L’hanno soprannominato il batterio killer della sala operatoria, ma il suo nome scientifico è Mycobacterium chimaera, si tratta di un microrganismo molto pericoloso che ha già fatto molte vittime negli ospedali italiani.
Individuato nel 2004, è stato dapprima considerato innocuo per la salute dell’uomo. Dieci anni dopo però la situazione è cambiata e in Europa è stata individuata la prima infezione causata da questo batterio. In particolare il Mycobacterium chimaera è stato individuato in un dispositivo che viene utilizzato per regolare la temperatura del sangue nella circolazione extracorporea durante gli interventi cardiochirurgici. Alcune indagini hanno poi permesso di scoprire che il batterio è stato il responsabile di numerose infezioni a partire dal 2011.
Come agisce questo temibile microrganismo? L’incubazione dura dai 3 sino ai 72 mesi, provocando una terribile patologia polmonare che risulta resistente ai trattamenti. La malattia non mostra sintomi evidenti e quando viene diagnosticata spesso è troppo tardi. I campanelli d’allarme sono piuttosto generici e vengono indicati come febbre, perdita di peso, dolori articolari e muscolari, affaticamento, mancanza di fiato e tosse.
Per diagnosticare la patologia sono necessari specifici esami di laboratorio, in seguito il paziente viene sottoposto ad una terapia antibiotica. Spesso i farmaci non hanno l’effetto desiderato e l’infezione non viene debellata, tanto che il tasso di mortalità in questi casi è pari al 50%.
Chi è a rischio? L’infezione causata dal batterio chimaera non si trasmette da persona a persona, ma solamente in sala operatoria. Sono a rischio soprattutto coloro che hanno subito operazioni particolari come trapianto di polmoni e cuore, sostituzione di valvole cardiache. In particolare sono sotto accusa tutti quegli interventi in cui il paziente viene collegato ad una macchina cuore-polmoni.
Nonostante ciò secondo gli esperti la probabilità di contrarre un’infezione provocata da questo temibile batterio killer è molto bassa. Una stima dell’Hhs inglese ha stimato che solo 1 su 5mila pazienti che hanno subito queste operazioni si ammala, il rischio è ancora più basso per chi è finito in sala operatoria per altri motivi.