Las Patronas: le donne che sfidano la legge per aiutare i migranti

Cucinano venti chili di riso al giorno e li distribuiscono ai migranti che ogni giorno viaggiano in condizioni disumane

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Viviamo in una società fortemente individualista. Un dato di fatto, questo, sottolineato spesso da sociologi, psicologi e intellettuali del nostro tempo che hanno individuato in quell’atteggiamento volto a massimizzare il proprio valore personale, il più grande fallimento della nostra società.

Senza entrare nel dettaglio del dibattito, portato avanti da chi sostiene le esigenze della collettività, da una parte, e gli interessi personali dall’altra, è doveroso precisare che l’indipendenza e l’autonomia non escludono per forza la collaborazione con gli altri e la solidarietà nei confronti di chi si trova in posizioni diverse dalle nostre. Che esistono persone che scelgono consapevolmente, ogni giorno, di aiutare gli altri. Che scelgono di non voltarsi dall’altra parte davanti alle ingiustizie e alle richieste d’aiuto, anche se questo può compromettere la loro intera esistenza.

È il caso dei membri de Las Patronas, un gruppo di donne appartenenti alla comunità di Amatlán de los Reyes, in Guadalupe, che da anni lavora incessantemente per fornire supporto ai migranti. La lotta in difesa di quelli che sono considerati gli ultimi della società è stata spesso ostacolata da una legge severa e brutale che però non ha intaccato, neanche per un momento, il coraggio di queste donne.

Chi sono le donne di Las Patronas

Correva l’anno 1995 quando, un gruppo di donne della comunità di Amatlán de los Reyes, ha scelto di non girarsi più dall’altra parte, di assumere un ruolo in quella lotta in difesa dei diritti degli ultimi che troppo spesso sono stati calpestati. Contadine, perlo più, che hanno trovato nella loro unione la forza di fare qualcosa di straordinario.

Dagli anni ’90, infatti, le donne di Las Patronas – nome che riferimento alla Nostra Signora di Guadalupe – forniscono cibo e assistenza a tutti i migranti che viaggiano a bordo di treni merci, e in condizioni disumane, con la sola speranza di un futuro migliore.

Li attendono lì, sui binari che attraversano i campi coltivati del territorio. Quelli dove ogni giorno migranti stremati, che affrontano viaggi disumani a bordo del “La Bestia”, rischiano la vita. Preparano per loro bibite e pasti, li conservano in buste di plastica e le consegnano al loro arrivo.

Un lavoro nobile, il loro, che gli è valso diversi riconoscimenti negli anni, ma anche tanta ostilità soprattutto da parte dei trafficanti, dei membri della comunità che sono spaventati da ciò che non conoscono e anche dalla legge.

Qualche anno fa infatti, con la stretta esercitata dall’amministrazione Trump, Las Patronas, così come molte ONG, sono state accusate di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Una politica, a detta del 45º presidente degli Stati Uniti d’America, doverosa per salvaguardare i confini del Paese e porre un freno agli ingressi dei migranti al confine tra Usa e Messico.

Questo voleva dire che qualsiasi associazione impiegata a fornire assistenza, o aiuti alimentari e sanitari ai migranti, avrebbe commesso un reato. Eppure né questo, né l’ostilità da parte dei familiari e dei membri comunità di Amatlán de los Reyes è riuscito a fermare le donne di Las Patronas.

Le donne di Las Patronas attendono l'arrivo de "La Bestia" per consegnare acqua e cibo
Fonte: RONALDO SCHEMIDT/AFP via Getty Images
Le donne di Las Patronas attendono l’arrivo de “La Bestia” per consegnare acqua e cibo

“La Bestia” e gli inizi

Dall’altro lato della frontiera, dove il sogno americano sembra un miraggio, un’importante fetta della popolazione vive nell’ombra di una società complessa, pericolosa e preoccupante: il Messico. Da qui, spesso, le persone vanno via. Lo fanno legalmente quando è possibile. Ma tanta è la disperazione che viaggiare illegalmente diventa l’ultima possibilità di molti.

Si tratta degli indocumentados, i migranti illegali che pur di tenere viva la speranza di un futuro migliore rischiano la loro stessa vita. Lo fanno attraversando fiumi e deserti, lo fanno fuggendo dai coyotes (i trafficanti di immigrati clandestini), affrontando la polizia di frontiera e le relative conseguenze. E lo fanno viaggiando a bordo de “La Bestia”.

Bestia, è questo il soprannome che è stato dato a quel treno merci colmo di speranza e disperazione. Quello al quale migliaia di migranti si aggrappano, letteralmente, per affrontare un viaggio disumano senza alcuna garanzia di arrivo a destinazione.

Il mezzo di trasporto parte ogni giorno da Palenque, nel Chiapas, e in meno di una settimana attraversa il Paese fino a fermarsi a Tijuana, la porta di accesso al sogno americano. I vagoni, che trasportano solitamente prodotti agricoli e altri generi alimentari, sono letteralmente presi d’assalto dai migranti che desiderano superare la frontiera. Ma molti sono destinati a non arrivare mai.

Il treno attraversa anche l’entroterra di Veracruz, proprio dove si snodano villaggi e paesini che vivono di agricoltura. Tra questi anche Amatlan de los Reyes, il luogo dove vivono Las Patronas.

Il 14 febbraio del 1995, a seguito di una richiesta d’aiuto da parte dei migranti a bordo de La Bestia, un gruppo di contadine ha portato loro viveri e acqua. Ma quello che sembra un nobile gesto del momento, in realtà, ha dato vita a un vero e proprio movimento.

Dopo essersi confrontate su quando successo, Norma Romero Vazquez (coordinatrice del gruppo di volontariato), le sue sorelle e altre amiche, hanno deciso che era il momento di fare qualcosa. E da allora, fino a oggi, non hanno mai smesso di offrire il loro aiuto ai migranti. Così è nato Las Patronas.

A Norma, Bernarda e Rosa si sono aggiunte altre donne della comunità col tempo. Non molte in realtà, perché la paura di eventuali ripercussioni è sempre stata tanta. Oggi l’organizzazione conta appena 20 membri, eppure quelli bastano a innestare il cambiamento.

L’organizzazione

Norma, Bernarda, Rosa e le altre, si ritrovano ogni giorno nel villaggio per preparare pasti che poi lanceranno – letteralmente – ai migranti che viaggiano a bordo de La Bestia. Una missione di vita che si traduce, concretamente, in svariati litri d’acqua e in più di venti chili di riso e fagioli cucinati quotidianamente.

In tutto, le donne di Las Patronas, consegnano circa 300 pasti al giorno nell’arco di 15 minuti. Come racconta El País, quando sentono in lontananza il fischio del treno, si precipitano a bordo dei binari con carriole piene di sacchetti di plastica che poi distribuiscono quando il convoglio rallenta.

Riconoscimenti

Il lavoro delle volontarie che compongono Las Patronas si configura come una lotta gentile in difesa dei diritti dei migranti. Un operato, questo, che è valso loro il Premio Nazionale per i Diritti Umani nel 2013. Il gruppo è stato anche insignito del premio Principessa delle Asturie nel 2015, a seguito di una campagna lanciata su Change.org che ha raccolto oltre 50.000 firme di persone da ogni parte del mondo.

Oggi le donne coraggiose di Las Patronas non sono più sole. Ogni giorno, insieme a loro, si uniscono altri volontari. Sono tutti lì per una missione: quella di salvare le vite a chi sogna un mondo migliore.

Norma Romero Vázquez
Fonte: RONALDO SCHEMIDT/AFP via Getty Images
Norma Romero Vázquez, coordinaci di Las Patronas