I numeri ballano, quando si parla di malattie rare. Prese una per una, a volte interessano un numero minimo di persone. Ma tutte insieme mediamente interessano tra il 3,5% e il 5,9% della popolazione. Il 28 febbraio, come ogni anno si celebra la Giornata Mondiale dedicata a queste patologie, il Rare Disease Day.
Come ogni anno in Italia sono previste numerose manifestazioni di sensibilizzazione e conoscenza sul tema. In particolare, come ricordano tra gli altri gli esperti dell’Osservatorio Malattie Rare (OMaR), è il momento giusto per accendere una luce importante sul tema della diagnosi precoce, che può avvenire anche attraverso lo screening neonatale. Al momento sono già in atto numerose opportunità in questo senso, con il nostro Paese che rappresenta un modello virtuoso nel panorama internazionale. Ma esistono ancora differenze tra regione e regione sul territorio italiano.
Indice
Quando si parla di malattia rara
Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti in una specifica popolazione, non supera la soglia dello 0,05 % della popolazione. Cosa significa? Non debbono essere superati i 5 casi di patologia su 10.000 persone. Sia chiaro: si tratta di una soglia che caratterizza alcune patologie, ma non va dimenticato che molte di queste, sono malattie ultrarare: si giunge solo a una frequenza dello 0,001%, cioè un caso ogni 100.000 persone.
Infine, ci sono anche i tumori rari, per definirli ci si basa su una soglia di incidenza di 6 casi su 100.000 nella popolazione europea. Applicando questa soglia, i ricercatori hanno individuato poco meno di 200 neoplasie rare. Il concetto di rarità non deve però trarre in inganno, rara è la singola patologia, ma quelle note sono circa 10.000 e quindi le persone che ne sono affette sono molte: in Italia la stima è di circa 2 milioni di persone e circa 30 milioni in Europa. Si tratta di stime, avere un conto esatto è ancora difficile: i registri ci sono, ma spesso sono incompleti.
Le malattie rare ancora senza nome
Inoltre, tantissime persone sono ancora oggi alla ricerca di una diagnosi e quindi sono difficili da conteggiare. Secondo una stima elaborata nel Regno Unito, infatti, ogni anno nascono 6.000 bambini che rimarranno senza diagnosi. Un dato che, proiettato sull’Europa, ci racconta di 65mila nuovi casi l’anno destinati a rimanere nel limbo delle malattie senza nome. In Italia, poi, le stime dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma fanno riferimento a oltre un milione i ragazzi affetti da una malattia rara sotto i 16 anni, il 40% dei quali rimarrà senza diagnosi.
Come nascono le malattie rare
L’origine di queste patologie in oltre l’80% dei casi è genetica. Questo significa che sono presenti fin dalla nascita, anche se a volte si manifestano con il passare degli anni. Il 20% delle patologie coinvolge persone di età inferiore ai 14 anni. In questa popolazione di pazienti, le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite (45%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione o del metabolismo e i disturbi immunitari (20%). Per i pazienti adulti, invece, le malattie rare più frequenti appartengono al gruppo delle patologie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%) o del sangue e degli organi ematopoietici (18%).
Come si affrontano le malattie rare
L’intervento in alcuni casi significa prevede semplicemente di seguire una particolare dieta o assumere una supplementazione di vitamine, in altri casi invece significa avviare la persona verso un trapianto di cellule o una terapia farmacologica, che in certi pazienti, oggi, può anche essere una terapia genica. Sul fronte delle terapie infatti molte conquiste sono state fatte negli ultimi 25 anni, grazie al sempre più frequente sviluppo dei cosiddetti “Farmaci Orfani”, ovvero destinati alla cura di malattie rare senza alcuna altra opzione terapeutica.
Cosa sono i farmaci orfani
Stando a quanto riporta il sesto rapporto OSSFOR sarebbero 130 i farmaci orfani autorizzati a livello europeo, di questi 13 sono arrivati nell’ultimo anno e 122 sono disponibili in Italia. L’80% dei farmaci orfani è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale e il restante 20% è in fascia C o in attesa di negoziazione. In termini di accesso, dunque, il nostro Paese è secondo solo alla Germania. Per i farmaci orfani, la spesa totale nel 2021 (acquisti diretti + convenzionata) è stata pari a 1,53 miliardi di euro (in rialzo del 9,4% rispetto al 2020) rappresentando circa l’8% della spesa farmaceutica a carico del Servizio Sanitario Nazionale-SSN. La spesa per i farmaci orfani di classe C è stata lo 0,97% della spesa complessiva per i farmaci orfani, pari a 14,9 milioni di euro (stabile rispetto all’anno precedente). I consumi invece, si attestano a 8,4 milioni di dosi di farmaci orfani (+3,7% rispetto all’anno precedente), pari allo 0,03% del consumo complessivo di farmaci. (dati 6° Rapporto OSSFOR)
Nel nostro Paese sono 53 le aziende farmaceutiche titolari di farmaci orfani di classe A e H (a fronte delle 1.800 complessivamente presenti nel mercato SSN nel 2021). La maggior parte delle aziende produttrici di farmaci orfani ha un fatturato SSN annuo al di sotto dei 600 milioni di euro, una quota di spesa dei farmaci orfani sul fatturato aziendale pari in media al 23%: esse assorbono il 6% del mercato totale SSN (A-H), ossia il 57% della spesa totale per farmaci orfani.
La maggior parte delle aziende che producono farmaci orfani sono industrie specializzate, di piccola o media dimensione, anche se l’impegno delle Big Pharma nel settore sta crescendo tramite ricerca propria o acquisizioni. L’incidenza del fatturato aziendale sulla spesa SSN è pari al 53,6%. Per queste aziende la spesa dei relativi farmaci orfani impegna in media il 19,1% del fatturato aziendale totale. Delle 53 aziende solo 13 producono esclusivamente farmaci orfani, la più grande ha fatturato circa 30 milioni nel 2021.
Quanto serve lo screening per la diagnosi precoce
Da recenti studi di EURORDIS – Rare Diseases Europe, il tempo medio di ritardo fra la comparsa dei primi sintomi e l’effettiva diagnosi è di oltre 4,1 anni. Nel progetto di Foresight Study Rare 2030, uno degli obiettivi è proprio quello di ridurre questo tempo medio, entro il 2030, fino a circa un anno. Questo è uno degli obiettivi della campagna di UNIAMO: portare l’attenzione di tutti i cittadini, delle Istituzioni e del Governo sulle sfide e difficoltà che le persone con malattia rara incontrano durante il loro percorso verso la diagnosi.
Il primo scoglio da superare è proprio la diagnosi, che spesso arriva dopo anni di visite e dopo una o più diagnosi errate. La diagnosi precoce è molto importante, spesso rappresenta la condizione essenziale per intervenire prima che la malattia causi danni irreversibili o anche la morte. Per questo la richiesta di clinici e pazienti è di agire su tre fronti: maggiore formazione dei medici, anche quelli ‘di base’; diffusione delle scienze omiche – quelle indagini del genoma che consentono velocemente e a prezzi contenuti di individuare mutazioni patologiche; ampliamento delle malattie da ricercare attraverso lo Screening Neonatale Esteso (SNE), un esame che viene eseguito alla nascita su una goccia di sangue. Oggi, grazie alla legge 167/2016, sono ricercate alla nascita 48 malattie, ma ce ne sono ancora una decina che potrebbero essere aggiunte alla lista, che deve essere aggiornata. L’auspicio è quindi che si arrivi presto ad avere quasi 60 patologie tra quelle ricercate dallo SNE.
Cosa si fa con lo screening neonatale esteso
Con lo screening neonatale esteso in Italia oggi si ricerca la possibile presenza di 48 diverse malattie. Tra queste la fibrosi cistica, l’ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria (obbligatorie già dal 1992) ed altri difetti congeniti del metabolismo intermedio. Le patologie identificate oggi fanno parte di un gruppo di oltre 600 disturbi causati da un deficit specifico di una delle vie metaboliche. Queste condizioni costituiscono circa il 10% delle malattie rare, e possono causare seri problemi di salute a partire dall’età neonatale o infantile e sono in certi casi potenzialmente letali. La diagnosi e il trattamento precoce possono invece prevenire la comparsa di disabilità fisiche e intellettive, nonché evitare la morte.
Lo scopo dello screening neonatale metabolico è quello di rilevare le condizioni potenzialmente fatali o invalidanti nei neonati il prima possibile, possibilmente prima che il bambino mostri i segni o i sintomi di una malattia. Una diagnosi precoce permette di iniziare immediatamente il trattamento terapeutico, che riduce o addirittura elimina gli effetti della patologia. Molte delle condizioni rilevabili dallo screening neonatale, se non trattate, causano sintomi ed effetti gravi, come danni permanenti al sistema nervoso, disabilità intellettive, fisiche e dello sviluppo, e in alcuni casi anche la morte.
Quali screening neonatali sono disponibili
Alla fine del 2020 erano 7 le patologie che, rispettando i criteri riconosciuti dalla comunità scientifica, potevano aspirare ad essere inserite nella lista nazionale (panel) di quelle ricercate alla nascita attraverso lo screening neonatale, in aggiunta alle 48 già cercate. In attesa di un aggiornamento del panel – che doveva essere fatto dal Ministero della Salute entro il giugno 2021 – grazie ai progressi della medicina il numero di malattie per le quali oggi si potrebbe intervenire precocemente è salito a 10, con l’aggiunta di tre patologie che oggi hanno un test valido e una terapia efficace.
Oltre alle malattie di Fabry, Gaucher, Pompe, mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I), atrofia muscolare spinale (SMA), immunodeficienza ADA–SCID e adrenoleucodistrofia X-linked (X–ALD), che già nel 2020 avevano tutte le carte in regola, ne entrano altre tre: l’immunodeficienza PNP–SCID, le altre immunodeficienze rilevabili con test TREC/KREC e la sindrome adrenogenitale. Per tutte queste 10 patologie oggi esistono dei test facilmente eseguibili, già utilizzati in progetti regionali in Italia, e per tutte si può intervenire efficacemente con terapie farmacologiche, incluse alcune terapie geniche, con il trapianto o una dieta specifica, dando a chi ne è affetto una prospettiva di vita in salute o comunque con un carico di malattia molto più lieve.
Per ciascuna di queste patologie ci sono già esperienze di screening neonatale in diverse Regioni italiane che hanno portato nel tempo a salvare la vita a decine di bambini. Solo con un inserimento nel panel nazionale, però, si potrà raggiungere l’uniformità in tutta Italia, e dare così le stesse opportunità ad ogni bambino. “Ogni giorno di ritardo nell’implementazione della legge 167/2016 può costare la vita o la salute a uno di loro – segnala Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttrice di Osservatorio Malattie Rare. I termini per l’aggiornamento sono scaduti da tempo”.
Come si fa lo screening neonatale
Lo screening neonatale è un vero e proprio processo, che inizia con un esame del sangue, un prelievo che sui neonati si esegue sul tallone, ed è scarsamente doloroso. In primo luogo, il personale ospedaliero compila una scheda con tutte le informazioni essenziali del bambino: nome, sesso, peso, data e orario di nascita, data e orario del prelievo di sangue, dati e contatti dei genitori. Una parte della scheda è costituita da una speciale carta assorbente utilizzata per raccogliere il campione di sangue. Dopo aver riscaldato e attentamente sterilizzato il tallone del bambino, il personale sanitario esegue una piccola puntura, facendo uscire dal tallone alcune gocce di sangue, che vengono messe a contatto con la carta assorbente, fino a quando tutti i cerchi stampati sulla scheda conterranno un campione di sangue (per questo chiamato “spot”).
La scheda viene quindi inviata al laboratorio di riferimento, dove il sangue viene testato per le varie condizioni che compongono il pannello dello screening neonatale. Nel caso in cui il risultato del test fosse positivo i genitori vengono richiamati dal punto nascita o dal centro screening per eseguire ulteriori accertamenti, chiamati test di conferma diagnostica. Questi accertamenti possono comprendere ulteriori esami del sangue, delle urine, ma anche test genetici.
Nel caso in cui si arrivi alla conferma della diagnosi di una delle patologie sottoposte a screening – analogamente a quanto avviene per la fibrosi cistica e l’ipotiroidismo congenito – sarà necessario procedere immediatamente alla presa in carico del piccolo nel Centro Clinico di Riferimento che provvederà ad iniziare il trattamento per la specifica patologia (potrebbe essere necessario un trattamento dietetico specifico, una terapia farmacologica o anche solo un’attenta sorveglianza). La presa in carico, come determinato per legge, sarà effettuata dal Centro Clinico di Riferimento, esperto nella cura delle malattie individuate. Il sistema di cure individuato in Italia per le Malattie Rare è il modello della rete composta da presidi accreditati e centri regionali e interregionali di riferimento coordinati tra loro.
Come si comportano la Regioni con lo screening neonatale esteso
Nell’attesa, ormai lunga, dell’aggiornamento del panel nazionale tante Regioni, consapevoli del valore di questa misura, si sono mosse da sole aggiungendo altre patologie al proprio panel, una misura senza dubbio lodevole ma che ha portato a importanti differenze regionali: su 20 Regioni, 16 hanno attivato autonomamente almeno un programma. A guidare la classifica di quelle che hanno aggiunto il maggior numero di condizioni attualmente già ricercate c’è la Puglia con 10 patologie in più rispetto al panel nazionale; a seguire l’Abruzzo (7), il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana (5), il Trentino (4), la Lombardia e la Liguria (2), il Piemonte, la Valle d’Aosta, il Lazio, la Campania e la Sicilia (1).
Sono numerosi, però, i progetti pilota che sono in fase di avvio: sette in Lombardia, due in Toscana e uno nelle Marche, in Campania e in Basilicata. Va comunque segnalato molti di questi progetti sono “sperimentali” e a scadenza saranno soggetti a riconferma, mentre solo la Puglia (per tutte le 10 malattie), il Triveneto e la Toscana (per 4 patologie), il Lazio (per la SMA) e la Lombardia (per le SCID) le hanno stabilmente inserite per legge regionale. Solo l’auspicato inserimento di tutte le patologie “in attesa” nel pannello nazionale di screening potrà garantire che i neonati abbiano tutti gli stessi diritti, a prescindere dalla Regione di nascita.
Cosa fa l’Osservatorio Malattie Rare
Da 13 anni uno dei principali punti di riferimento per la comunità delle malattie rare, il portale Osservatorio Malattie Rare (OMaR) è l’unica testata giornalistica interamente dedicata. Dal 2010, fornisce informazioni scientificamente validate su malattie e tumori rari, realizza campagne di informazione e comunicazione, guide pratiche dedicate agli utenti ed eroga formazione giornalistica certificata. Il portale contiene oltre 20.000 articoli e registra mediamente 850.000 contatti al mese.
Dotato di un Comitato Scientifico di oltre 40 medici, ricercatori e docenti universitari, opera in partnership scientifica con Orphanet Italia, Fondazione Telethon, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ed EUPATI e collabora attivamente con le oltre 350 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare. Dal 2013 è stata attivata la help line “Esperto Risponde” dedicata a una serie di patologie rare, curata gratuitamente da specialisti esperti, mentre dal 2017è stata aggiunta la help line giuridica “Sportello Legale”. A partire dal 22 Febbraio ha lanciato l’ultima delle sue campagne: “The Rare Side – Storie Uniche, Bi Sogni comuni”, per parlare attraverso storie reali la vita quotidiana e i sogni di chi vive con una malattia rara.
Fonti bibliografiche
OMAR, Osservatorio Malattie Rare
Centro nazionale malattie rare, Istituto Superiore di Sanità (ISS)