Grazia Ofelia Cesaro, avvocata specializzata in diritto di famiglia e tutela dei minori, intreccia narrazione autobiografica e riflessione giuridica nel suo primo romanzo, Ballare sotto la pioggia Famiglie, separazioni e rinascite, edito da Feltrinelli.
Attraverso il racconto della sua esperienza, Cesaro esplora il dolore dell’abbandono, le dinamiche di
sopravvivenza emotiva dei figli e il ruolo delle istituzioni nel proteggere i più vulnerabili. Il libro si muove tra passato e presente, tra memoria e attualità, con richiami agli strumenti giuridici che oggi consentono ai minori di avere una voce nei conflitti familiari.
Avvocata con oltre trent’anni di esperienza nel diritto di famiglia e minorile, nazionale e internazionale, presidente dell’Unione Nazionale Camere Minorili e vice presidente di International Child Abduction Lawyers Italy, Grazia Ofelia Cesaro ci ha raccontato come è nato Ballare sotto la pioggia Famiglie, separazioni e rinascite e quale messaggio vuole trasmettere col suo romanzo.
Partiamo subito dal titolo del suo romanzo: Ballare sotto la pioggia. Perché questa scelta?
È una frase che ripeteva mia madre: “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia.” Il romanzo racconta una dolorosissima separazione negli anni ’70, vissuta da tre ragazzi. Quella frase diventa un mantra per loro e mi piacerebbe che lo fosse anche per altri giovani che affrontano situazioni familiari complesse.
Questo libro è autobiografico?
In parte. Non era il mio intento iniziale, ma la storia è nata da un mio bisogno personale di comprendere meglio le dinamiche affettive familiari. Poi i personaggi dei tre ragazzi hanno preso il sopravvento, e ho deciso di lasciarli andare da soli, anche se l’editore ha subito capito che dietro c’ero io.
Il libro quindi intreccia due sguardi: quello emotivo e quello professionale?
Esattamente. La mia esperienza come avvocata mi ha aiutata a dare un taglio anche utile dal punto di vista sociale. Non volevo solo raccontare, ma offrire uno spunto di riflessione ai genitori, a chi si separa, e ai ragazzi.
Il romanzo è ambientato negli anni ’70. Com’è cambiato il processo della separazione? E come è vissuta oggi questa esperienza?
All’epoca mancavano parole, strumenti, persino il pensiero di una genitorialità condivisa. Oggi parliamo di affido condiviso, mediazione familiare, avvocato del minore. Abbiamo fatto tanta strada, ma ricordare da dove siamo partiti serve a capire il valore di queste conquiste.

Nel romanzo offre anche una sorta di consigli legali. Ce ne parla?
Non sono esplicitati come in un saggio, ma ci sono. Ad esempio: quanto pesa il contributo al mantenimento, il danno delle parole dette in momenti di rabbia, o quanto siano fondamentali i valori condivisi anche tra due genitori separati. È una narrazione che vuole far riflettere, più che spiegare.
Lei ha anche uno sguardo professionale su tema, in quanto avvocato?
Sì, da oltre trent’anni. Ho una specializzazione in criminologia clinica e ho seguito molti procedimenti penali e civili che coinvolgevano minori. Sono partita dai casi più difficili, dove le carenze genitoriali erano profonde. È un lavoro che porto avanti con passione.
Come si è trovata a passare dalla saggistica al romanzo?
All’inizio è stato difficile. Il tempo era poco, ho scritto di notte. Ma la narrazione, alla fine, ha preso vita da sola. Mi sono anche formata con corsi di scrittura alla Scuola Holden e Belleville. È stato un passaggio impegnativo ma molto gratificante.
Quindi possiamo aspettarci un secondo romanzo?
L’idea mi affascina, anche se tornare alla saggistica è stato più faticoso del previsto. Se la narrazione riesce a comunicare messaggi importanti e tocca davvero le persone, allora sì, potrebbe essere la strada giusta.