Perché il posto fisso non è più una priorità

La scienza conferma: il mito del posto fisso è caduto. Il desiderio delle nuove generazioni è quello di conciliare il lavoro con il tempo libero

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

C’era una volta un sogno italiano tramandato dalle generazioni alla stregua di un dono prezioso, che più che un regalo, però, assumeva pian piano le sembianze di un fardello troppo pesante da sopportare. Ambito e ricercato, questo si è trasformato in un’ossessione con tanto di ironica e quasi grottesca trasposizione cinematografica.

Ricorderete tutti, probabilmente, il film Quo Vado?, quello in cui il protagonista, interpretato da Checco Zalone, non riesce ad allontanarsi dal mito del posto fisso, trattato da lui alla stregua di un’ossessione.

Ed è proprio lui, il posto fisso, l’oggetto del desiderio contemporaneo. O almeno, così è stato fino a qualche anno fa perché oggi quel mito è caduto.

“Mollo tutto e cambio vita”

Quella del mollo tutto e cambio vita è una frase che abbiamo sentito tante volte e per ognuna di questa abbiamo sperato che un giorno, quel cambiamento radicale, avrebbe riguardato anche noi.

E non ci è voluto poi molto affinché questo si avverasse. Perché questa realtà che prima sembrava appartenere solo a pochissimi coraggiosi, oggi è più concreta che mai. Merito anche dello smart working e del lavoro flessibile che ci ha permesso di sperimentare una nuova modalità di lavoro che ci ha fatto capire che può davvero esserci un equilibrio tra professione e tempo libero.

Così ecco che il posto fisso ha smesso di essere una priorità. E a confermarlo non sono solo le discussioni che si leggiamo online, sui social e sui forum, ma anche i dati che riflettono una tendenza sempre più in salita nel nostro Paese.

Nel gennaio del 2022, infatti, l’Associazione Italiana Direzione Personale (ADPI) ha condiviso un report che conferma questo desiderio, che non è più un sogno ma un dato di fatto. Secondo i dati le dimissioni volontarie tra le persone, soprattutto nella fascia d’età che va tra i 26 e i 35 anni, riguardano il 60% delle realtà aziendali.

Intendiamoci però, non si tratta di scelte che promuovono uno stile di vita all’insegna del dolce far niente, perché l’obiettivo è un altro ed è comune, quello di trovare nuove situazioni professionali capaci di conciliare la vita privata e il lavoro, capaci di restituirci il bene più prezioso di sempre: il nostro tempo libero.

Il lavoro non è l’unica cosa nella vita

Probabilmente il fatto che questo cambiamento sia avvenuto adesso non è un caso. Proprio durante i lunghi mesi dell’emergenza sanitaria, infatti, molte persone hanno potuto sperimentare il lavoro agile, scoprendo e indagando nuove abitudini, forme di comunicazione, rapporti e luoghi che hanno permesso di allontanarsi da quella concezione totalizzante del lavoro che pesa da generazioni.

Con questo, intendiamoci, non vogliamo privare il lavoro della sua importanza economica, sociale e anche personale. Però non possiamo ignorare come, nella cultura del nostro Paese, sia sia radicata questa concezione per il quale dobbiamo sacrificare tutto per il lavoro.

Una credenza che, col tempo, ci ha portato ad accettare anche condizioni che ci hanno privato del tempo libero, quello da dedicare agli affetti, alle passioni e alla vita in generale.

Quella totale e completa devozione al lavoro, che appartiene ancora a tante persone, oggi non è più così scontata. Il desiderio di affermarsi, intendiamoci, non è svanito ma l’esigenza è quella di farlo in maniera più libera e flessibile, un modo che favorisca l’affermazione personale, oltre a quella professionale.