“Prova bikini? L’esposizione del corpo fa paura ma si può superare così”

La psicologa Claudia Campisi, che collabora con TherapyChat, ci spiega perché il bikini ci mette così ansia, come superarla e quando diventa un vero problema

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

La prova bikini è un momento vissuto da molte donne di qualsiasi età con ansia e stress. Spesso ci si sente inadeguate a mostrare il proprio corpo in pubblico e non è solo una questione di chili di troppo o supposti difetti fisici.

A 77 anni dalla nascita del bikini, la psicologa Claudia Campisi, collaboratrice con TherapyChat, ci spiega la causa delle nostre paure ma anche gli strumenti per superarle e per vivere con positività il momento di indossare il costume.

In particolare l’ascolto introspettivo, la riduzione dell’esposizione alle immagini proposte dai social o a stimoli stressanti e prendersi cura di sé per costruire una relazione positiva con il proprio corpo sono alcuni dei suggerimenti della dottoressa Campisi che possiamo facilmente mettere in pratica. Ma se ancora l’ansia da bikini non se ne va, ecco come dobbiamo intervenire.

Perché il bikini mette così tanto a disagio le donne?
Innanzitutto, il tornare a scoprirsi dopo un lungo periodo in cui si è abbigliati molto diversamente. Mentre il bikini mette in qualche modo sotto i riflettori il proprio corpo e questo può diventare un vero e proprio problema. In questi casi, dove lo scoprirsi diventa un disagio, siamo di fronte a un disturbo, noto come Spotlight. Si tratta di una vera e propria convinzione di essere osservati nel dettaglio dagli altri, non tanto per il proprio aspetto quanto per i propri difetti, che possono andare dal chilo in più alle imperfezioni della pelle in base ovviamente alle convinzioni personali del soggetto.

Che cos’è esattamente l’effetto Spotlight?
È una delle sindromi recenti studiate nell’ambito del modello cognitivo-comportamentale, perché il problema dell’esposizione – e di conseguenza del bikini – oggi è più diffuso di quanto si possa immaginare, soprattutto tra gli adolescenti e questo è legato al fattore culturale dell’influenza e dell’esposizione suo social. Quindi questo effetto è figlio della nostra società.

Come facciamo a capire se il nostro disagio di fronte al bikini è in qualche modo giustificabile o abbiamo a che fare con la sindrome Spotlight?
La soglia che fa riconoscere che abbiamo un reale problema è quella dell’evitamento. Quando una persona condizione la propria vita con la strategia dell’evitamento, cioè rinunciando a vivere delle esperienze per prendere le distanze da una situazione vissuta da lei come qualcosa di doloroso, di imbarazzante, di vergognoso, è un campanello d’allarme importante. E questo lo dico per allertare anche i genitori che devono essere in grado di cogliere i segnali nei propri figli che qualcosa non va. Sottolineo inoltre che questo problema non è esclusivamente femminile, ma riguarda anche gli adolescenti maschi. E questo fatto dimostra che tale disagio è legato agli standard di performance fisica distorta che la nostra società veicola proponendo dei modelli ideali irraggiungibili. E oggi grazie all’intelligenza artificiale li potremmo definire anche irreali. Il termine più corretto sarebbe filtrati, perché sappiamo quanto i filtri dominino sui social, proponendo appunto dei modelli che non esistono. I filtri cancellano i nostri tratti distintivi, li possiamo vivere come dei difetti, ma appunto sono dei tratti che ci caratterizzano.

body positivity prova costume
Fonte: Ufficio stampa - TherapyChat
Come superare la paura del bikini

Questo disturbo lo si riscontra soprattutto tra gli adolescenti o è presente in tutte le fasce d’età?
Appartiene un po’ a tutte le fasce d’età. L’adolescenza è sicuramente un periodo delicato perché ci troviamo di fronte a un percorso evolutivo specifico durante il quale avviene la costruzione dell’immagine mentale del proprio corpo nelle definizione dell’identità di genere, per cui il corpo è sempre centrale, vendo messo ampiamente in discussione. Ma il rapporto col proprio corpo affonda le radici fin dai primi istanti della nostra vita, soprattutto il corpo relazionale, quello che ci aiuta ad entrare in relazione con gli altri, dalle figure genitoriali alla fase di socializzazione. Noi siamo il nostro corpo, ci poniamo con il corpo e questo tipo di rapporto lo portiamo avanti per tutta la vita. Pensiamo in particolare alla donna che spesso è al centro di questo tema, perché vive profonde trasformazioni fisiche, a cominciare dalla maternità. Ma anche quando non si vive quest’esperienza, la donna ha un corpo che si evolve, che cambia con la maturità fino ad arrivare alla vecchiaia dove si devono cercare nuovi equilibri che vengono vissuti in modo molto personale. Basti pensare a chi sceglie di ricorrere alla chirurgia estetica. C’è anche un rapporto sano che comporta la ricerca di uno stile di vita che pone attenzione all’alimentazione e alla cura del fisico attraverso l’esercizio sportivo, alla danza.

Abbiamo parlato di come vivere positivamente il proprio corpo, allora come facciamo ad affrontare la tanto temuta “prova bikini” senza ansie?
Il primo aspetto da considerare è proprio quello di concentrarsi sull’esperienza legata alla prova bikini. Ovvero chi si reca al mare o in piscina sta vivendo un’esperienza che non è solo quella di esporre il proprio corpo, ma è soprattutto un momento di relax, di relazione, di esercizio fisico andando a nuotare. È un’esperienza molto ampia che non è appunto solo mostrare il proprio corpo. Tornando all’effetto Spotlight, dobbiamo concentrarci sul pensiero positivo che è questo: non siamo soli ad esporci in bikini ma tantissime persone lo fanno esibendo corpi naturali, con difetti, come il nostro. Non dobbiamo sentirci nel mirino di nessun obiettivo, non siamo sotto osservazione e soprattutto dobbiamo individuare da noi quegli elementi che ci fanno sentire più a nostro agio. Ad esempio acquistare un capo che ci valorizzi dal nostro punto di vista. Sappiamo infatti che chi vive un rapporto conflittuale col proprio corpo non accetta consigli da nessuno, nemmeno da un esperto di immagine. Perciò, si deve in prima persona provare a valorizzare il proprio corpo e provare a coprire quel tanto che basta per porsi in un atteggiamento di serenità. Una strategia utile può essere quella di provare a spogliarsi gradualmente, coi tempi che si preferiscono e in modo naturale, e non a concentrarci sull’evento dell’esposizione.
Io faccio leva sul concetto di vivere l’esperienza, perché le emozioni che si generano da una conversazione, da un aperitivo in compagnia, da un tuffo o un bagno possono dissuadere l’attenzione da tutto il resto. Quando tutto ciò non dà effetti positivi o non si è in grado di farlo, allora è importante farsi aiutare seriamente su questo rapporto conflittuale col proprio corpo, ricorrendo a una terapia online e a un aiuto specialistico perché c’è qualche cosa che sta seriamente limitando la propria libertà e la possibilità di trarre piacere da un’esperienza di vita quotidiana.
Per questo consiglio anche di uscire dalla spirale della consultazione compulsiva dei social dove vengono condivisi video e immagini di corpi perfetti, ma finti, per concentrarsi su corpi reali e immagini facilmente riconducibili alla propria quotidianità e soprattutto è importante guardare alla propria esperienza e non a quello che ci viene proposto in questo genere di media e di promozione costante, h 24.

Claudia Campisi TherapyChat
Fonte: Ufficio stampa - TherapyChat
La psicologa Claudia Campisi

Oggi da un lato abbiamo l’esposizione eccessiva sui social di modelli di corpi irraggiungibili e dall’altro l’insistenza sul messaggio di body positivity: non c’è contraddizione in tutto ciò?
La contraddizione c’è. Abbiamo una sorta di dicotomia tra due immagini completamente diverse. Da un lato la body positivity è un movimento culturale a tutti gli effetti e ha prodotto risultati tangibili e importanti. Basti pensare che a livello internazionale abbiamo un dato elevato di obesità e però ci sono molte persone, che rientrano potremmo dire nella categoria curvy, che accettano e vivono il proprio corpo almeno in apparenza in modo positivo appunto. Dall’altro però abbiamo un costante martellamento mediatico, che va dai social alla pubblicità, in cui vengono proposti dei modelli che rappresentano solo una parte della popolazione. Allora quando si parla di rappresentatività, è importante che anche a livello mediatico si parli di un parterre più ampio di modelli. Sui social, dove abbiamo anche dei contenuti ludici, i modelli che sono raffigurati sono difficilmente raggiungibili. Di nuovo, i filtri banalmente non correggono solo quelli che possono essere considerati difetti fisici come cicatrici, acne ecc, ma correggono anche il sottomento, la figura intervenendo su fianchi, glutei, seno. Questo ci deve far riflettere che spesso non ci confrontiamo con figure reali ma con costruzioni e sovrastrutture artificiali, con veri e propri avatar. Il punto è che ci sono molte persone che credono nella veridicità di questi finti modelli e soprattutto entrano nel loop del confronto che è molto grave, perché il confrontarsi, se non è di tipo ispirazionale, può dare il via a una spirale di frustrazione, rabbia e inadeguatezza che poi diventa difficile tenere sotto controllo. Perciò è importante cogliere i campanelli d’allarme.