Pesce crudo e anisakis: come prevenire l’anisakidosi

Nausea, vomito e dolori alla “bocca dello stomaco” sono i sintomi più comuni. Congelamento e cottura minimizzano i rischi

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Luana Trumino

Editor specializzata in Salute & Benessere

Laureata in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, da oltre 15 anni scrive di benessere, occupandosi prevalentemente del rapporto tra nutrizione e salute.

Specialità culinarie crude come carpacci di pesce spada, tonno, branzino o salmone, sushi e sashimi sono tra gli alimenti più amati in estate. Se in passato l’impiego di pesce crudo nel nostro paese era limitato alla preparazione di piatti tipici come le alici marinate e la bottarga, peraltro non esenti da rischi, con l’avvento delle culture e delle tradizioni multietniche il consumo di prodotti animali crudi o poco cotti è ulteriormente aumentato. 

Ma gli esperti mettono in guardia: alta è la possibilità che il pesce crudo sia infestato da Anisakis, un patogeno pericoloso sia per forme di intossicazioni acute che croniche, estremamente diffuso anche nel Mediterraneo, dove vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato.

Sintomi dell’anisakidosi

Una volta ingerite, le larve di anisakidi spesso muoiono e non provocano disturbi. In alcuni casi, tuttavia, possono invadere la mucosa dello stomaco o dell’intestino causando la anisakidosi gastrointestinale.

La forma acuta dell’infezione è generalmente quella gastrica, caratterizzata da sintomi quali nausea, vomito e dolori alla “bocca dello stomaco” che possono comparire da 4 a 6 ore dopo aver mangiato pesce infestato. Nella forma intestinale, invece, i segnali possono manifestarsi anche 7 giorni dopo l’infezione con febbre, aumento dei globuli bianchi (leucocitosi), vomito, diarrea, dolori addominali e nausea. Talvolta, le larve possono perforare la mucosa gastrointestinale, causando emorragie.

In rari casi le larve si localizzano al di fuori dell’apparato gastrointestinale (nel mesentere, un ripiegamento della membrana che riveste la cavità addominale, nella cavità addominale etc.).

Possono anche provocare manifestazioni allergiche di vario grado che vanno dall’orticaria alla congiuntivite fino, nei casi più gravi, allo shock anafilattico.

Incubazione, diagnosi e terapia

Nell’uomo, che è un ospite accidentale, questi parassiti non possono svilupparsi fino allo stadio adulto. Infatti, nel corpo umano gli anisakidi rimangono, in genere, per non più di due settimane, finendo inglobate in un piccolo aggregato di cellule infiammatorie chiamato granuloma.

Una volta stabilita la diagnosi attraverso l’esame endoscopico, in genere – scrivono gli esperti dell’Iss – la cura migliore è la rimozione endoscopica dei parassiti dal tratto gastrointestinale, sempre che sia possibile (nelle forme gastriche). Tuttavia, in casi gravi, per esempio nell’ostruzione intestinale, nell’appendicite o nella peritonite, è necessario un intervento chirurgico. Sono stati descritti casi in cui il trattamento con farmaci antiparassitari quali l’albendazolo ha portato al successo terapeutico.

Come prevenire l’intossicazione da Anisakis

Il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare una infezione da anisakidi.

Con il decreto del 17 luglio 2013, il Ministero della salute ha reso obbligatoria l’esposizione nei punti vendita di un cartello in posizione ben visibile riportante le seguenti indicazioni: “Informazioni al consumatore per un corretto impiego di pesce e cefalopodi freschi. In caso di consumo crudo, marinato, non completamente cotto, il prodotto deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a -18 °C in congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle”.

Per prevenire l’anisakidosi si consiglia quindi di:

  • Togliere le viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli (parti che si mangiano).
  • Assicurarsi che il pesce nella sua totalità, anche le parti più grosse, sia congelato a meno 18 gradi (-18°) per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura). Solo dopo questo trattamento si potrà consumare il pesce crudo (sushi, sashimi, carpacci, pesce affumicato a freddo, pesce marinato) o poco cotto
  • Cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, anche le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti.

A livello dei punti vendita o dei ristoranti è invece obbligatorio l’uso del cosiddetto abbattitore, uno strumento in grado di indurre un rapidissimo abbassamento della temperatura inferiore a -20 °C per almeno 24 ore. Ristoranti e pescherie devono altresì indicare al consumatore quali dei loro prodotti sono stati sottoposti all’abbattimento.