Diritto alla disconnessione: a che punto siamo

Un diritto che sancisce la libertà del lavoratore di staccare la spina, promuovendo un equilibrio tra vita professionale e vita privata nell'era dell'iperconnettività

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Sonia Surico

Content Editor e Storyteller

Laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in Seo Copywriting. Per lei, scrivere è un viaggio che unisce emozioni e conoscenza.

Nell’era moderna, l’avvento dello smart working ha radicalmente trasformato il nostro modo di lavorare. Se da un lato questa modalità di lavoro offre flessibilità e comodità, dall’altro ha sfumato i confini tra vita professionale e personale, portando a una nuova forma di stress lavorativo: il burnout.

E così, un po’ come Andy Sachs nel film “Il diavolo veste Prada“, molti di noi si ritrovano a rispondere a e-mail in tarda serata, a partecipare a call dell’ultimo minuto o a gestire riunioni fuori orario. Questo continuo stato di allerta, e la sensazione di non avere mai una vera pausa dal lavoro, possono portare a un esaurimento fisico e mentale.

Per i workaholic, questo può sembrare normale o addirittura stimolante, ma è importante riconoscere che si tratta di un fenomeno potenzialmente dannoso.

Ecco perché, in un contesto lavorativo sempre più esigente, dove la disponibilità 24/7 sembra essere diventata la norma, emerge un aspetto di vitale importanza: il diritto alla disconnessione. Questo principio sostiene il diritto imprescindibile dei lavoratori di staccarsi dalle attrezzature tecnologiche al di fuori dell’orario di lavoro, permettendo loro di prendersi una pausa.

In Italia, questo diritto è regolato dalla Legge 22 del 2017 n. 81 sul Lavoro Agile, che riconosce l’importanza cruciale di bilanciare le esigenze lavorative con il benessere personale. Il periodo della pandemia ha reso ancora più evidente questa necessità, portando alla promulgazione di una legge specifica il 6 maggio 2021 che ha ulteriormente regolamentato questo diritto.

Ma come sta evolvendo la situazione in Italia? Facciamo il punto.

Diritto alla disconnessione: la situazione in Italia

In risposta a questa sfida emergente, l’Unione Europea sta prendendo posizione – non ancora attraverso normative, ma attraverso raccomandazioni – sulla questione del diritto alla disconnessione.

Infatti, il 9 ottobre 2023, il Consiglio Europeo ha sollecitato gli Stati membri a adottare misure specifiche per mitigare l’impatto del lavoro precario sulla salute mentale dei lavoratori. Questa iniziativa, seppur non ancora vincolante a livello normativo, rappresenta un riconoscimento significativo dell’importanza di affrontare le sfide del mondo del lavoro, ormai sempre più digitalizzato, e dell’aumento della precarietà che ne deriva.

Nonostante queste indicazioni, resta a discrezione di ciascuno Stato membro determinare come implementarle.

In Italia, il diritto alla disconnessione è stato riconosciuto nella legge del 2021, dove si afferma chiaramente come risulti “necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, senza ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi“.

In pratica, salvo disposizioni contrattuali specifiche, come quelle relative alla reperibilità, i lavoratori hanno il diritto assoluto di non essere disturbati una volta terminata la giornata lavorativa. Una tutela che consente finalmente di staccare la spina e dedicarsi al proprio tempo libero senza ripercussioni di alcun tipo.

Tuttavia, la strada verso l’attuazione completa di queste politiche è ancora lunga. Dalla resistenza culturale all’interno delle organizzazioni, dove essere sempre disponibili è spesso visto come un segno di dedizione al lavoro, fino alla mancanza di consapevolezza dei lavoratori stessi circa i loro diritti.

Diritto alla disconnessione: uno sguardo all’Europa

Nel contesto attuale europeo, il diritto alla disconnessione presenta una situazione molto variabile in termini di riconoscimento e protezione. Infatti, non esiste un’uniformità nella gestione ed esistono differenze significative a seconda del Paese di residenza.

Il risultato è un insieme di pratiche e regolamenti, che rende il diritto alla disconnessione un tema piuttosto complesso e articolato.

La questione viene presa in considerazione nella Direttiva 2003/88/CE, nota anche come “direttiva sull’orario di lavoro“, che stabilisce regole chiare e vincolanti.

Fondamentale è il diritto a dedicare almeno 11 ore consecutive di riposo ogni 24 ore, una disposizione che mira a tutelare la salute garantendo un adeguato recupero fisico e mentale. A ciò si aggiunge il diritto a una pausa dopo 6 ore di lavoro giornaliero, un momento di sosta le cui specificità sono definite da contratti collettivi o accordi tra le parti sociali.

Il tutto è regolato dal limite settimanale di 48 ore di lavoro, compresi gli straordinari, che rappresenta una protezione contro il rischio di overwork.

Infine, vanno considerate anche le restrizioni sull’uso dei turni o del lavoro notturno, un riconoscimento delle peculiarità e delle sfide associate a queste modalità. L’insieme delle norme delinea un panorama di diritti e protezioni che, nonostante l’evoluzione costante delle dinamiche lavorative, rimane un punto di riferimento fondamentale.

Ma cosa succede quando questo diritto viene violato? Quando i datori di lavoro non rispettano le normative in vigore, potrebbero trovarsi di fronte a serie conseguenze legali.