Il processo dell’anno negli Usa, quello contro il rapper Puff Diddy, alias Sean Combs, ieri uno degli uomini più potenti di Hollywood, produttore musicale tra i più influenti, amico degli artisti più famosi, molti dei quali oggi tremano, fidanzato con le donne più belle (Jennifer Lopez), capace con un solo schiocco delle dita di riunire nei suoi famigerati White Party tutto i gotha di Hollywood, oggi detenuto accusato di reati gravissimi, si è concluso con una sentenza shock. Che ha fatto piangere di gioia i famigliari di Diddy, di rabbia tutte le vittime e le donne che lo avevano accusato, avevano trovato il coraggio di farsi avanti e denunciare.
La sostanza è questa: la difesa è riuscita a dimostrare che Diddy era “un pessimo fidanzato, un idiota che ogni tanto picchiava le donne, ma non certo un diabolico trafficante di sesso che aveva architettato un’organizzazione criminale e mafiosa volta allo sfruttamento della prostituzione a alla schiavitù delle donne”. Le sue relazioni con le donne erano tossiche e guidate dalla gelosia, dal possesso, ma non erano criminali. E così il rapper dall’ergastolo che rischiava inizialmente potrebbe cavarsela con una ventina d’anni massimo.
E mentre la difesa, i familiari, i fan esultano, Diddy si inginocchia a pregare, le sue vittime piangono, convinte che sia una grandissima sconfitta per tutte le vittime di violenza.
Il pubblico ministero Maurene Comey ha dichiarato che il governo chiederà una pena massima di 20 anni per Combs (10 per ognuno dei due capi d’accusa di cui è stato riconosciuto colpevole) , mentre la sua difesa si batterà per una pena inferiore e ha chiesto che venga liberato con una cauzione di 1 milione di dollari in attesa della sentenza. Come dicevamo, dall’ergastolo a poco più di una ma manciata di anni di carcere.
A nulla sono valse le tante testimonianze, i video di violenza che hanno fatto inorridire la giuria: Combs se l’è cavata alla grande. In compenso resta in carcere per ora, perché secondo la procura in libertà “continuerebbe a rappresentare un pericolo per gli altri”: l’ultimo episodio di violenza su una ex compagna per cui è finito nei guai risale al 2024 quando già sapeva di essere sotto inchiesta. Il giudice Arun Subramanian gli ha quindi negato la libertà su cauzione, argomentando che i reati di traffico di persone a scopo prostituzione di cui è stato riconosciuto colpevole impongono che il condannato resti dietro le sbarre.

L’accusa, i pubblici ministeri, non sono riusciti a dimostrare la sua colpevolezza per aver intrappolato tante donne in uno stato di schiavitù sessuale. Un verdetto che ha dimostrato quanto sia necessario un cambiamento nel sistema giudiziario americano. “Speravano che il suo coraggio e la sua testimonianza avrebbero aperto la strada a un maggior numero di vittime che si facessero avanti, ma così non sarà”.
Il team di avvocati di fama di Diddy ha convinto la giuria presentando messaggi che suggerivano come le donne fossero partecipanti volontarie alle famigerate sessioni di “freak off”, festini a base di sesso selvaggio e promiscuo.
L’accusa, di contro, non è riuscita a presentare uno scenario chiaro per associazione a delinquere, ovvero l’idea che Diddy e la sua squadra di gregari avessero creato una vera organizzazione criminale, attraverso la quale gli abusi sarebbero stati facilitati e perpetrati abitualmente.
Nonostante le testimonianze dettagliate di Cassie Ventura, l’ex fidanzata dalla quale tutto è partito (e che poi ha scoperchiato un vero vaso di Pandora, visto che molte altre donne si sono fatte avanti), nonostante i video in cui si vedeva Combs riempirla di pugni e trascinarla per i capelli. Nonostante le tante escort assoldate dal rapper che hanno confermato l’uso costante di violenza, sia fisica che psicologica (“Se parli, sei morta”) le droghe usate per renderle incoscienti e arrendevoli, la sottomissione, Daddy, alla fine, era semplicemente un idiota che ogni tanto non si controllava né limitava.
Mentre il verdetto veniva letto ad alta voce in tribunale, la star si inginocchiava e pregava. E le vittime si sentivano ancora una volta tali, rese mute e arrendevoli da una giustizia in parte cieca.