Quando la colpa è della vittima: il Victim Blaming

Puntare il dito contro la vittima, giustificando l'aggressore, è un meccanismo vile e pericoloso che ha un nome: victim blaming. Una pratica diffusa quanto nociva

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Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

La violenza di genere una piaga della nostra società, un male che colpisce moltissime donne ed è così difficile da estirpare perché ha radice profonde, quanto oscure. Spesso di fronte a un episodio di violenza, nell’opinione pubblica, si innesca un meccanismo per cui si attaccata la vittima e si difende il carnefice, offrendo un tacito consenso alle brutalità.

Questa dinamica si chiama victim blaming d ha la funzione di spostare la colpa dall’aggressore alla vittima, scagionando il reale responsabile, lasciando pulita la sua reputazione. In molti casi questo meccanismo viene attuato dal colpevole di molestie o violenze, ma non solo. Infatti questo atteggiamento viene accolto e favorito dalla società stessa.

In cosa consiste il victim blaming

Forse il termine non vi dice molto, ma tutti e tutte abbiamo assistito almeno una volta a questa pratica. Si tratta di una manipolazione della verità, volta a trasformare la vittima nel carnefice, e viceversa. I ruoli si scambiano e così la donna (perché si tratta di un processo rivolto quasi sempre al sesso femminile) viene accusata di avere provocato il suo stesso male.

Di fronte a una violenza sessuale si utilizzano giustificazioni come “era poco vestita” oppure “è uscita sola la sera” per dimostrare che la vittima non è poi tanto innocente e che si è esposta volontariamente ai pericoli in cui è poi incorsa. Ripulendo così la reputazione e la coscienza dell’aggressore che si trova a essere una semplice vittima degli appetiti carnali. Un processo scandaloso, quanto funzionante.

Se l’è cercata, non è una santa

Dare la colpa alla vittima è in molti casi un meccanismo automatico, un approccio appreso tramite l’educazione, a cui siamo abituati e abituate. Così, è più semplice dire “se l’è cercata lei” piuttosto che ammettere la propria colpa.  Spesso poi i comportamenti maschilisti e patriarcali, come è il victim blaming, sono vecchi retaggi che le donne stesse tramandando. Madri e nonne che hanno subito gli stessi torti, a cui è stato insegnato che le cose funzionano in quel modo, si trovano poi a ripetere lo schema.

Il victim blaming nell’opinione comune e nei media

Sembra assurdo da pensare ma è una pratica socialmente diffusa e accettata. Infatti, il victim blaming è presente anche a livello mediatico ed è messo in atto sia da donne che da uomini. Questa pratica è subdola e si serve di gesti e frasi tanto semplici, quanto taglienti. Descrivere l’aggressore come una “buona persona”, indagare sulla vittima, non riconoscere il suo dolore… Sono tutte strategie volte a ribaltare la responsabilità sulla donna.

Ovviamente, chi ascolta e assimila tali notizie è estremamente e inconsciamente influenzato dal modo in cui queste vengono riportate. Ad esempio, sentire al TG di una violenza sessuale e descrivere la vittima come una ragazzina in abiti succinti e ubriaca, crea nella mente di chi recepisce la notizia una correlazione tra le due cose, innescando un nesso causa-effetto.

Il problema dell’interiorizzazione del victim blaming

Il victim blaming purtroppo è una pratica subdola e sottile, che si infiltra nella mente. Può essere anche interiorizzata ed è proprio questa una delle motivazioni che porta le vittime di violenza domestica a sottovalutare la situazione ed esitare nel chiedere aiuto e denunciare. Autoconvincersi della propria colpa, o di avere una responsabilità nel male che si subisce è un tipico esempio di victim blaming. Inoltre, a volte le donne preferiscono evitare di denunciare o raccontare il proprio problema per paura di sentirsi accusate e colpevolizzate dalle autorità e dalle persone vicine.

Cosa possiamo fare per mettere fine a questo problema? Smettere di trovare attenuanti per uomini violenti e abusanti. Ascoltare le vittime senza giudicare e provare empatia, senza puntare il dito e rovesciare la frittata, come ci hanno insegnato a fare.