Un nome iconico, un indirizzo simbolico, un dolore che non si spegne. A Miami Beach ha aperto un nuovo boutique hotel con annesso ristorante chiamato “Donatella”, situato a pochi passi da quella che fu la villa di Gianni Versace. La notizia ha fatto rapidamente il giro del mondo, accendendo immediatamente i riflettori su Donatella Versace, sorella dello stilista ucciso nel 1997. In molti hanno pensato a un suo coinvolgimento diretto nel progetto, magari a un nuovo business legato all’ospitalità di lusso, come già fatto dal brand Versace in passato. Ma la risposta della stilista è arrivata chiara e durissima.
Un nome che pesa, una memoria violata
L’hotel in questione si chiama ufficialmente Donatella Boutique Hotel & Restaurant. Sei camere da letto, interni lussuosi, un ristorante esclusivo. Sorge all’interno di una villa anni ’30 progettata da Wallace Tutt, lo stesso architetto che realizzò Casa Casuarina, la celebre residenza di Gianni Versace a Miami, dove lo stilista fu assassinato il 15 luglio 1997 con due colpi di pistola proprio sui gradini dell’ingresso. La vicinanza tra le due proprietà, unita al nome del locale, ha sollevato da subito domande e fraintendimenti.
L’operazione ha tutta l’aria del “richiamo facile”: stesso quartiere, stile Art Déco, atmosfera dorata e una tragedia mai dimenticata. Ma per Donatella Versace, questa sovrapposizione non ha nulla di affascinante.
Ha anzi il sapore amaro dello sfruttamento. Con un comunicato social diffuso via Instagram, la direttrice creativa di Versace ha deciso di rompere il silenzio: “Voglio essere chiara. L’hotel e il ristorante ‘Donatella’, situati nei pressi della proprietà dove è stata persa la vita mio fratello, non ha mai avuto e non avrà mai nulla a che fare con me o con la mia famiglia”.
Un messaggio netto, che non lascia spazio a interpretazioni. La stilista ha voluto ribadire, senza mezzi termini, il suo totale distacco dal progetto, che ha definito un tentativo inaccettabile di strumentalizzazione: “Cercare di trarre profitto dalla nostra tragedia e dal mio nome è vergognoso”.
La ferita mai chiusa della famiglia Versace
L’omicidio di Gianni Versace, figura leggendaria della moda italiana e internazionale, fu uno shock globale. L’assassino, Andrew Cunanan, un tossicodipendente con precedenti per prostituzione maschile, lo colpì a morte all’alba del 15 luglio, lasciando sgomenta non solo l’alta moda, ma il mondo intero.
Da allora, la villa in Ocean Drive è diventata un luogo di memoria, un simbolo intoccabile. E, proprio per questo, aprire un locale a pochi passi da lì con il nome “Donatella” è apparso a molti – e alla stessa stilista – come una mossa di cattivo gusto, un tentativo commerciale di capitalizzare su una ferita mai rimarginata.
Lo sfogo di Donatella è più di una dichiarazione pubblica: è una presa di posizione netta a tutela della propria famiglia, della propria dignità e del proprio dolore.
Non è la prima volta che la memoria di Gianni viene evocata in progetti esterni al controllo diretto dei Versace, ma raramente si era assistito a una reazione tanto sentita da parte della sorella. Segno che qui, più che in altri casi, si è toccato un punto troppo sensibile. L’idea che qualcuno possa trarre beneficio economico dal solo evocare un cognome potente, accostandolo a un luogo carico di significato e dolore, è apparsa insopportabile.