“Non sono abbastanza brava”. Ma abbastanza per chi?

Così, per paura, iniziamo a vivere nell'ombra della nostra stessa luce. Lo facciamo precludendoci la possibilità di crescere e di evolvere, di sbagliare e di imparare

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

C’è chi non smette mai di inseguire i propri sogni, anche a costo di inciampare, di cadere e di farsi male. E c’è chi, invece, ci rinuncia ancor prima di iniziare. Lo fa per paura, per insicurezza, per quella sbagliata credenza che nonostante l’impegno e la tenacia, ci sarà sempre qualcosa o qualcuno a ostacolare la strada.

E in effetti è vero: gli ostacoli fanno parte della vita. E raramente ci ritroveremo a poter camminare su un percorso illibato o privo di sentieri impervi, ma questo non vuol dire che dobbiamo smettere di tentare, che dobbiamo rinunciare a quel traguardo, anche quando appare lontano. Anche quando quella vocina sabotante diventa predominante nella mente e tra i pensieri.

Perché è facile lasciarsi confondere dagli inganni che noi stessi creiamo, quelli che arrivano a convincerci che non siamo abbastanza bravi, che non siamo capaci, che non riusciremo mai nell’impresa, di qualsiasi entità questa sia. Perché è facile arrendersi, difficile è rialzarsi dopo ogni caduta.

“Non sono abbastanza brava”

È un’affermazione che ci fa spesso compagnia, una frase che si insinua nella mente e dietro la quale ci nascondiamo tutte le volte che scegliamo di non agire. “Non sono abbastanza brava” ci ripetiamo tutte le volte che rinunciamo a qualcosa. All’amore, alla carriera, a un cambiamento. All’inseguimento di quell’unico e straordinario sogno che ci tiene vivi.

Il motivo per cui lo facciamo è un enigma che difficilmente si risolve quando scegliamo di arrenderci a quello che succede, a quei pensieri dominanti che minano il nostro benessere e pure l’autostima. La soluzione c’è, anche se spesso non è visibile e immediata, eppure scegliamo comunque di non cercarla dentro di noi perché preferiamo rintanarci in quella che assume le sembianze di una comfort zone. Anche se a essere sinceri, non ha nulla di confortante.

Eppure, proprio come succede con quelle vecchie e cattive abitudini dalle quali non riusciamo a separarci, ci affezioniamo a quella condizione di rassegnazione che ci trasforma in soggetti passivi degli eventi che accadono. Lo facciamo perché accettare una rinuncia è più semplice che guardare in faccia il fallimento, perché il successo ci espone inevitabilmente ai giudizi degli altri. Perché se scegliamo di inseguire i nostri sogni, forse, potremmo deludere tutte quelle aspettative che gli altri hanno riposto dentro di noi.

Ma la verità è che, così facendo, stiamo rinunciando a noi stessi. Lo facciamo nel modo peggiore, precludendoci la possibilità di crescere e di evolvere, di sbagliare e di imparare. Ma soprattutto di essere felici.

La sindrome dell’impostore

I motivi per cui rinunciamo a qualcosa per paura di essere giudicati dagli altri, perché non ci consideriamo abbastanza bravi o non all’altezza, sono tanti e diversi, e sono riconducibili al passato, alle nostre esperienze, alle relazioni vissute e anche ai nostri traumi. Tutti, però, hanno in comune la medesima conseguenza: ci portano a vivere nell’ombra della nostra stessa luce, che brilla naturalmente e che abbiamo smesso di alimentare.

Gli esperti parlano di sindrome dell’impostore per spiegare quell’atteggiamento che investe tantissime persone: quelle che non si sentono meritevoli del loro successo, personale e professionale, e che al contrario lo minimizzano e non lo riconoscono.

A parlarne, per prime, furono le psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes negli anni ’70, analizzando un comportamento ripetuto tra le persone di successo. Il termine “impostore” non è stato scelto a caso, ma sta a indicare proprio la paura di questi individui di essere considerati appunto degli impostori, poiché, secondo il loro ragionamento, il successo sarebbe stato raggiunto immeritatamente.

Questo atteggiamento, se reiterato nel tempo, può portare a conseguenze non indifferenti che impattano sulla nostra vita e sul nostro benessere. Una costante svalutazione del proprio valore, con il conseguente calo di autostima, che portano a non riconoscere tutto quello che è stato fatto per sé stessi e per gli altri.

Oltre a una percezione distorta della realtà, le persone che soffrono di questa sindrome vivono il fallimento come un dramma. Come se si trattasse della prova inconfutabile della loro incapacità. Lo temono, ma lo attendono perché non riconoscendo il proprio valore si convincono che questa sia una conseguenza inevitabile per un successo immeritato.

Così facendo è chiaro che non solo si vive mettendo costantemente in dubbio se stessi, ma c’è anche il rischio di arrivare a rinunciare a tutto quello che si è costruito col tempo, e che ancora si deve realizzare, solo per paura di perderlo. O, peggio, per il timore di essere giudicati dagli altri.

Paure, insicurezze e aspettative

I motivi che ci spingono a considerarci degli impostori, per noi stessi e per gli altri, sono tanti e diversi ma tutti si basano sulle paure, sulle insicurezze e su una bassa autostima. C’è anche un altro aspetto da considerare, però, ed è quello che fa riferimento alle aspettative. Le nostre e quelle degli altri.

  • Le aspettative. È inutile negarlo: viviamo tutti di aspettative. A volte sono nostre, altre volte invece sono create dal riflesso degli altri. La prima cosa da fare è quella di smettere di specchiarci negli occhi delle persone e più in generale di una società che ci vuole a sua immagine e somiglianza. Ma dobbiamo anche imparare a non ragionare solo per aspettative, ma a concentrarci su quello che succede nel presente. Su tutto quello che stiamo costruendo, perché solo così possiamo davvero comprendere il nostro valore. Perché solo così possiamo toccare con mano la meraviglia dell’intero percorso, e non solo del risultato.
  • I pensieri. Un altro modo per mettere a tacere quella vocina sabotante che ogni tanto si presenta, è quello di dare il giusto valore ai pensieri che attanagliano la mente. Il potere che gli diamo è così tanto che finiscono per sopraffarci, anche quando sono generati e alimentati dalla paura, dallo stress di un determinato periodo o dalla stanchezza. Questo non vuol dire che i nostri pensieri non sono importanti, al contrario. Ma possiamo sempre scegliere quanto peso dargli.
  • L’autostima. Coltivare l’autostima è un dovere. Lo è perché solo così possiamo imparare a riconoscere i pensieri sabotanti e metterli a tacere con il nostro valore reale. Per farlo dobbiamo concentrarci su quello che sappiamo fare, e che abbiamo fatto, e iniziare a vedere gli errori e i fallimenti come step naturali del nostro percorso di vita. Per farlo, impariamo a ragionare per piccoli obiettivi e festeggiamoli sempre una volta raggiunti anche con un regalo, ce lo meritiamo!

Paure, insicurezze e aspettative sanno acquisire molto potere se glielo concediamo. Ma noi possiamo essere più forti di loro.