Sono un papà fortunato, parola di Francesco Cannadoro

«Tommi è un senza diagnosi, ha una microcefalia di origine sconosciuta, non può camminare né vedere. La scrittura è stata il mio salvagente»

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Il suo diario di un padre fortunato lo hanno definito il blog che sta emozionando l’Italia, e lui, Francesco Cannadoro, 38 anni, ancora stenta a crederci, lui che ne è il founder e lo ha creato amato e coccolato con passione fin dalle prime parole, dai primi post con i quali ha iniziato a raccontare la sua storia, quella di un padre fortunato, come si definisce, alla prese con la disabilità di un figlio, Tommi, adesso seienne. E ha continuato a narrare le sue giornate fino a quando la loro vita non è diventata un libro “Cuciti al cuore” e “condividere e informare la sua missione”.

Su Facebook conta più di 64mila follower e non esiste una foto dove questa meravigliosa famiglia non sorrida, perché questa è l’unicità e la carta vincente di questa storia, raccontare la disabilità provando (anche) a riderci su, far entrare le persone in una quotidianità a tratti difficile, con ironia e sincerità, che sono poi i valori aggiunti di queste persone speciali.

Questa la descrizione della loro pagina sui social “Tra una risata e l’altra ci sono riflessioni, impressioni, dubbi e speranze di un genitore alle prese con la disabilità di suo figlio. Se vuoi unirti ad un’epica battaglia contro il drago, questo è il posto giusto. Ma non immaginarti battaglie medioevali, spade leggendarie e armature scintillanti, noi il drago lo combattiamo a sorrisi. Quelli di Tommi”. E noi ci siamo uniti, e in esclusiva per le lettrici di DiLei ecco la storia di Francesco, Valentina e Tommi.

Francesco come nasce la vostra storia?
La nostra storia nasce nel momento in cui siamo nati noi. Risposta semplice, forse banale ma, per quanto non creda che tutto sia regolato da entità superiori, sono assolutamente convinto che ognuno di noi abbia un percorso al quale, in qualche modo, è destinato. Non che sia tutto già scritto, abbiamo la possibilità di alleggerire o appesantire l’avventura della vita, chi più chi meno. Come se il tutto fosse una corsa senza distinzione di categorie e con i blocchi di partenza decisi a caso. Magari la tartaruga della batteria parte prima e fa la figura del giaguaro, mentre i veri giaguari partono in fondo e nonostante un recupero degno di Bolt, arrivano ad avere una vita “solo” sufficientemente dignitosa. Beati quei giaguari che partono anche primi (se la posizione iniziale non li rammollisce). Per le tartarughe che partono dal fondo, invece, ci sono due possibilità: diventare giaguaro durante il percorso o restare indietro. Io sono nato tartaruga e, per fortuna e necessità, diventato giaguaro durante il percorso. La mia è una vita “solo” sufficientemente dignitosa ma talmente piena d’amore che “ditemi dove devo firmare per ripetere l’esperienza”. Sogno un mondo dove i giaguari si prendano le tartarughe sulle spalle e volino verso il traguardo, ma mi rendo conto che non siamo la razza giusta. La razza umana, intendo.

Come ti è venuta l’idea del blog? Era una valvola di sfogo?
Diciamo che la sfaccettatura “valvola di sfogo” per il blog è sempre stata funzionale a quello che era l’obbiettivo primario: radunare persone che ne sapessero più di noi sulla disabilità. Poi con il tempo mi sono anche accorto che mi aiutava. Diario di un padre fortunato è il mio psicologo, in qualche modo.

Ti definisci un padre fortunato, perché?
“Padre fortunato” perché la condizione di mio figlio mi ha dato una sveglia. Io non ho avuto un padre presente e, assomigliando molto a lui a livello caratteriale, avevo paura che sarei stato a mia volta assente. Invece la disabilità di Tommi mi ha dato come una sveglia. So bene cosa significhi non avere genitori presenti e ho sentito forte il bisogno di mio figlio di avermi al suo fianco, a maggior ragione vista la sua condizione. Insomma, la mia fortuna è mio figlio. Ad essere suo padre, sono fortunato.

La disabilità di vostro figlio ha minato il vostro rapporto o vi ha unito?
La disabilità è una prova durissima da affrontare per ogni famiglia. Non dico nulla di nuovo. Io e mia moglie crediamo che quando qualcuno che ami ha bisogno, quella necessità rafforza la tua voglia di esserci e si trasforma in quello che molta gente chiama “coraggio” sui social. E le nostre due “voglie di esserci” per Tommi si sono strette fortissimo e ci hanno legato ancora di più. Non riesco a immaginare che possa andare diversamente se non in situazioni in cui, in qualche modo, per altri motivi, le persone si sarebbero allontanate comunque. Purtroppo succede spesso. Non ho la presunzione di analizzare le vite degli altri, ma mi sono fatto quest’idea. Magari sbagliando.

Come mai il mondo ancora oggi ha paura di tutto quello che non conosce?
Il fatto che il mondo abbia paura di tutto quello che non conosce è una conseguenza secondo me, non una causa. Cioè, non c’è questa indifferenza perché il mondo ha paura di quello che non conosce (non solo in materia di disabilità), ma il mondo ha paura di quello che non conosce perché di base non ha interesse a farlo. Il muro sta a monte a mio avviso. Manca apertura mentale.  Quel tipo di apertura mentale che ti fa cambiare idea, che ti fa accettare l’essenza delle altre persone. Viviamo insieme in questo mondo, ma la maggior parte delle persone sta barricata nella casa della propria mente. Va da se che se non ci si incontra mai “per strada” continueremo a guardarci come estranei “dalla finestra”.

Facciamo un passo indietro. Ti ricordi il giorno in cui hai capito che Tommi poteva avere qualcosa che non va? Qual è stata la vostra reazione?
Appena ho avuto chiaro il problema di Tommi, la mia prima reazione è stata l’egoismo. Essendo cresciuto nelle comunità alloggio per minori e per strada, e avendo sognato una famiglia tutta mia praticamente per tutta la vita, il mio primo pensiero è stato: “Perché a me? Perché ancora? Perché non posso vivere una vita serena nemmeno nella famiglia che mi sono costruito da solo”? Poi l’ho guardato bene, l’ho stretto tra le braccia, mi sono perso nell’amore che emanavano i suoi occhi… e ho deciso che l’unica cosa giusto da fare era “esserci”. Mi lamentavo da sempre che il motivo per cui avevo sofferto tanto in passato era la mancanza di persone che mi avessero dimostrato con i fatti di “esserci”. Ed ero sicuro che quelle persone (i miei genitori in primis) sotto sotto soffrivano a loro volta per non riuscire a donarmi nient’altro che le loro debolezze. E così ho deciso di dare a Tommi la mia forza ed essere per lui un paravento per le sofferenze inevitabili della vita, piuttosto che un amplificatore. Poi con il tempo ho capito che la mia forza era un riflesso della sua e viceversa e che una famiglia funziona così e basta.

Come vedi il futuro di tuo figlio?
Il futuro di mio figlio. Eh! Bella domanda. L’unica cosa sulla quale io e mia moglie possiamo veramente avere il controllo è la nostra presenza. E il futuro di mio figlio sarà sicuramente con noi ( al netto di immagini tragedie, ma anche no per favore, direi che il vaso è colmo già così). Per il resto, preferiamo goderci l’oggi, piuttosto che accorgerci domani di esserci persi tutto raccogliendo i nostri cocci e non quelli di nostro figlio che, da solo, non può raccoglierseli.

Avete deciso un trasloco in velocità per permettere “una vita vista mare” al vostro bimbo, cosa vi ha convinto?
Ci ha convinto la reale necessità di migliorare le sue condizioni di vita e la speranza di allungarne le aspettative. In questi anni mi sono costruito la possibilità di lavorare da casa, con il web, quindi sicuramente il fatto di non dover cambiare lavoro in un periodo nero come questo, ha aiutato la celerità. Ma il coraggio di farlo e basta e andare dove non abbiamo che conoscenze superflue (che speriamo di approfondire) ce lo abbiamo messo di sana pianta. La vita non va subita, per quanto possibile.

Perché in Italia ancora oggi manca il rispetto per le persone disabili a tal punto da avere città piene di barriere architettoniche e parcheggi riservati spesso occupati da chi non ha bisogno?
Io credo che le mancanze siano verso tutti i cittadini. Sono anni che la politica italiana pensa solo a prendere invece di dare e il risultato è una società non al passo con i tempi. Ovviamente, se hai necessità più grandi, incontrerai anche difficoltà maggiori. E i disabili motori sono tra quelli che devono dire un sacco di parolacce anche solo per farsi una passeggiata. Poi viene la mancanza di coscienza sociale. Lo stiamo vedendo anche in questi giorni. Una cosa semplice come indossare una mascherina per proteggere gli altri viene accolta come un’imposizione dittatoriale. Avrei voluto vedere – dico una cosa quasi stupida – se la mascherina, invece di proteggere gli altri, fosse servita a proteggere noi stessi (tipo ffp2 o prendi il virus e ne paghi le conseguenze in prima persona). “Chi non mette la mascherina muore”. Ci sarebbe stato tutto questo cinema? No! Ognuno per se, avrebbe funzionato. Invece abbiamo bisogno di uno per tutti e tutti per uno e non ne siamo capaci.

Hai mai pensato di portare la vostra esperienza nelle scuole? Per avvicinare i ragazzi al mondo della disabilità con il sorriso?
Era una cosa che mi stavo per attrezzare a fare prima del coronavirus. Sarebbe stata una parte entusiasmante di questo percorso e un’evoluzione soddisfacente e tangibile del mio lavoro sul web. Oltre il fatto che, non ti nascondo, mi sarebbe anche servito per mangiare e mantenere la mia famiglia facendo qualcosa che amo: parlare alla gente. Mi piacerebbe riprovarci quando sarà sicuro.

Amo chi riesce a parlare di disabilità con ironia, vivendola in prima persona, mentre troppo spesso lo sguardo che si incontra è quello di compassione, secondo te c’è possibilità di educare le persone alla diversità sorridendo?
Chi si è imbattuto in “Diario di un padre fortunato” ha dimostrato, restando e sostenendoci, che è possibile. Molti dei nostri followers non hanno a che fare con la disabilità. Quando abbiamo girato l’Italia per promuovere “Cuciti al cuore”, il mio libro, abbiamo ottenuto un riscontro pazzesco di pubblico, quasi insperato. E c’era sempre una fetta di presenti (talvolta fino alla metà) che non aveva a che fare con la disabilità e si stava sensibilizzando all’argomento facendosi quattro risate con noi sulle “10 cose da non dire al genitore di un ragazzo disabile” per esempio. La domanda che ci fanno di più alla fine di quel video (le 10 cose…) è: ma allora cosa possiamo dire? RISPOSTA: ti chiedi cosa puoi dire quando incontri qualcuno per strada facendo una passeggiata, o saluti con naturalezza e parli del più e del meno? Perché con noi devi toccare per forza l’argomento disabilità? Io seguo il campionato, mia moglie guarda Temptation island, di stupidaggini di cui parlare ce ne sono un sacco. Se ti chiedi cosa dire in nostra presenza o in presenza di un disabile, vuol dire che la prima cosa che vedi è la sua disabilità. Ecco, il problema sta qui. Vedi prima la persona e saprai cosa dire. Anche: “che camicia di merda che ti sei messo oggi”!

Disabilità e sessualità, sopravvivenza al proprio figlio, questi sono alcuni dei temi affrontati nella tua meravigliosa community, che cosa hai imparato in questi anni di condivisone e che cosa pensi di aver insegnato?
In questi anni di condivisione credo di aver insegnato tutto quello che in questi anni  ho imparato. Diario di un padre fortunato è come uno specchio: chi arriva lascia la propria immagine riflessa, dalla quale chi arriva dopo imparerà qualcosa, per poi lasciare la propria a sua volta. E così via. Se dovessi riassumere questi anni di condivisione in una frase, lo farei con il nostro hashtag: #ildragocifaunchinotto (se siamo uniti).

Fonte: @diariodiunpadrefortunato
Foto @diariodiunpadrefortunato