Malattie infiammatorie intestinali croniche: impatto sulla fertilità e cure

Malattia di Crohn, Colite ulcerosa colpiscono soprattutto tra i 15 e 40-45 anni: quale impatto hanno su fertilità e gravidanza e le cure disponibili

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Malattia di Crohn. Colite ulcerosa. Sono le più diffuse malattie croniche infiammatorie dell’intestino. E purtroppo, visto che si presentano soprattutto in età giovanile, tra i 20 e i 40 anni, possono anche impattare sul benessere riproduttivo della donna. Su questi aspetti si sono soffermati in occasione del convegno “L’universo femminile nelle IBD”, tenutosi a Padova.

Gli studiosi hanno confermato che queste patologie impattano sin dalla giovane età sulla vita della donna, e hanno segnalato l’importanza di sensibilizzare l’attenzione della medicina, ma anche della popolazione, a cogliere i primi segnali di queste malattie per promuovere la diagnosi precoce e poterle controllare meglio.

Impatto su fertilità gravidanza e allattamento

Queste patologie sono ancora poco diffuse. Ma sono presenti, eccome. “In Italia abbiamo circa 250.000 pazienti che ne sono affetti, con un’equa ripartizione tra uomini e donne, e una prevalenza di circa lo 0,3 per cento della popolazione – segnala Fabiana Castiglione, Professore Associato di Gastroenterologia, Direttore UOSD Terapie avanzate delle malattie infiammatorie croniche intestinali – Università degli Studi di Napoli Federico II.

Ma il loro impatto, soprattutto sulle donne, può essere molto importante. Non solo perché negli ultimi decenni si è assistito a un forte incremento di incidenza in generale di queste patologie, ma soprattutto perché il loro picco di incidenza è tra i 15 e 40-45 anni, quindi proprio nell’età riproduttiva della donna”. Da qui, spesso, la preoccupazione che possano influire negativamente sulla fertilità, sulla gravidanza, sulla salute del feto, sull’allattamento.

Molte paure che è necessario affrontare, anche nel dialogo tra medico e paziente, perché – e questa è la notizia – le terapie e la loro corretta gestione possono consentire alla paziente che ne è affetta di vivere senza preoccupazione le varie fasi della propria vita di donna. Infatti siamo di fronte a patologie croniche, che possono impattare anche sulla sfera sessuale della donna, con difficoltà che possono essere correlate alle fasi di attività di malattia, a fattori psicologici, e alla malattia perianale.

“L’impatto è significativo, da un lato per le terapie che possono richiedere farmaci immunosoppressori e biologici, e dall’altro perché spesso è necessaria la chirurgia, soprattutto nel caso della malattia di Crohn, con interventi, anche in età giovanile, che riguardando la zona addomino-pelvica, andando ad impattare su aspetti fondamentali, come la fertilità, sia sul piano psicologico, sia su quello anatomico – fa notare la Castiglione”.

Farmaci e chirurgia

La chirurgia è sicuramente uno degli elementi che impatta di più, ma molti sono i fattori legati a queste patologie che possono condizionare la vita riproduttiva di una donna. In primo luogo, il fatto di avere una malattia cronica e il timore di trasmettere la malattia ai figli. E qui c’è un primo importante punto da sfatare: “Queste malattie non sono ereditarie: c’è una familiarità, il che significa che in una famiglia può esserci maggior rischio di contrarle rispetto alla popolazione generale, ma non sono malattie ereditarie – sottolinea la Castiglione. Una paura questa che, con un counselling adeguato, si riesce ad annullare”.

Il secondo timore importante che hanno le pazienti – forse quello più radicato – è legato alla terapia farmacologica e all’effetto dei farmaci usati per l’IBD sulla gravidanza. E su questo fronte gli esperti segnalano che la maggior parte dei farmaci che vengono utilizzati sono assolutamente sicuri in gravidanza e anche durante l’allattamento. Ovviamente, caso per caso, occorre fare il punto con i medici che stanno seguendo la donna, ma ricordando che la gestione della terapia farmacologica e della patologia è una chiave fondamentale rispetto a varie fasi e aspetti della vita della donna.

Ciò vale come detto per la gravidanza, ma anche per la condizione di fertilità, rispetto alla quale le ricerche dicono che c’è effettivamente una riduzione, che è però soprattutto correlata alle fasi di attività della malattia. E anche qui il messaggio è che se la malattia è ben controllata, questo può avere un effetto favorevole, anche rispetto alla fertilità. E questa gestione corretta sul piano farmacologico è utile anche quando l’età avanza e sopraggiungo la menopausa e l’invecchiamento.

“Alcuni farmaci, come il cortisone, sono estremamente attivi, nel senso che hanno un potere antinfiammatorio che si esplica in maniera rapida ed estremamente efficace -spiega la Castiglione, Il cortisone però va utilizzato solo nelle fasi acute, e solo, in genere, in una prima fase di malattia, per lasciare il posto poi, in fasi successive di riacutizzazione, a farmaci che non hanno gli effetti collaterali del cortisone nel lungo termine. Questo è molto importante perché per esempio l’osteoporosi, che in genere tende a manifestarsi nelle donne in menopausa, può essere accentuata da una terapia steroidea prolungata. E proprio per questo è importante gestire la malattia in modo corretto dal punto di vista farmacologico. I farmaci biologici ci aiutano ad evitare la dipendenza dal cortisone, non prolungando così terapie che condizionano situazioni in cui già a livello fisiologico c’è un aumentato rischio di osteoporosi per la donna”.