal lavoro clinico con i pazienti al Centro di Terapia Strategica di Arezzo, i disturbi sempre più comuni negli ultimi anni sono: l’anoressia restrittiva, in cui la percezione soggettiva di grasso o gonfiore in tutto il corpo o in una zona di esso, è associata alla massiccia restrizione alimentare; l’anoressia con exercising, in cui è proprio l’attività motoria a rappresentare il principale fattore di persistenza e cronicizzazione del disturbo. In questo caso si possono avere pazienti che, a fronte della gravità del basso peso, presentano un’alimentazione regolare o tendente alla regolarità ma un eccesso -nei tempi e nei modi- di attività motoria, vissuta come obbligata, pena l’intenso senso di colpa se non praticata secondo tale maniera. Inoltre, comune è il binge-eating disorder, inteso come l’alternanza tra un regime alimentare restrittivo o ipercontrollato (associato o meno all’exercising) e le abbuffate.
Si, rispetto al passato i disturbi alimentari sono più diffusi e la loro prevalenza è in aumento in larga parte del Mondo con importanti implicazioni per la gestione sanitaria.
Esiste una fascia di età più soggetta a tali disturbi?
Si, l’età adolescenziale, in cui lo sviluppo dell’identità può giocare un ruolo significativo nell’insorgenza dei disturbi correlati all’immagine corporea. Infatti in un periodo di importanti cambiamenti, tra cui quelli fisici, la valorizzazione del corpo e la ricerca della sicurezza della desiderabilità estetica possono divenire i mezzi principali attraverso i quali il giovane definisce il senso di sé, l’autoefficacia e l’autostima. Peraltro sono espedienti largamente condivisi e avvalorati dai coetanei, dal mondo social e dal contesto culturale e sociale in generale, per cui facilmente, in specie nelle prime fasi di strutturazione del disturbo, passano inosservati o sono ritenuti del tutto legittimi.
Proprio in questa fascia di età c’è stato un notevole incremento negli ultimi anni della prevalenza dei disturbi alimentari con un abbassamento dell’età della prima diagnosi.
Quali sono i fattori di rischio cui prestare attenzione?
Tra i fattori di rischio psicologici ci sono il perfezionismo, ovvero la tendenza a prefissarsi standard eccessivamente elevati per le prestazioni, accompagnata da un’autovalutazione molto critica; l’ossessività; la tendenza alla rimuginazione; la compulsività; l’impulsività; l’accentuata sensibilità al giudizio negativo e alle critiche; la tendenza ad evitare situazioni espositive; la difficoltà nella regolazione delle emozioni; l’insoddisfazione corporea.
Proprio in considerazione dei fattori di vulnerabilità inoltre, negli ultimi anni, l’esperienza clinica e le ricerche scientifiche hanno rilevato l’aumento dell’impatto del ruolo dei contenuti e delle attività sui social media nel contribuire all’insoddisfazione corporea e allo sviluppo e al mantenimento di un disordine alimentare.
Sono difficili da riconoscere?
Prima di tutto ciò che è difficile stabilire è il peso di ciascun fattore di rischio nel concorrere allo sviluppo di un disturbo alimentare. Tra i fattori di rischio vi sono infatti anche quelli genetici, biologici e i cosiddetti fattori ambientali ma dobbiamo ricordare che la presenza di un qualsiasi fattore di rischio non comporta inevitabilmente lo sviluppo della malattia, bensì una maggiore vulnerabilità alla sua manifestazione. Nella prima fase di strutturazione, il disordine alimentarsi può poi facilmente camuffarsi dietro a atteggiamenti e comportamenti salutisti e/o volti a migliorare la propria immagine estetica e la sicurezza personale.
Chi, per esempio, si allarmerebbe per un giovane un po’ in sovrappeso che inizia a selezionare i cibi, a mangiare un po’ di meno dichiarando che vuole mettersi in forma? Oppure per un giovane, magari sedentario, che inizia a praticare attività motoria per vedersi meglio allo specchio e sentirsi più sicuro?L’insidia è però proprio questa perché la maggioranza dei disordini alimentari esordisce così, il desiderio di migliorarsi diventa però presto una prigionia dove per esempio, nel caso dell’anoressia, all’aumento dei chilogrammi persi cresce la paura di ingrassare, del cibo e il bisogno di controllo sul corpo e sull’alimentazione; mentre, nel caso del binge-eating disorders, i tentativi di restrizione alimentare qualitativa e quantitativa conducono alle ingenti abbuffate e al conseguente pesante vissuto di disistima.
Ci sono, tuttavia, dei segnali da cogliere che dovrebbero far accendere un campanello d’allarme in direzione dello sviluppo di una psicopatologia severa. Tra questi l’aumento del tempo impiegato nelle pratiche connesse al monitoraggio del corpo, sia davanti allo specchio, sia attraverso i confronti con le immagini proposte dai social; un irrigidimento rispetto alle pratiche alimentari, in termini di qualità dei cibi concessi, di quantità o nelle consuetudini relative ai pasti (orari in cui è “obbligatorio mangiare/oppure non mangiare, nei luoghi, nel condizionare il pasto alla presenza o all’assenza di specifiche persone); una tendenza alla rinuncia all’esposizione sociale o al vincolarla a particolari condizioni (legate ad esempio alla percezione della propria immagine corporea o a fattori connessi alla sicurezza della disponibilità dei certi cibi oppure dell’assenza di cibo); una graduale perdita di flessibilità nella pratica dell’attività motoria; cambiamenti nell’espressione delle emozioni e dell’umore, come ad esempio una maggiore espressione di irascibilità in specie al tentativo da parte degli altri di deviazione dalle abitudini alimentari e motorie; interruzione o irregolarità del ciclo mestruale per le giovani che hanno già avuto la prima mestruazione.
Come si devono affrontare i primi segnali di un disturbo alimentare?
È importante rivolgersi allo specialista prima possibile in considerazione del fatto che il tempestivo intervento è uno dei principali fattori prognostici positivi, ovvero connesso alla remissione della malattia.
Il trattamento di elezione è quello psicoterapico -e per quanto riguarda i giovanissimi con il coinvolgimento della famiglia- ma dobbiamo considerare che i disturbi alimentari coinvolgono dimensioni organiche (tutti i distretti corporei sono infatti colpiti) e nutrizionali che devono essere attentamente valutate e monitorate nel corso tempo dai professionisti sanitari.
Quale impatto possono avere i disturbi alimentari sulle famiglie di chi ne soffre?
L’impatto di un disturbo alimentare sulle famiglie può essere devastante. I genitori sono costantemente esposti ai vissuti di angoscia, paura, frustrazione, senso di colpa, impotenza e rabbia. Di solito tendono a rispondere alla patologia alimentare del figlio alternando modelli comunicativi e relazionali iperprottettivi -di incoraggiamento e supplica all’alimentazione corretta-, a modelli di criticismo ed anche di minaccia, sempre sostenuti dall’intento di scuotere il figlio verso la guarigione. I momenti dei pasti, la riuscita o la non riuscita del controllo alimentare e dell’immagine corporea del figlio giungono a condizionare tutta la famiglia la quale, nella maggioranza delle situazioni, diventa per così dire ostaggio della malattia.
È così che i genitori spesso finiscono per aiutare la malattia che sta imprigionando sempre più il giovane, in quanto giungono ad assecondare le richieste della patologia: ad esempio cucinando solo certi cibi; non comprando certi alimenti; accettando che il figlio consumi i pasti in solitudine; mangiando agli orari richiesti dal figlio; pesando tutti gli alimenti solo con la bilancia indicata dal figlio senza mai trasgredire alla richiesta di costui di vedere i grammi di tutti gli alimenti; cucinando a parte per il figlio o non potendo proprio cucinare per lui in quanto il giovane vuole il totale controllo della preparazione dei pasti; subordinando gli impegni e le occasioni familiari alle inflessibili sessioni di attività motoria del giovane.
Se l’insidia maggiore per un genitore sta nell’essere involontariamente complice del mantenimento della malattia alimentare, la fatica più grande sta proprio nel riuscire a separare la patologia alimentare del figlio dal figlio stesso, al fine di rispondere con complicità al proprio figlio -alla sua crescita e allo sviluppo delle sue potenzialità- e con intransigenza alla patologia alimentare.
Quanto i social influiscono su questi tipi di disturbi?
L’esperienza clinica già da tempo aveva suscitato interrogativi sul ruolo dei social nello sviluppo e nel mantenimento dei disordini alimentari. Ad oggi anche le più attuali ricerche internazionali sul tema riportano che all’incremento del tempo impiegato in attività sui social, come la condivisione di foto, la visualizzazione o il commento di immagini di corpi, aumentano in modo significativo sia l’insoddisfazione per la propria immagine corporea e per il proprio peso, sia la spinta alla magrezza e i comportamenti di monitoraggio del corpo.
Gli studi scientifici evidenziano infatti che le pratiche correlate all’aspetto estetico sui social media sono forti predittori dei disturbi dell’immagine corporea in quanto sembrano rafforzare la preoccupazione verso i propri difetti amplificando sia l’attenzione selettiva che la rimuginazione su una specifica parte del corpo e contribuendo ad una visione distorta della realtà esterna e del giudizio altrui verso il proprio aspetto. I giovani pazienti riferiscono sempre più di non riuscire a staccarsi da questi contenuti sui social, dalle fotografie, dai video e dai tutorial correlati al corpo e benché cresciuti con photoshop e gli espedienti di correzione delle fotografie, hanno estrema difficoltà a prendere distanza dalla perfezione estetica presentata sul web che diventa per loro reale e passibile di essere raggiunta. In questo circolo vizioso complice è poi l’algoritmo delle piattaforme digitali che continua a proporre i siti correlati ai contenuti prescelti dal giovane o, dovremmo dire meglio, dalla sua ossessione.
Pensate che vi sono alcune ricerche che rilevano come alcuni social, come Tik Tok, anche quando si prefiggono di sensibilizzare verso i rischi di un’alimentazione sregolata e le conseguenze nefaste dell’anoressia, al contrario contribuiscono alla popolarità di atteggiamenti e comportamenti disfunzionali verso il corpo e il cibo, portando gli utenti a emulare proprio i comportamenti malati.