La dieta ipoglucidica è una strategia nutrizionale che prevede la riduzione dell’assunzione complessiva dei carboidrati secondo schemi personalizzabili. Anche se è spesso usata per contrastare l’obesità e la sindrome metabolica, sembra essere molto efficacie nei confronti di diverse condizioni patologiche.
Esistono molte varianti alla dieta ipoglucidica. Innanzitutto, in base alla quantità di carboidrati che vengono introdotti possiamo distinguere in dieta a ridotto contenuto di carboidrati e una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati. Inoltre, è possibile variare la quantità delle proteine e la quantità dei lipidi assunti. La chetosi indotta sembra essere il cambiamento metabolico caratterizzante, sebbene compaia soltanto a condizione di scendere al di sotto di una certa di soglia di carboidrati assunti giornalmente. Il controllo da parte del professionista della nutrizione deve essere costante durante il periodo della dieta soprattutto in presenza di pazienti che ricorrano ad una terapia ipoglicemizzante.
Indice
Che cosa si intende per dieta ipoglucidica?
Ognuno di noi può facilmente verificare, andando ad interrogare un motore di ricerca qualsiasi, quanta confusione ci sia nei risultati ottenuti digitando “dieta ipoglucidica”. Perciò, è necessario fare un po’ di chiarezza. Una dieta ipoglucidica non è necessariamente una dieta iperproteica, cioè a maggior contenuto di proteine, ma può esserlo ed in misura diversa. In effetti, la quota proteica può essere personalizzata all’interno di un progetto terapeutico di più ampio respiro che tenga conto degli effetti sulla salute a lungo termine. In una dieta bilanciata, i carboidrati devono fornire il 45-60% dell’energia totale con preferenza per le fonti alimentari amidacee a baso indice glicemico.
Quindi, in una dieta a ridotto contenuto di carboidrati (low-carbohydrate diet) le calorie apportate dai carboidrati devono essere inferiori al 45% rispetto alle calorie totali. Anche se, la soglia generalmente accettata per rientrare all’interno di una “bassa assunzione di carboidrati” è inferiore a 130g/die di glucidi, equivalente a meno del 26% dell’energia totale. Inoltre, esiste anche una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati (very-low carboihidrate ketogenic diet), i cui i glucidi contribuiscono a circa il 10% dell’apporto energetico totale. All’interno della tabella di seguito riportata, sono stati riassunti i principali modelli di diete in funzione dei carboidrati presenti.
Descrizione Diete | Grammi/die | Energia dai carboidrati |
Dieta chetogenica
(dieta a bassissimo contenuto di carboidrati) |
< 20-50 g | < 10% |
Ridotto contenuto di carboidrati | <130 g | <26% |
Carboidrati moderati | 130-230 g | 26-45% |
Carboidrati alti | ≥230 g | >45% |
Come la dieta ipoglucidica influenza il metabolismo
Quando una persona decide di seguire una dieta ipoglucidica il principale cambiamento metabolico che si verifica è la chetosi. Tuttavia, è possibile entrare in chetosi soltanto a condizione di scendere al di sotto di una certa di soglia di carboidrati assunti giornalmente: tale soglia può variare da individuo e individuo e mediamente il range è di 20-40g di carboidrati/die. Perciò, il riferimento è alla “very-low carboihidrate ketogenic diet”. La ridotta assunzione di carboidrati comporta la riduzione del livello di insulina circolante, che provoca a sua volta un aumento del livello degli acidi grassi circolanti, che saranno utilizzati per l’ossidazione e per la produzione di corpi chetonici da parte del fegato.
Quando in un lasso di tempo relativamente breve la disponibilità dei carboidrati viene ridotta di una quantità significativa, il corpo sarà stimolato a massimizzare l’ossidazione degli acidi grassi per il fabbisogno energetico. Perciò, in tale condizione i corpi chetonici diventano un carburante importante per l’organismo.
Semplificando, questo modello di dieta funzionerebbe promuovendo la riduzione dell’insulina sintetizzata dalle cellule β delle isole di Langerhans del pancreas, che è il principale ormone dall’azione ipoglicemizzante, ma che produce anche uno stato anabolico promuovendo l’accumulo di grasso. Perciò, la dieta ipoglucidica migliorerebbe la funzione cardiometabolica e favorirebbe la perdita di grasso. Questo approccio è chiamato modello carboidrati-insulina.
Benefici della dieta ipoglucidica
Le diete a ridotto contenuto di carboidrati ma normoproteiche, rivestono particolare interesse per gli effetti benefici riscontrati e per causare una riduzione rapida del peso corporeo, nei primi sei mesi di trattamento, rispetto alle diete equilibrate mediterranee classiche (ipocaloriche, ipolipidiche e normoproteiche). È stato osservato che i pazienti che aderiscono ad una dieta a ridotto contenuto di carboidrati per un periodo di tempo di sei mesi, rispetto ad altre diete comunemente raccomandate per la gestione del diabete di tipo II (ad esempio diete a ridotto contenuto di grassi), hanno una remissione del diabete di tipo II senza avere effetti avversi.
Sorprendentemente, alcuni studi iniziali avevano mostrato come la dieta a lungo termine fosse associata ad una riduzione dei benefici ed a un incremento della mortalità dopo 12 mesi di dieta. In realtà, questa relazione è stata ritrattata perché l’associazione di diete povere di carboidrati e diete povere di grassi con il tasso di mortalità dipende dalla qualità delle fonti alimentari di micronutrienti che vengono introdotti nel nostro organismo.
Infatti, ulteriori studi hanno dimostrato l’efficacia di questa strategia nutrizionale nel trattamento sia per il diabete mellito di tipo II che di prediabete. Perciò, la dieta ipoglucidica può essere efficacemente incorporata nelle cure primarie di routine per un periodo prolungato (6 anni). Inoltre, sono stati osservati anche dei notevoli miglioramenti in tutti i parametri cardiometabolici come il peso, l’emoglobina glicosilata, il profilo lipidico e la pressione arteriosa.Fatta questa premessa, appare coerente l’osservazione che durante sei mesi di trattamento i pazienti gravemente obesi, nei quali l’incidenza di diabete e/o sindrome metabolica sono molti alti, perdano più peso rispetto a quelli che hanno seguito una dieta con una restrizione calorica e di grassi. Allo stesso modo, non ci stupisce il netto miglioramento della sensibilità insulinica e del livello dei trigliceridi che è stato registrato.
Anche i pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD), che, come è noto, è strettamente associata all’obesità, al diabete mellito di tipo II e alla sindrome metabolica, hanno beneficiato di questa strategia nutrizionale. Il risultato è un’importante riduzione del “fegato grasso” e un miglioramento del profilo lipidico in questi pazienti.
Inoltre, la low carbohydrate diet è molto utile nelle donne con la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS). Il controllo del livello dei carboidrati che vengono assunti durante la giornata si è rilevato uno strumento efficace sia nel trattamento che nella prevenzione della sindrome metabolica. Effettivamente, l’intervento nutrizionale è in grado di migliorare i sintomi clinici di queste pazienti.
Attenzione ai carboidrati che assumiamo
In chimica organica, i glucidi o carboidrati sono composti organici costituiti da atomi di carbonio, di idrogeno e di ossigeno. Rappresentano la principale fonte di energia per il nostro organismo e pertanto sono dei nutrienti essenziali. Tuttavia, i carboidrati possono essere molto diversi tra di loro. Dobbiamo cercare di consumare preferibilmente i carboidrati complessi rispetto a quelli semplici come il glucosio o il fruttosio. La Società Italiana di Nutrizione umana (SINU) ci dice di limitare il consumo di zuccheri (naturalmente presenti nel latte, nella frutta, nella verdura e gli zuccheri aggiunti) a meno del 15%.
In particolare, la dieta ipoglucidica deve privilegiare i carboidrati a basso indice glicemico e limitare il consumo di zuccheri semplici. Le linee guida ci dicono che è necessario limitare l’uso del fruttosio come dolcificante e il consumo di bevande o alimenti formulati con fruttosio e sciroppi di mais ad alto contenuto di fruttosio. Assolutamente controindicate sono le cosiddette “calorie vuote”: bevande o alimenti che forniscono un elevato apporto energetico ma che hanno un bassissimo valore nutritivo. Rientrano in questa categoria alimenti diversi quali le bevande zuccherate (compresi molti succhi di frutta), le merendine e gli snack, l’alcol e tutto quello che viene chiamato “cibo spazzatura”. Tutti alimenti da evitare in quanto sono molto ricchi di zuccheri e spesso di grassi saturi ed idrogenati.
Dieta ipoglucidica quali alimenti preferire?
Per chi decidesse di seguire un approccio “low carb”, è necessario prendere alcuni fondamentali accorgimenti. Infatti, è molto importante preservare l’apporto di fibra alimentare non scendendo al di sotto dell’assunzione raccomandata corrispondente ad almeno 25g/die. Al contrario, un deficit di fibra è stato associato ad un aumento del rischio di malattie metaboliche e del colon. Fortunatamente, rispettare la soglia di fibra giornaliera raccomandata è un obiettivo tutt’altro che difficile da conseguire. È sufficiente adottare una dieta che limiti gli alimenti ultra-elaborati e le farine raffinate, preferendo i cereali integrali e inserendo le noci, i semi, i legumi, le verdure non amidacee e la frutta a basso contenuto di carboidrati. In questo modo, non soltanto è possibile mantenere l’apporto consigliato ma si può ottenere un guadagno netto di fibra alimentare assunta.
In conclusione, i regimi alimentari a ridotto contenuto di carboidrati sembrano funzionare molto bene come prima strategia nutrizionale favorendo una netta riduzione del peso corporeo e miglioramento contemporaneamente i paramenti cardiometabolici. Tuttavia, per periodi prolungati di tempo non ci sono evidenze a favore di una superiorità della dieta ipoglucidica rispetto ad altri regimi dietetici bilanciati, come ad esempio la dieta mediterranea.
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