Alberica Filo della Torre e il delitto dell’Olgiata

Il suo nome è Alberica Filo della Torre ed è la contessa uccisa nella sua residenza a Roma. Il suo assassino, l'ex maggiordomo, ora è un uomo libero. Questa è la sua storia

Era una calda giornata d’estate, quella del luglio del 1991, quando la tranquilla quotidianità della capitale venne stravolta e sconvolta da un delitto commesso nella zona residenziale dell’Olgiata. Era stata uccisa una donna, non una qualsiasi ma una contessa della nobiltà locale nata e cresciuta a Roma. Il suo nome era Alberica Filo della Torre e il suo omicidio, passato agli onori della cronaca nera come delitto dell’Olgiata, è rimasto irrisolto per 20 anni, fino a quando è stato scoperto il colpevole.

Alberica Filo della Torre

Era nata il 2 aprile del 1949 a Roma, Alberica, ed era la figlia di Ettore Filo della Torre, contrammiraglio distintosi per il ruolo eroico durante la guerra, e Anna del Pezzo di Caianello, duchessa.

Cresce in un ambiente benestante e mamma e papà non le fanno mancare nulla. Dopo gli studi in collegio torna nella capitale, nella casa di famiglia, e viene introdotta nella società della Roma bene di quegli anni. Vive una vita spensierata, fatta di eventi mondani, shopping e amori. Il primo è quello con Alfonso de Liguoro, un principe che le ruba il cuore e che lei sposa nella villa materna dell’Olgiata, proprio quella in cui avverrà l’omicidio.

Ma l’amore, che aveva già resistito alla mancata benedizione da parte della famiglia Filo della Torre, non è destinato a durare e i due, poco dopo, ricorrono all’annullamento delle nozze. Alberica viaggia molto, ma tanta è la delusione di quel sogno infranto che si allontana dalla mondanità e rinchiude in se stessa.

Il tempo, però, guarisce tutte le ferite, anche le più profonde e il suo cuore torna a battere per Pietro Mattei. Non è un nobile, non appartiene al mondo che la ragazza frequenta. Lui è un imprenditore edile, un gran lavoratore. È l’uomo giusto.

Il 10 luglio del 1981 i due si sposano e iniziano a costruire il loro futuro. Dopo il matrimonio nascono due bambini, e la famiglia si trasferisce nella casa dell’Olgiata. È una vita perfetta, la loro, degna di un finale da favola. Ma qualcuno ha già deciso che quel lieto fine, Alberica, non lo merita.

Il delitto dell’Olgiata

Il 10 luglio del 1991, giorno dell’anniversario delle nozze di Alberica e Pietro, succede qualcosa di inaspettato. Nella residenza nel quartiere dell’Olgiata ci sono tutti, tranne Mattei che è a lavoro. Ci sono i due bambini, due domestiche filippine e una baby sitter, ci sono anche quattro professionisti che stanno addobbando la casa per la grande festa organizzata per celebrare i 10 anni di matrimonio dei coniugi Mattei.

La contessa riceve in camera la colazione preparata dalla sua domestica, poi scende ai piani inferiori per vedere l’andamento dei lavori. Ritorna in camera e da quella non uscirà più viva. Tra le 8.00 e le 10.00 più volte i domestici e i suoi bambini bussano alla porta di Alberica, senza però ottenere alcuna risposta. Sono tutti preoccupati, ma non possono entrare a vedere cosa è successo perché la porta è chiusa. Trovata una seconda chiave, la domestica e la bambina riescono a entrare, è allora che si trovano davanti il corpo della donna senza vita con il volto avvolto in un lenzuolo sporco di sangue.

Chi ha ucciso Alberica?

Le forze dell’ordine raggiungono immediatamente la residenza dell’Olgiata e danno inizio alle indagini. Quello che è emerge è che Alberica è stata colpita con un oggetto contundente e poi strangolata. Si pensa subito a un movente passionale: dov’era il marito quando la donna è stata uccisa?

Mattei ha un alibi, quella mattina era a lavoro e nella coppia, questo è certo, non c’era nessun terzo incomodo. La pista passionale viene abbandonata a seguito della scoperta della mancanza di gioielli e oggetti preziosi dalla stanza.

Quello su cui le forze dell’ordine non hanno dubbi, però, è il fatto che l’assassino è qualcuno di cui Alberica si fidava, una persona che frequentava già la casa e che in questa poteva muoversi senza destare sospetti. Emergono così i primi indiziati: un vicino di casa con problemi psichici e un domestico filippino, Manuel Winston Reyes, licenziato proprio qualche giorno prima dell’omicidio.

Per gli inquirenti, però, le piste del vicino di casa problematico e del maggiordomo rancoroso sono troppo scontate. Inoltre le tracce del DNA lasciato dall’assassino sul lenzuolo e su un orologio indossato dalla donna quel giorno non sembrano corrispondere ai sospettati. Così il pubblico ministero, per mancanza di prove, decide di sospendere le indagini nel 1991.

Un mistero durato vent’anni

I mesi si trasformano in anni e il caso viene riaperto più volte, grazie e soprattutto alle battaglie condotte dalla famiglia e da Pietro Mattei, che non può darsi pace senza avere prima scoperto chi ha ucciso sua moglie e perché. Gli inquirenti, allora, provano a seguire nuove piste orientandosi tra complotti, fondi illeciti e conti esteri appartenenti alla contessa. Ma anche questa strada non porta a nulla e le indagini vengono nuovamente sospese.

Su insistenza del marito il caso viene riaperto nel 2007, con la richiesta di ulteriori analisi del DNA. Ancora una volta le autorità dispongono la chiusura delle indagini, ma grazie all’insistenza di Mattei l’istanza viene accolta dal pubblico ministero. Questa volta, però, è tutto diverso. Dopo il riesame delle tracce lasciate dall’assassino sul lenzuolo, gli inquirenti risalgono a un nome, quello di Manuel Winston Reyes.

Manuel è un uomo di origine filippina che lavorava nella residenza dei Mattei, e che era stato licenziato dalla contessa poco prima dell’omicidio. Subito dopo il delitto venne incluso nella lista dei sospettati, ma a causa della negligenza durante le indagini il suo nome fu immediatamente escluso. Eppure le prove c’erano tutte, ed erano inconfutabili. Non solo il DNA sul lenzuolo e sull’orologio, ma anche un’intercettazione – ai tempi non ascoltata – in cui l’uomo si accordava per vendere i gioielli della contessa.

L’ex domestico, che intanto aveva avuto una figlia alla quale aveva dato proprio il nome di Alberica, viene sottoposto a fermo. Sarà lui stesso a confessare l’omicidio a vent’anni dalla tragedia, il 1 aprile del 2011, chiedendo il perdono della famiglia, raccontando di aver vissuto per tutto questo tempo con un enorme peso.

La sentenza del processo conclusosi il 14 novembre dello stesso anno lo condanna a 16 anni di reclusione. Il 10 ottobre del 2021, però, dopo soli 10 anni di prigione Manuel Winston Reyes viene scarcerato grazie ad alcuni sconti di pena.