Celiachia, i fattori ambientali che possono favorirla: la ricerca

Uno studio italo-americano ha scoperto i fattori ambientali che possono favorire o ostacolare la celiachia, in presenza di predisposizione genetica

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Ci vuole un certo corredo genetico, per sviluppare la celiachia. Ma attenzione. Questo non significa che proprio queste particolari caratteristiche del DNA possano poi diventare il “motore” per lo sviluppo della malattia solo in alcune persone. In pratica, infatti, solo 3 soggetti su 100 tra quanti presentano una particolare conformazione del sistema HLA sviluppano effettivamente la celiachia. E gli altri no. Il che significa che debbono esistere altri fattori in grado di favorire l’insorgere del quadro. Ora, almeno in parte, la scienza ha scoperto come mai accade questo.

Nel corso del Congresso Nazionale della SIGENP – Società Italiana di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica – tenutosi a Matera è stato presentato uno studio condotto negli USA (Harvard) e in Italia (Roma, Milano, Ancona, Salerno, Bari, Bergamo, Genova, Bologna) che ha scoperto quali fattori ambientali, in presenza della predisposizione genetica, possono favorire o ostacolare l’insorgere della patologia.

Attenzione a questi elementi

La celiachia ha le massime probabilità di manifestarsi non solo quando la predisposizione è più marcata, ma anche se sono stati assunti antibiotici o determinati farmaci antiacidi cioè inibitori della pompa protonica (per periodi prolungati). E si sviluppa soprattutto nelle bambine. Per contro, il suo sviluppo sembra invece essere chiaramente ostacolata nei bambini maschi che, oltre ad avere un rischio genetico meno acuto, assumono probiotici, hanno accanto a sé animali domestici come cani e gatti e hanno avuto infezioni virali.

“I legami tra l’insorgenza della celiachia e questi fattori ambientali commenta Claudio Romano, presidente SIGENP – a questo punto sono evidenti, ma è chiaro che andranno indagati a fondo, in altri studi, per comprenderne la natura e i meccanismi. Tuttavia, quello che è emerso da questa ricerca è importante perché fornisce indicazioni che potrebbero aiutare a prevenire o almeno a non favorire la patologia”.

Cosa dice la ricerca

Lo studio, promosso dal professor Alessio Fasano del Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School, Boston e coordinato in Italia da Francesco Valitutti, ricercatore in Pediatria presso l’Università di Perugia, è stato condotto finora su 423 bambini  (219 negli Stati Uniti e 204 nel nostro Paese), seguendoli dalla nascita fino ai sette anni analizzando 80 fattori clinici identificati da questionari longitudinali, compilati periodicamente dai genitori, relativi a dati demografici, storia medica, ambiente e abitudini alimentari.

“Questo studio, denominato CD-GEMM, dall’acronimo inglese Celiac Disease Genomica Environmental Microbiome and Metabolomic – specifica Valitutti – si pone fondamentalmente due obbiettivi ambiziosi: identificare marcatori non invasivi per una diagnosi molto precoce della celiachia; intercettarla prima del suo pieno sviluppo clinico, nell’ottica di una prevenzione primaria della stessa, contrastando i fattori di rischio ambientali e facendo in modo che non si perda del tutto la tolleranza immunologica al glutine”.

Quando si può sospettare nei bambini

I sintomi più tipici della forma classica di celiachia, che compare a distanza di settimane o mesi dallo svezzamento con i primi cereali, compaiono in un periodo di tempo che va dalle due settimane ai dieci mesi. Si manifestano gradualmente ma tendono a progredire. In generale si tratta di diarrea cronica, steatorrea, cioè perdita di grassi non assorbiti con le feci, rallentamento nella crescita, inappetenza e vomito.

Va anche detto che a volte ci sono segni che debbono far sospettare il quadro. Pelle, denti, unghie e altro, infatti, andrebbero studiati con attenzione. Possono infatti essere sedi di manifestazioni atipiche della patologia e vanno posti sotto la giusta attenzione visto che in alcuni casi possono aiutare a riconoscere il quadro.

Infatti la difficoltà a riconoscere la celiachia può essere dovuta all’assenza di sintomi, anche in gruppi a rischio, come i soggetti affetti dal diabete oppure familiari di primo grado di persone celiache Vi sono poi sintomi “atipici”, come alterazioni dello smalto dentale con facilità a sviluppare carie, piccole chiazze di alopecia oppure di vitiligine, macchie sulle unghie, fino a lesioni cutanee spesso misconosciute.

Molti di questi sintomi rappresentano il quadro classico della dermatite erpetiforme – una condizione associata alla celiachia – caratterizzata da papule (lesioni) e vescicole pruriginose sui gomiti, ma possibili anche su ginocchia, a livello del sacro, delle natiche e dell’occipite.

Cos’è la celiachia

La celiachia, in termini generali è scatenata da una proteina estranea all’organismo. Ma l’origine della patologia è autoimmune. L’organismo sbagliando si scatena contro elementi che normalmente non creano alcun problema. Interessa soprattutto l’infanzia, ma può anche manifestarsi in età adulta. Colpisce prevalentemente l’intestino tenue, cioè quella lunga matassa di anse intestinali entro cui avviene la maggior parte dell’assorbimento dei cibi.

In genere la malattia è legata all’intolleranza al glutine, una particolare proteina strutturale del frumento, dell’orzo, della segale e dell’avena. Alla base della malattia ci sono due elementi: uno esterno, il glutine, e l’altro correlato alla predisposizione genetica a sviluppare intolleranza nei confronti della componente alimentare. Il glutine raggruppa una famiglia di proteine vegetali, le poliammine, contenute nel frumento (gliadine), nell’orzo (ordeine), nella segale (secaline) e probabilmente nell’avena, sotto forma di avenine. Sul fronte del sistema immunitario dell’individuo, recenti ricerche hanno dimostrato che alcuni frammenti dell’alfa-gliadina (una particolare proteina) sarebbero in grado di innescare le risposte immunologiche che portano ai sintomi.

Quanto vale il mercato del senza glutine

Stando alle analisi rese note in occasione della presentazione delle linee guida, in Italia il valore dei cibi senza glutine è stimato in circa 400 milioni, complessivamente. Come ricorda Rossella Valmarana, presidente della Associazione Italiana Celiachia (AIC) “il dato deve essere confrontato con il valore annuale dell’assistenza integrativa garantita in Italia dal SSN, che nel 2021 era indicata nella Relazione al Parlamento sulla celiachia pari a 233 milioni, con un costo medio pro capite di 965€/anno.

Anche tenendo conto della possibile integrazione al tetto di spesa da parte delle famiglie con paziente celiaco, tuttavia marginale secondo la nostra valutazione, emerge il ricorso alla dieta senza glutine anche da parte di consumatori non celiaci, che, per scelta, inseriscono prodotti senza glutine nella loro dieta. Il fenomeno trova conferma nelle informazioni da noi rilevate sulla “moda” della dieta senza glutine, cui si ricorre per dimagrire, per “sentirsi più leggeri”, per emulare le abitudini alimentari di campioni sportivi o star dello spettacolo, diffuse attraverso i social media.

La raccomandazione di AIC è sempre di non mettersi a dieta in presenza di sintomi di celiachia prima di aver completato l’iter di diagnosi, che si rende impossibile se il paziente è a dieta senza glutine”.

A proposito delle Linee guida, l’Associazione le considera uno strumento essenziale per uniformare la performance diagnostica e di cura dei pazienti nel territorio nazionale. “Nel 2015 AIC – continua la presidente – contribuì al gruppo di lavoro presso il ministero della Salute attraverso i membri dell’allora comitato scientifico dell’Associazione alla redazione del protocollo poi pubblicato in Gazzetta ufficiale nell’agosto 2015 e tutt’ora disponibile nel sito del ministero.

Più importante del documento è la sua diffusione nei presidi del territorio, ma anche nella medicina di base, per garantire a tutti i pazienti il diritto alla diagnosi e alla cura e ad un corretto follow up. L’Associazione continua a raccogliere le storie dei pazienti che arrivano con fatica alla diagnosi di celiachia perché il medico non riconosce sintomi predittivi che non siano i classici, perché i pazienti sono messi a dieta dal medico di medicina generale o dallo specialista prima di aver concluso l’iter diagnostico, perché il test è fatto una volta e mai più ripetuto. La collaborazione con le società scientifiche è per l’Associazione una finalità statutaria, siamo ben lieti di dare la nostra disponibilità a una quanto più ampia diffusione delle Linee guida”.

Fonti bibliografiche

Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica