Schiave mai: il lavoro, la disoccupazione e la casa. Istantanea delle donne in Italia

La schiavitù passa per il lavoro, per la crisi economica e quella sociale. Passa anche per le differenze di genere e le vittime sono, ancora una volta, le donne

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Una rapida ricerca sul web ed ecco che abbiamo tra le mani la definizione più terribile e anacronistica del mondo, quella dello schiavismo, il sistema sociale ed economico basato sulla schiavitù:

[La schiavitù] è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di essi, e lo “schiavo” è l’individuo che ha tale stato o condizione.

Fonte Wikipedia

Una parola, un significato, che fa rabbrividire alla vista e alla pronuncia, ma che poi viene accantonata lì, senza approfondimento o introspezione perché certo, parlare di schiavitù oggi è senz’altro fuori luogo. Forse, così dovrebbe essere in quella che consideriamo una società moderna e civilizzata, la stessa che ci suggerisce di preoccuparci di indossare quel capo di abbigliamento di tendenza, di acquistare l’ultimo e incredibile smartphone, quella che ci invita ad affannarci per omologarci agli stereotipi.

E allora ci dimentichiamo della schiavitù, degli abusi e dei soprusi, quelli che ancora oggi, silenziosamente, mietono vittime nell’universo femminile. Ogni tanto qualcuno ne parla, a volte altre donne si riuniscono e combattono altre forme di schiavitù che sono emerse in questo secolo, altre volte, invece, vecchie ferite tornano alla luce e, come un polmone sanguinante, fanno male.

La schiavitù ieri e oggi

È di pochi giorni fa la notizia di quella sentenza che dà voce all’inferno delle schiave sessuali dei militari giapponesi. Donne utilizzate per soddisfare i bisogni degli uomini: creature umane stuprate e sfruttate come schiave sessuali dalle forze imperiali durante la Seconda Guerra Mondiale. Sono arrivate le scuse ufficiali e le richieste di risarcimento, eppure niente e nessuno potrà restituire la dignità strappata via, la violenza subita e il dolore di quelle oltre 70 mila donne.

E pensare che questa condizione disumana, un tempo molto lontano, riguardava la maggior parte delle donne della società. Considerate parte del patrimonio familiare, queste venivano trattate come oggetti, prima destinate alle attività e ai lavori più pesanti, poi, sempre a disposizione dei maschi della famiglia per soddisfare i loro piaceri. Alle schiave romane non era concesso neanche avere un proprio nome.

Oggi le donne, non sono chiamate schiave, ma alcune di queste si ritrovano nelle medesime situazioni del passato. E non pensate che la situazione riguardi qualche povera nazione dall’altra parte del mondo perché lo sfruttamento lavorativo e quella condizione paragonabile solo alla schiavitù esistono ancora, anche in Italia. È di solo pochi anni fa l’inchiesta della Cgil, che ha portato alla luce la grave situazione di 40mila braccianti donne, vittime dei caporali italiani, occupate a lavorare nei campi della regione Puglia per un salario che non superava i 30 euro, per 10 ore di lavoro.

Schiavitù e lavoro

La verità è che il problema della schiavitù passa, inevitabilmente, per il lavoro, perché è quest’ultimo che dà la dignità, la stessa troppo a lungo calpestata dagli uomini e dagli eventi storici. Così, ecco nascere i nuovi schiavi, persone che accettano condizioni disumane solo per necessità di sopravvivenza. Un sistema così radicalmente marcio che annulla anche i livelli minimi di rispetto e di dignità e che, troppo spesso, vede protagonisti la violenza, il ricatto e gli abusi. E questo sistema economico sempre più in crisi e spietato diventa il terreno fertile della disperazione, una condizione che colpisce oggi le donne e le categorie più deboli, gli ultimi della società.

Lavoratrici sfruttate nell’industria tessile, braccianti relegate nei campi, prostitute nei ghetti: dove sta il rispetto della dignità della persona e del lavoro? Dov’è l’impegno delle grandi istituzioni, quello della GDO e quello dell’intero sistema sociale, politico ed economico per far sì che la dignità delle donne venga rispettata?

La schiavitù domestica

E se le condizioni di sfruttamento del lavoro che coinvolgono l’Italia e anche altre parti del mondo, riguardano quelle condizioni che fanno scalpore e che appaiono in prima pagina dei tabloid richiamando l’attenzione e l’indignazione pubblica, non possiamo dire lo stesso di un’altra schiavitù che colpisce le donne del nostro Paese in maniera silenziosa.

Stiamo parlando del lavoro domestico, quello che diventa l’unica attività delle donne coinvolte nella crisi economica e nei licenziamenti di massa. Una condizione che porta in auge le differenze di genere e che condiziona, inevitabilmente, le donne e il nostro ruolo nella società.

Ancora una volta è alle noi che viene affidata la casa, così come il lavoro domestico, le faccende e gli impegni: così ci trasformiamo da schiave sul lavoro a schiave domestiche. E ribellarsi, a questi stereotipi così radicati, diventa sempre più impossibile proprio perché, questo ruolo familiare assegnato dalla società, pone le donne in una condizione di emarginazione.

Escluse dall’attività produttiva e costrette a una condizione di dipendenza economica, le donne perdono così il loro potere sociale, diventando dei semplici soggetti passivi. Lo avevamo già detto: i nuovi poveri in Italia sono le donne. L’essere rintanate in questa condizione prevalentemente familiare riduce le forme di socializzazione, mentre le giornate trascorrono tra il lavoro domestico faticoso e alienante senza, però, un reale valore da attribuire. Perché l’attività di casalinga non è una professione, quanto più un dovere a carico delle donne, lo stesso che le trasforma in brave mamme e mogli perfette. E non è forse, questa, la più subdola forma di schiavismo che stiamo vivendo nei giorni moderni?

Perché sulla donna cade tutto il peso del lavoro domestico che, nella maggior parte dei casi, è il lavoro meno produttivo, più pesante più barbaro. E’ un lavoro estremamente meschino, che in se non ha nulla che, neanche in minima misura, possa contribuire allo sviluppo della donna.

(Discorso pronunciato alla IV conferenza delle Operaie Senza Partito della città di Mosca da Lenin il 23/9/1919).

Il lavoro, la disoccupazione, la casa

Secondo lo studio Usb Donne sull’orlo di una crisi di numeri, la parità salariale tra uomini e donne arriverà solo tra due secoli e, per l’esattezza, tra 217 anni. Forse le nostre pronipoti vedranno ridursi il gap salariale, forse davvero tra qualche secolo queste differenze di genere e la poca attenzione agli ultimi della società, smetteranno di creare nuove forme di schiavitù.

La verità è che prima di ogni intervento, politico e sociale, occorrerebbe cambiare l’approccio culturale al problema con percorsi di formazione ed emancipazione, nella scelta di aziende in grado di rispettare la dignità delle persone, con l’annullamento delle differenze tra uomo e donna, le stesse che oggi ci riguardano ancora in prima persona. Dovremmo farlo per le nostre figlie, per le donne di domani e per il futuro perché noi, schiave mai.