Infiammazioni, una tazza di caffellatte potrebbe aiutarci a combatterle

Il caffellatte rafforza il sistema immunitario e ci protegge da infiammazioni e mali di stagione: cosa dice la ricerca

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 12 Aprile 2023 15:17

Per molti è una sorta di appuntamento immancabile. Quando si pensa al caffellatte della mattina, più o meno scuro a seconda dei gusti, la mente corre immediatamente al piacere del palato, ovviamente per chi ama questa bevanda. Ma ora la scienza prova a disegnare un nuovo ruolo per il cappuccino della colazione. E si arriva quasi ad un elogio della consumazione del risveglio.

Stando ad una ricerca in laboratorio (è sempre il caso di ricordarlo, perché si è solo all’inizio di un percorso) condotta dagli esperti dell’Università di Copenaghen infatti il particolare “miscuglio” non solo cromatico ed organolettico che si realizza armonizzando sapientemente i due ingredienti creerebbe una combinazione di proteine ed antiossidanti in grado di aumentare significativamente le proprietà antinfiammatorie delle cellule immunitarie.

Così agisce contro l’infiammazione

Anche se nemmeno ce ne rendiamo conto, il cappuccino potrebbe, se i dati verranno confermati nell’uomo, renderci meno proni all’infiammazione. Questo processo, si sa, disturba. Sia che si tratti del classico mal di gola di stagione, frutto dell’invasione dei virus che il corpo deve affrontare, sia che invece sia il frutto di una patologia autoimmune, capace di infuocare e rendere dolenti articolazioni pelle o altri distretti dell’organismo.

Lo studio è stato coordinato da Marianne Nissen Lund e Andrew Williams ed ha preso in esame i polifenoli, antiossidanti presenti soprattutto nei vegetali e capaci di favorire la lotta allo stress ossidativo che nel corpo rappresenta uno degli elementi che stimolano i processi infiammatori.

Cosa hanno fatto gli esperti danesi? Hanno provato a vedere cosa accade non solo prendendo i polifenoli da soli, ma anche mescolandoli ad altri principi nutritivi. In particolare in questo caso hanno provato ad associare sperimentalmente i polifenoli con specifici aminoacidi che costituiscono le proteine. E proprio da questa osservazione, riportata su Journal of Agricultural and Food Chemistry, è emersa l’ipotesi del ruolo protettivo del caffellatte, ovviamente all’interno di un’alimentazione equilibrata. Gli esperti hanno infatti osservato che le cellule immunitarie trattate con la combinazione di polifenoli e aminoacidi raddoppiavano la loro efficacia nella lotta all’infiammazione, rispetto alle cellule cui erano stati solamente “somministrati” solo polifenoli. Il cappuccino, con la miscela di caffè e latte, rappresenta una sorta di “campione” di laboratorio per testare l’associazione tra polifenoli contenuti nei chicchi di caffè e proteine (con conseguenti aminoacidi) del latte.

Non solo cappuccino

La ricerca mostra appunto questo effetto sulle unità del sistema immunitario, che potrebbe aiutare a sviluppare una più efficace risposta antinfiammatoria. Ovviamente, a detta degli esperti, non bisogna pensare solamente al caffellatte come potenziale alimento da sfruttare. Si può ipotizzare che qualcosa di simile possa avvenire anche quando si associano carni e verdure, oppure in un frullato di frutta che associ appunto i polifenoli dei vegetali con le proteine del latte o dello yogurt.

Ancora una volta, in ogni modo, la scienza rileva l’importanza del giusto cocktail per la prima colazione, pasto fondamentale per il benessere. E soprattutto rivela come l’associazione degli alimenti e la varietà dei piatti possa creare invisibili “cocktail” utilissimi per il benessere dell’organismo.

Parlando del latte, in ogni caso, occorre sempre prestare attenzione alle reazioni del singolo. Che a volte potrebbe non “sopportare” questa bevanda. Le variabili in gioco per gli intolleranti sono molte: contano ad esempio la quantità di lattosio che si ingerisce (è ben diverso bere un bicchiere di latte dal consumarne diverse tazze al giorno), l’età (i bambini hanno in genere un quantitativo maggiore di enzima preposto a scindere rendere disponibile questo zucchero del latte, poi nell’adulto la produzione dell’enzima stesso è legata solamente allo stimolo indotto dall’ingestione di lattosio) e la velocità  di svuotamento del tubo digerente. Insomma, la situazione va studiata con attenzione. E non da soli. La diagnosi di intolleranza reale va fatta dal medico partendo dai risultati del “Breath test”, un esame che consente di avere una risposta controllando il respiro dopo assunzione di una quantità nota dello zucchero.