Ogni 25 novembre è un momento per fermarci, ascoltare e riconoscere quanto lavoro ci sia ancora da fare per contrastare la violenza sulle donne. La cultura può essere un punto di partenza potente: aiuta a dare nome alle esperienze, ad aprire conversazioni necessarie e a costruire nuova consapevolezza.
Le parole diventano uno strumento per capire, per riconoscere ciò che spesso resta taciuto e per immaginare nuovi modi di reagire. Per questo abbiamo raccolto cinque libri che, in modi diversi, offrono strumenti, storie e prospettive preziose per approfondire una realtà che non può più essere ignorata.
Violenza sulle donne, 5 libri da leggere
“Oliva Denaro”, Viola Ardone
Ambientato nella Sicilia degli anni Sessanta, questo romanzo segue la crescita di Oliva, una ragazza che tenta di ritagliarsi un futuro diverso in un mondo che non la immagina libera. Ama studiare, si rifugia nelle pagine per dare ordine a ciò che non riesce ancora a dire, le sfoglia per orientarsi tra desideri e paure. Ma attorno a lei tutto è rigidamente stabilito: diventare donna significa prepararsi al matrimonio, obbedire, non sapere troppo.
Quando subisce la violenza e il rapimento di chi pretende di possederla, le regole del paese sono chiare: deve sposare il suo aggressore. Il suo rifiuto è rivoluzionario, e diventa un gesto che attraversa il tempo e ci raggiunge ancora oggi.
“Come fossi una bambola”, Francesca Fialdini e Massimo Giusti
Questo libro parte da una domanda che attraversa molte storie contemporanee: cosa succede quando l’amore smette di essere scelta e diventa dipendenza? Francesca Fialdini e Massimo Giusti entrano nelle pieghe delle relazioni che erodono lentamente la fiducia, la libertà, la capacità di immaginare un domani diverso.
Raccontano storie vere, quelle di chi è rimasto intrappolato in legami che dall’esterno sembrano incomprensibili, ma che dall’interno diventano gabbie costruite giorno dopo giorno, spesso senza nemmeno accorgersene. Non c’è giudizio, non ci sono scorciatoie: c’è la complessità di rapporti in cui il desiderio di essere amati scivola nel bisogno, nel senso di colpa, nella paura di non valere abbastanza.
Un invito a riconoscere quei segnali minuscoli che spesso ignoriamo, a dare un nome alle prigioni invisibili e, soprattutto, a credere che una via d’uscita esiste anche quando sembra impossibile trovarla.
“L’ho uccisa perché l’amavo”, Loredana Lipperini e Michela Murgia
Loredana Lipperini e Michela Murgia partono da un punto essenziale: il modo in cui parliamo di femminicidio influisce su come lo percepiamo. Per anni, film, libri e soprattutto cronache hanno raccontato questi delitti attraverso lo sguardo di chi li commette, usando parole come “raptus”, “gelosia”, “amore malato”. Termini che spostano l’attenzione, che attenuano la responsabilità, che finiscono per far sparire la vittima proprio dal racconto della sua morte.
Il libro smonta una a una queste narrazioni mostrando quanto sia pericoloso confondere il possesso con l’amore e quanto il linguaggio possa normalizzare ciò che dovrebbe indignarci.
“Lettera a una ragazza del futuro”, Concita De Gregorio
In questo libro Concita De Gregorio sceglie di parlare alle più piccole, ma anche a tutte le donne che, crescendo, ogni tanto sentono il bisogno di una bussola. Lo fa con una lettera che attraversa il tempo e prova a ricordare quanto sia importante imparare presto cosa significhi rispetto, libertà, confine: temi che non dovremmo conoscere solo da adulte, ma che andrebbero seminati molto prima, quando si costruisce lo sguardo sul mondo.
Nelle sue parole, insieme alle illustrazioni di c’è l’invito a essere curiose, gentili, coraggiose; a riconoscere le proprie emozioni senza vergogna; a scegliere chi si vuole diventare senza lasciarsi modellare dagli altri, e che ricorda quanto sia necessario iniziare da piccoli, e continuare da grandi, a capire che affetto e possesso non coincidono mai, e che la libertà è un esercizio quotidiano.
“Cara Giulia”, Gino Cecchettin
Gino Cecchettin sceglie di parlare a sua figlia Giulia, vittima di femminicidio per mando di Filippo Turetta, ma anche a tutte le ragazze e i ragazzi che stanno crescendo in un Paese che ha ancora bisogno di imparare a riconoscere e nominare la violenza. Le sue parole nascono dal dolore, ma diventano un tentativo di capire cosa non ha funzionato, di mettere in discussione una cultura che troppo spesso confonde l’amore con il controllo e lascia soli proprio quando serve più ascolto.
Cara Giulia è una lettera aperta che chiede attenzione, cura e responsabilità. Un invito a famiglie, scuole e istituzioni a fare la propria parte, e a chi legge a non distogliere lo sguardo. È il racconto di una perdita, ma anche la volontà di trasformare quella perdita in qualcosa che possa proteggere altre vite: perché nessuna storia dovrebbe finire così.