Un difficile racconto, quello di Cinzia Leone a La Volta Buona. Ripercorrendo gli ultimi tre decenni della sua vita, ha infatti svelato i dettagli della malattia che ha stravolto la sua quotidianità. Una lunga e dura lotta, scandita da una costa ricerca di movimento per tornare a sorridere.
Cinzia Leone, 30 anni dopo l’aneurisma
Era all’apice della propria carriera, Cinzia Leone, quando ha quasi perso la vita a causa di un aneurisma. Sua madre l’aveva convinta a uscire di casa per andare alla prima di un film di Francesco Nuti. Lei non si sentiva affatto bene ma, del resto, trattandosi del lavoro, presenziare era molto importante.
Questa scelta, suggerita dalla mamma, le ha salvato la vita. Era il 21 dicembre del 1991 ed ecco il sunto di Caterina Balivo: “Durante questa presentazione, lei si sente male. Ha un aneurisma e Francesco Nuti capisce subito la gravità. Non aspetta l’ambulanza, la mette in macchina e la porta all’ospedale”.
Considerando la gravità del caso, nessuno voleva operarla. Un medico ha poi avuto il coraggio di portarla in sala operatoria ma tutto si svolge negli Stati Uniti. Di ritorno a casa, però, ha avuto inizio per lei un lunghissimo periodo di riabilitazione.
La riabilitazione
Cinzia Leone ha dovuto lottare prima di tutto nella propria mente. È stata una lunghissima lotta per riconquistare la libertà di muoversi. Qualcosa che è passato anche attraverso il ballo. Ricoverata presso la clinica Santa Lucia, accade un giorno qualcosa di sorprendente nel parcheggio della struttura.
La logopedista la prende in disparte e le dice: “Tutta la clinica ha commentato il fatto che lei ha messo la musica e si è messa a ballare nel cortile del parcheggio. Le ho detto di sì, che l’avevo fatto, ma che era bello”.
Un messaggio per sé e per tutti gli altri ricoverati. In quella condizione non giungeva alcuna spinta a rompere l’equilibrio. Erano tutti bloccati e invece lei voleva ballare, sentirsi libera, soprattutto nella propria mente.
“Quel ritmo era il ritmo della vita. (…) Tutto questo (il recupero del movimento e dell’identità, ndr) ha richiesto un periodo che è durato 30 anni. Ne avevo 32 e non sapevo quanto ci avrei messo. La presa di coscienza è giunta in seguito, quando ho capito che non ci avrei messo un anno”.
Una storia commovente, che dimostra ancora una volta come tutto possa cambiare in un attimo. Ancora oggi, però, ringrazia sua madre. Quella sua spinta, infatti, l’ha salvata. Fosse rimasta a casa da sola quella sera, ha raccontato, non ce l’avrebbe mai fatta.