Epatite C, cosa bisogna sapere per proteggersi e perché è difficile riconoscerla

L'epatite C è una malattia sottodiagnosticata, perché è difficile da riconoscere. Spesso asintomatica, l'infezione si può curare

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

A leggere le cifre c’è di che riflettere. Perché se quasi tre italiani su quattro hanno sentito parlare della malattia causata dal virus C dell’epatite, solo il 20% la conosce davvero. E se sei italiani su dieci sa che esiste un test per rilevare il virus, chiamato tecnicamente HCV, solo il 40% delle persone sa che esiste esiste la possibilità, per i nati tra il 1969 e il 1989 e per alcune categorie di persone a particolare rischio, di sottoporsi gratuitamente a questo test. Ancora: solo il 40% delle persone sa che l’infezione si può curare. Sono solo alcune delle cifre che emergono da un’indagine di AstraRicerche.

Ma bastano per far capire come occorra far qualcosa, anche perché l’infezione può non dare alcun segnale per anni, con il virus che continua a trasmettersi e soprattutto, in chi ha contratto l’infezione, può danneggiare il fegato fino anche a provocare la cirrosi e il tumore del fegato.

Per sensibilizzare le persone sulla patologia e sulle possibilità di una diagnosi precoce, che può far partire i trattamenti, parte la campagna “Epatite C. Mettiamoci un punto”, per favorire una maggior conoscenza dell’infezione da HCV e dell’importanza del test di screening. Anche perché basta poco.

Dall’indagine emerge come la propensione a fare il test aumenti esponenzialmente quando le persone vengono informate correttamente, passando dal 29,6% al 45,5% dopo aver letto un breve testo informativo su cosa è e come si trasmette l’epatite C. Tutto questo è importante perché esistono cure mirate nei confronti del virus.

Perché è importante conoscerla

La campagna parte da Milano, in concomitanza con il Congresso EASL, il più importante evento scientifico Europeo nell’ambito dell’epatologia – attraverso il Tram della sensibilizzazione che porta nelle vie del centro del capoluogo lombardo materiali informativi sull’epatite C e sulle modalità di trasmissione, invitando la popolazione ad eseguire il test di screening. Ma sono previste tante altre modalità di coinvolgimento delle persone in tutta Italia. L’importante è darsi da fare.

“Sebbene l’epatite C sia oggi una patologia curabile, c’è ancora un’importante quota di sommerso – sottolinea Stefano Fagiuoli, Direttore Unità Complessa di Gastroenterologia, Epatologia e Trapiantologia ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo; Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina Università Milano Bicocca.

In parte perché questa infezione può agire silenziosamente anche per decenni, danneggiando progressivamente il fegato e provocando una cirrosi che può trasformarsi in tumore, in parte perché non c’è adeguata consapevolezza sulle modalità di trasmissione del virus. È fondamentale, dunque, informarsi e fare il test. In alcune regioni  è attivo un programma di screening gratuito dell’epatite C per i nati tra il 1969 e il 1989 che bisognerebbe allargare alla popolazione generale. Investire in uno screening di tutta la popolazione significherebbe infatti ridurre costi economici e sanitari in soli 4 anni, oltre a ridurre il carico di malattia e di morte, migliorando di conseguenza la qualità di vita delle persone”.

Cos’è l’epatite C e che virus la provoca

L’epatite C è una patologia infiammatoria che colpisce il fegato ed è causata dall’infezione di un virus, HCV (Hepatitis C Virus). In risposta alla presenza del virus, l’organismo umano sviluppa una risposta immunitaria per eliminarlo. Subito dopo il contagio, che avviene per contatto diretto con sangue infetto, si sviluppa la cosiddetta infezione acuta che può durare fino a sei mesi ed è solitamente asintomatica.

Nella maggior parte dei casi la risposta immunitaria non è sufficiente a eliminare il virus e l’infezione entra nella fase cronica. cosa accade? Continua a infettare le cellule del fegato stimolando una reazione continua del sistema immunitario che provoca con il tempo la morte delle cellule del fegato e la formazione di cicatrici, un processo che viene definito fibrosi epatica.

L‘infezione può rimanere silenziosa, senza dare sintomi, per molti anni compromettendo nel frattempo l’integrità e la funzione del fegato, che può anche smettere di funzionare (il 15-30% dei pazienti sviluppa cirrosi epatica dopo 20 anni di infezione) o degenerare in tumori (5% dei casi a 20-30 anni dall’infezione).

Perché la diagnosi di epatite C è difficile

Se una malattia non provoca segni o sintomi tangibili è difficile da scoprire. Ed è appunto questo il maggior problema legato all’epatite C. Molte persone che hanno contratto il virus non sanno di averlo e quindi la malattia è spesso sottodiagnosticata. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo ci sono 50 milioni di persone con infezione cronica da HCV con 1 milione di nuove diagnosi ogni anno.

Nel 2022 si stima siano morte nel mondo circa 242mila persone a causa dell’epatite C, in maggioranza per cirrosi epatica e tumore del fegato. In Italia si stima siano migliaia i casi ancora non diagnosticati di epatite C. È stato calcolato che la più alta prevalenza dell’infezione potenzialmente asintomatica si trovi fra i nati fra il 1948 e il 1988, quindi fra i 35 e i 75 anni. Fino agli anni Novanta, infatti, il virus HCV non era stato isolato e la sua presenza non era stata collegata alla malattia. La scoperta del virus da una parte, le migliori condizioni igienico-sanitarie e l’adozione di materiali medici monouso dall’altra hanno permesso di abbattere il numero di nuovi contagi.

Come si trasmette l’epatite C

L’epatite C si trasmette principalmente attraverso il contatto diretto con sangue infetto: il contagio avviene attraverso ferite o lesioni, provocate per esempio da oggetti acuminati o taglienti (aghi, forbici o lamette infette), ma anche da strumenti chirurgici non ben sterilizzati. È bene evitare, quindi, la condivisione di oggetti personali che possono entrare in contatto col sangue (spazzolino, rasoio, forbici e tagliaunghie).

Sono a maggiore rischio di infezione le persone che fanno uso di droghe per via iniettiva o inalatoria (specialmente se non si utilizzano strumenti monouso), chi si tatua o si fa piercing in assenza di sicurezza. Le trasfusioni di sangue o emoderivati e i trapianti hanno rappresentato una via di trasmissione prima degli anni Novanta ma oggi, grazie ai controlli e agli screening sui donatori, sono considerati sicuri.

L’infezione da HCV si può contrarre anche per via sessuale. Va però sottolineato che si tratta di un’eventualità molto rara, in quanto presuppone il contatto diretto con sangue infetto in presenza di lesioni. Il rischio di infezione può aumentare in caso di rapporti non protetti, ad esempio se praticati durante il periodo mestruale, con più partner o in caso di rapporti sessuali traumatici. La probabilità di infezione durante il parto è limitata (3-5%), anche se il rischio aumenta se la madre è HCV-positiva.