Abbiamo un compito, noi adulti, ed è quello di educare le nuove generazioni, di insegnare loro i valori del rispetto, dell’inclusività, dell’amore verso gli altri. Abbiamo il compito di tenere per mano i futuri uomini del domani e di mostrare loro come creare una società migliore di questa.
Ma come si fanno a spiegare certe cose ai bambini? Come possiamo raccontare, a chi dovrebbe essere protetto, che esiste un mondo là fuori fatto di atrocità e di indifferenza, di abusi e di soprusi, di stupri e di violenze sessuali? È difficile, è vero, ma farlo è doveroso, soprattutto se vogliamo lasciare alle nuove generazioni un mondo migliore fatto di diritti e libertà, di rispetto e consapevolezza.
Così lo ha fatto la Melevisione, un programma televisivo per bambini trasmesso dal 1999 al 2014, che ha scelto di dedicare una puntata proprio al tema dell’abuso sessuale con una narrazione favolistica, delicata e adatta a un pubblico di giovanissimi. Sono passati anni da quell’episodio, eppure mai come adesso questo si rivela estremamente attuale.
Come spiegare la violenza sessuale ai bambini
Negli anni 2000, quando non c’erano smartphone e social network a impegnare le giornate, bambini e ragazzi si riunivano davanti alla televisione per guardare cartoni animati, favole e programmi televisivi. L’informazione era molto diversa da quella che conosciamo adesso e le notizie, anche quelle più atroci, avevano tempi differenti rispetto a quelli odierni, sicuramente più lenti. Ma soprattutto, raramente trovavano una via d’accesso per entrare nel mondo illibato dei più piccoli.
Eppure andava bene così. Del resto l’istinto di un genitore, e degli adulti in generale, è sempre stato quello di proteggere i più piccoli. Le nuove generazioni. E anche se il desiderio di schermare attraverso una bolla tutti i mali del mondo, abbiamo imparato che questo non è possibile. Ma soprattutto non è giusto.
Perché non solo i bambini e i ragazzi meritano di sapere la verità, ma anche perché è grazie alla conoscenza che possono acquisire maggiore consapevolezza. Ed è grazie all’educazione impartita dai più grandi che un giorno potranno cambiare il mondo.
Ecco perché in quella puntata del 2003, riproposta anche un decennio dopo in una nuova versione, quel programma televisivo destinato a bambini e ragazzi ha osato spingersi dove nessuno, forse, aveva fatto mai prima di allora. Lo ha fatto con estrema delicatezza, attingendo a una realtà favolistica per permettere ai bambini, attraverso gli strumenti giusti, di comprendere l’incomprensibile.
Ecco perché in quel Fantabosco, che sembrava un luogo sicuro e confortevole, sono entrate anche le ombre che appartengono alla società moderna, per aiutare i più piccoli a comprenderle, ma soprattutto a sconfiggerle.
Fata Lina e il suo segreto
Ci troviamo nel Fantabosco, in un mondo che non esiste nella realtà e cheprende forma dall’immaginario dei più piccoli. Qui ci sono i buoni e i cattivi, le streghe e le fate, i lupi e gli agnelli. Le loro storie si incontrano e si intrecciano tra loro, ma non lo fanno mai a caso. Come nelle favole, infatti, ogni puntata a un significato, una morale che arriva dritta ai bambini. Proprio come fa l’episodio Il Segreto di Fata Lina andato in onda, nella sua prima versione, nel 2003.
La storia è incentrata su Fata Lina, una dei protagonisti del Fantabosco, una fata acquatica sempre felice e sorridente. Nell’episodio in questione, però, la fata appare tormentata e inquieta, quasi spaventata: è evidente che le è successo qualcosa.
Lina si reca dalla Strega Salamandra per chiederle uno scambio: le darà la sua voce per ottenere il potere che incenerisce. La strega accetta, ma il piano viene meno quando Lupo Lucio racconta tutto a Tonio Cartonio, che è il suo migliore amico. Che è successo a Fata Lina? Contro chi vuole usare quel potere? E cosa si nasconde dietro a quella strana richiesta?
L’episodio continua, pur mantenendosi su un piano prettamente fiabesco, scandagliando cosa si nasconde nel cuore di Fata Lina. Una verità tremenda che è difficile da accettare e soprattutto da raccontare. Risulta evidente quando, recatasi nei pressi del pozzo parlante, la fata si interroga su quello che è successo. È anche colpa sua? Perché non riesce a parlare con nessuno dell’accaduto? È il pozzo a fornirle una risposta: “Devi parlare”, “Non è colpa tua”.
Nonostante l’invito del suo migliore amico, Fata Lina non riesce a farlo, come se le parole fossero lame taglienti pronte a ferirla di nuovo. Ma poi trova il modo di farlo attraverso il disegno. Prende un suo ritratto e con un pennarello inizia a delineare delle forme, si tratta di due mani “Grandi e minacciose”, come sottolinea Tonio Cartonio, che si impongono prepotentemente sul suo corpo. Che lo violano.
Fata Lina ha subito una violenza, ma tanto è il dolore per l’accaduto, unito alla pura e ai sensi di colpa, che non riesce a raccontarlo a nessuno, neanche al suo migliore amico. Nessuno lo farà in maniera esplicita durante l’episodio, ma quel disegno è così chiaro e significativo, così drammatico e angosciante, che non c’è bisogno di altre parole.
Sarà Tonio Cartonio, poi, a raccontare a fine puntata con estrema delicatezza cosa è successo davvero. A spiegare ai bambini, con delicatezza e attenzione, che bisogna chiedere aiuto alle persone che ci vogliono bene affinché “Questi brutti ricordi non abbiano più il loro potere della paura”
«Fata Lina ha subito le attenzioni sbagliate di una persona che conosceva, di cui credeva di potersi fidare. Lì per lì, Fata Lina non ha capito. Mentre quelle mani diventavano sempre più grandi e invadenti, lei provava una sensazione di sofferenza, difficile da sopportare. La paura e la vergogna le toglievano la parola di bocca, e il capitano dei soldati di Re Quercia, intanto, la minacciava di chissà quali cose terribili se lei avesse aperto bocca con qualcuno. Per fortuna, Fata Lina è riuscita a scappare in tempo, ma il disgusto è stato grande ed è tanta la paura e lo smarrimento.Vedi, queste cose lasciano un brutto segno nella memoria, però, voglio che tu sappia una cosa molto importante. Dentro di noi c’è un armadio dove si devono conservare anche questi ricordi brutti perché non si ripetano più. Perché si possono aprire le ante, e guardarli e riguardarli senza più terrore. Perché raccontarli alle persone che ci vogliono bene e che ci proteggono fa sì che tutte queste brutte esperienze e questi brutti ricordi non abbiano più il loro potere della paura.»