Don Gallo, il prete di strada che è stato un maestro di vita

Nella sua vita ha compiuto dei veri e propri miracoli con l'obiettivo di unire le persone e non separarle mai più. Ecco chi è stato, e sempre sarà, il prete degli ultimi

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

“Credo che non sarebbe stato molto obbediente ai divieti per il coronavirus” – si legge su Il Fatto Quotidiano -“Sarebbe andato in giro ad aiutare nonostante il rischio di ammalarsi. Non si sarebbe risparmiato come ha fatto sempre: basti pensare che già gravemente malato fece ancora incontri fino al 24 aprile”.

A parlare di lui è Liliana Zaccarelli, la sua collaboratrice storica, colei che è stata sempre al fianco di Don Gallo, dal 1983 fino alla fine dei suoi giorni. Ed è lei a ricordarlo nella sua più pura genuinità, quella che avevamo imparato a conoscere e ad apprezzare.

Perché lui è stato e sempre sarà il prete degli ultimi, un maestro di vita, un uomo immenso e generoso che ha accolto tutti, indistintamente, senza pregiudizi o remore alcuna. Ecco chi era Don Gallo.

Il prete degli ultimi

Una devozione, la sua, che l’ha portato ad andare oltre al suo stesso ruolo, scontrandosi con una serie di critiche e difficoltà che però non l’hanno mai fermato. Perché questo era Don Gallo, l’uomo che accoglieva quelli che la società definita “ultimi”, quelli che secondo gli altri non hanno diritto a una seconda possibilità. Ma per lui ce l’avevano eccome, e anche una terza e una quarta qualora fosse stato necessario.

Sono passati anni dalla sua prima messa nella piccola chiesa di San Benedetto del Porto avvenuta il giorno dell’Immacolata del 1970, e da quel giorno in cui si è spento nel maggio del 2013, ogni 8 dicembre la comunità di Genova, e non solo, lo celebra.

Ora lui non c’è più, ma a perpetuare la sua parole e le sue azioni ci sono tutte le persone che sono state al suo fianco e con lui hanno condiviso la missione di salvare gli ultimi. Gli stessi che Don Gallo definiva amici e compagni.

La sua comunità, infatti, oggi conta ben sei strutture dislocate tra Genova e Alessandria che accolgono ogni giorno ex detenuti, ex prostitute e tossico dipendenti. Tutti qui hanno il medesimo valore, né un po’ di più, né un poco meno.

Don Gallo, una vita per gli altri

Nato il 18 luglio del 1928 a Campo Ligure, Don Andrea Gallo è considerato un anarchico cristiano, ma certo è che quello che ha fatto in vita va oltre una semplice definizione. Presbitero, partigiano, pacifista ed educatore, ha fondato la Comunità di San Benedetto al porto di Genova.

I suoi sono stati dei veri e propri miracoli che hanno salvato tutti quelli che la società considerava reietti. Tutto è iniziato quando Don gallo è stato allontanato dalla parrocchia del Carmine dal Cardinale Siri per la sua condotta poco consona da parte degli altri. Era considerato un prete scomodo, che disobbediva alle regole, che si spingeva troppo oltre soprattutto a favore degli emarginati.

Perché l’educazione che impartiva agli altri era basata sulla fiducia e la libertà. E non sulla punizione. Nel riformatorio per minori Don Gallo invitava gli altri a uscire, ad andare al cinema e ad auto gestirsi in determinati momenti della giornata. Ma questo non poteva essere accettato dagli altri, dai suoi colleghi di fede, perché andava contro alle rigide espiazioni della pena che invece erano state contemplate per gli altri.

Così venne mandato via. Gli venne offerto un posto sull’isola di Capraia che però rifiutò. Ad accoglierlo nel 1970, nella sua parrocchia di San Benedetto, fu poi Don Federico Rebora.

Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri.

Fu allora che, finalmente, potè dedicare la vita gli altri, a quelli che ormai per la società erano “senza speranza”. In poco tempo la piccola chiesa divenne un vero e proprio punto di aggregazione. Qui gli ultimi della società si sentirono finalmente a casa perché erano ascoltati e compresi da Don Gallo. Così venne fondata la Comunità di San Benedetto al Porto.

Don Gallo e i suoi miracoli

Don Andrea Gallo si espose, forse anche troppo, rispetto al suo ruolo. Chiese la legalizzazione delle droghe leggere e venne multato nel 2006 per aver fumato Cannabis di fronte al Palazzo Doria-Tursi, sede del comune di Genova, in segno di protesta.

Accolse a braccia aperte Giuliano Naria, il giornalista ingiustamente accusato di terrorismo, e ascoltava orgogliosamente la musica di Piero Pelù e Vasco Rossi con i quali strinse anche una forte amicizia. Era sempre un passo avanti su tutto e tutti, Don Gallo, e non si tirava mai indietro nei dibattiti politici e sociali.

Nell’aprile del 2008 aderì a uno dei V-Day organizzati da Beppe Grillo, auto proclamandosi anarchico. Ma fu l’anno successivo che, il suo nome, finì sulla bocca di tutti, nel bene e nel male. Il 27 giugno, infatti, Don Gallo partecipò al Genova Pride schierandosi a favore dell’amore universale, quello che non conosce limiti di genere. La sua polemica è diventata storia: in quell’occasione il prete chiese alla Chiesa cattolica di accettare l’amore tra omosessuali.

Non si fermo a questo, però, scegliendo di diventare ambasciatore del primo calendario Trans della storia del nostro Paese. Così nel 2011, per la prima volta, un prete venne dichiarato Personaggio Gay dell’Anno. Sosteneva, tra le tante cause, anche quella del sacerdozio femminile, convinto che uomini e donne dovessero avere stessi diritti e pari opportunità.

Il 4 dicembre del 2009 Don Andrea Gallo fu insignito del Premio Fabrizio De André per il libro Sopra ogni cosa. Il vangelo laico secondo Fabrizio De André nel testamento di un profeta, al quale lavorò insieme a Vauro Senesi che si occupò delle vignette. Tornò poi a scrivere un testo a quattro mani, insieme a Loris Mazzetti: Sono venuto per servire.

I miei vangeli non sono quattro… Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo Fabrizio De André, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori.
(Don Andrea Gallo, intervista a Rai Tre- Wikipedia)

E nonostante gli impegni, le partecipazioni alla vita sociale, politica e pubblica, Don Gallo trovava sempre il modo di tornare a casa, nella comunità dei “suoi drogati” così come li chiamava lui con quel pizzico di ironia che gli è sempre appartenuta. Perché del resto il suo unico obiettivo era quello di creare una chiesa universale, che non separasse le persone, ma che anzi le unisse. Ed è quello che ha fatto, fino a quando il suo corpo gliel’ha permesso.

«Durante un tributo a Fabrizio De André, a cui parteciparono i big della canzone, Dori Ghezzi riservò 250 posti per me, e io mi presentai a teatro coi miei derelitti. Qualcuno dell’organizzazione intendeva mandarli nel loggione, confinarli lassù, con la scusa che non c’era più spazio a disposizione. “Non vi preoccupate – dissi – ci penso io”. Fermai il traffico della sala e come un vigile li feci sedere in platea, tre qui, due là, tossici, barboni, prostitute accanto a notai, dame e politici. “No, lì no – mi intimarono – “Lì ci va il ministro della Cultura Giovanna Melandri”. “Allora le mettiamo accanto una puttana delle vecchie case, vedrai come esce arricchita dall’incontro!”. Erano tutti molto preoccupati, mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che non potevo saperlo, essendo io un prete, non un indovino. Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano quelli che durante le canzoni piangevano veramente».

Il 22 maggio del 2013, all’età di 84 anni, Don Gallo si è spento. Da quel momento, per la sua comunità, è iniziato un nuovo viaggio doloroso  e difficile da affrontare: ricominciare nel suo nome, ma senza di lui.

Spalancare le braccia è il gesto che faccio più spesso da quando la ragione e il cuore mi aiutano a vivere.