Google difende il diritto all’aborto cancellando la cronologia degli spostamenti

Con l'abolizione dell'aborto negli Usa anche la privacy è a rischio: ecco la decisione di Google per difendere il diritto all'aborto delle donne americane

C’è sempre un prima e un dopo nella vita di tutti, un punto di rottura che cambia ogni cosa. Un preciso istante che separa nettamente quello che è stato da quello che sarà.

Ed è quello che stiamo vivendo tutti noi adesso, ora che siamo entrati in una nuova e terribile era, quella post-Roe, quella sancita il 24 giugno del 2022. Ma non si tratta di un punto zero che può rappresentare un nuovo inizio, perché quella decisione presa dalla Corte Suprema ci ha riportato prepotentemente indietro nel tempo, trasformandoci di nuovo nelle protagoniste passive di uno dei capitoli più neri della storia che è durato già troppo a lungo.

Noi, donne, siamo state private di nuovo dei nostri diritti, siamo state sconfitte in una battaglia alla quale non ci è stato concesso di partecipare. Con l’annullamento della sentenza Roe vs. Wade, che riconosceva il diritto all’aborto negli Usa, è cambiato tutto. E lo ha fatto in peggio. E mentre le donne si preparano a vivere in questa nuova epoca, confuse, spaventate e attonite, tutti siamo chiamati a fare qualcosa. Ora è il turno di Google che ha dichiarato che cancellerà in automatico tutte quelle cronologie di ricerca e spostamenti che hanno a che fare con l’aborto.

Con l’abolizione dell’aborto negli Usa anche la privacy è a rischio

C’è una parte d’America che continua a sostenere il diritto all’aborto, che promette di impegnarsi per assicurare assistenza alle donne che vogliono interrompere la gravidanza. Ma c’è un’altra parte, invece, che lo vieta assolutamente, che lo vorrebbe classificato come un omicidio, come la Louisiana. Di fatto, però, in America non esiste più il diritto costituzionale all’aborto.

E scongiurando l’ipotesi degli aborti clandestini e pericolosi, l’unica possibilità che avranno le donne americane di interrompere una gravidanza sarà quella di recarsi negli Stati che ancora difendono il diritto all’aborto, come dovrebbe essere in tutto il mondo. Ma è qui che entra in gioco un altro problema, quello della privacy. Il rischio, più concreto che mai, è quello che qualsiasi prova di essersi sottoposte a un’interruzione di gravidanza volontaria possa essere tracciata tramite delle ricerche fatte sul web, spostamenti e applicazioni per il monitoraggio del ciclo.

I tribunali, infatti, in caso di sentenze, potrebbero chiedere alle applicazioni o ai motori di ricerca l’accesso ai dati sensibili delle donne americane. Alcune applicazioni per smartphone, come Flo, hanno dichiarato che metteranno a disposizione una modalità anonima che nasconderebbe così i dati identificativi degli utenti.

Anche Google ha scelto di schierarsi a sostegno della privacy delle donne dichiarando che cancellerà in automatico i dati sulla localizzazione e sulla ricerca dei luoghi legati all’aborto e non solo.

L’annuncio di Google

La notizia è stata confermata da Jen Fitzpatrick, vicepresidente senior di Google Core Systems & Experience, in un comunicato diffuso dall’azienda. Da questo momento il colosso si impegna a tutelare gli spostamenti considerati sensibili e che riguardano, quindi, non solo le cliniche per aborti, ma anche i centri di accoglienza di violenza, i consultori e le strutture per il trattamento delle dipendenze.

“Se i nostri sistemi identificano che qualcuno ha visitato uno di questi luoghi” – si legge nel comunicato – “elimineremo in automatico queste voci dalla Cronologia delle posizioni subito dopo la visita. Questa modifica entrerà in vigore nelle prossime settimane”.

L’azienda ha anche dichiarato che gli utenti che usano app di monitoraggio di proprietà di Google, come Fitbit, dalle prossime settimane saranno in grado di eliminare velocemente tutti i dati relativi al ciclo mestruale archiviati fino a quel momento.

“Ci impegniamo a proteggere i nostri utenti da richieste di dati improprie da parte del governo”– scrive Jen Fitzpatrick – “e continueremo a opporci a richieste eccessivamente invadenti o considerate legalmente discutibili”.