L’apatia fatale, la sindrome di chi si lascia morire

Prima la solitudine, poi l'apatia, infine la morte: ecco cosa può accadere se ci isoliamo dal mondo e perdiamo la voglia di vivere

L’apatia e l’isolamento possono essere fatali, portandoci al decesso. Lo svela un nuovo studio che ha individuato la sindrome della morte psicogena.

Prima arriva l’isolamento, in seguito l’apatia totale che porta la persona a spegnersi giorno dopo giorno, sino alla morte. Il fenomeno – che colpisce moltissime persone ed è ancora poco conosciuto – è stato oggetto di studio da parte del dottor John Leach, della Portsmouth University.

La morte psicogena è una malattia che causa il decesso nei soggetti che non hanno più voglia di vivere e che si lasciano andare. Solitamente la patologia conduce alle conseguenze più nefaste in circa tre giorni, durante i quali l’apatia e la solitudine conducono velocemente alla morte. “Non si tratta di suicidio, non si tratta di depressione – ha spiegato il dottor Leach nel suo articolo apparso sulla rivista Mental Hypotheses -, ma dell’atto di arrendersi, di rinunciare alla vita il quale sfocia nel decesso nell’arco di giorni”.

Chi è a rischio? Secondo l’esperto sopratutto chi ha vissuto un evento particolarmente traumatico e non riesce a superarlo. In questi casi il soggetto considera la morte il modo migliore per sfuggire al dolore. Non tutto è perduto però e, come sottolinea il professor Leach, si può anche guarire, l’importante è non sottovalutare i campanelli d’allarme e agire con tempestività, contattando il proprio medico per studiare una terapia.

Il primo sintomo che può condurre alla morte psicogena è la volontà di interrompere qualsiasi interazione sociale. Spesso infatti chi ha subito un trauma tende a sfuggire alla vita sociale, rifugiandosi nella solitudine. Altri segnali molto importanti sono l’apatia e l’abulia, ossia l’incapacità di prendere iniziativa e decidere qualsiasi cosa. Dopo l’isolamento e la perdita di interesse per ogni cosa, subentra la morte psicogena, descritta dagli studiosi come la “disintegrazione della persona”, che porta alla perdita totale di qualsiasi voglia di vivere.