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Caffè e diabete
Secondo l’OMS, il diabete affligge il 9% della popolazione mondiale adulta (di cui il 90% soffre di diabete di tipo 2). Una condizione cronica sempre più diffusa nel nostro tempo che può essere prevenuta attraverso un sano stile di vita, limitando il fumo e le bevande alcoliche, svolgendo una regolare attività fisica e, soprattutto, adottando una dieta sana ed equilibrata.
In particolare, secondo la scienza, alcuni alimenti, possono giocare un ruolo chiave nell’arginare il dilagare di questa patologia. Tra questi anche il caffè.
La letteratura scientifica, al riguardo, è molto vasta.
Secondo le ultime evidenze segnalate dall’ISIC (Institute for Scientific Information on Coffee):
- bere dalle 3 alle 4 tazzine di caffè al giorno è associato a una riduzione del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, approssimativamente del 25%.
- consumare caffè contenente caffeina sembrerebbe proteggere maggiormente le donne rispetto agli uomini dalla possibilità di sviluppare il diabete.
- una meta-analisi di studi prospettici ha concluso, oltre all’effetto del caffè con caffeina, che anche il caffè decaffeinato ha effetti benefici contro i rischi del diabete.
- uno studio del 2012 su una popolazione giapponese ha rilevato che bere caffè è protettivo contro l’intolleranza al glucosio.
“Ogni giorno miliardi di persone fanno affidamento sul caffè per ricaricarsi, concedersi una pausa di gusto, condividere un momento di relax, ma anche perché è un prezioso alleato per il benessere” commenta Michele Monzini, presidente di Consorzio Promozione Caffè, il Consorzio che da oltre 30 anni riunisce le principali aziende che producono e commercializzano le diverse tipologie di caffè.
I meccanismi dell’azione positiva della bevanda contro il rischio di sviluppo del diabete di tipo 2 non sono ancora totalmente chiari. Un’ipotesi è che i polifenoli contenuti nel caffè, che includono gli acidi clorogenici (CGA), possano avere un effetto sul metabolismo del glucosio ed essere dunque associati a un rischio ridotto di sviluppare la patologia.
Numerose ricerche mostrano inoltre che, grazie alle sue proprietà antiossidanti, l’assunzione a lungo termine di caffè può ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2.
Cos’è il diabete mellito di tipo 2
Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia cronica non trasmissibile caratterizzata da elevati livelli di glucosio nel sangue ed è dovuta a un’alterazione della quantità o del funzionamento dell’insulina. È detto di tipo 2 per differenziarlo dal tipo 1 (detto anche diabete giovanile, 10% dei casi), in quanto si tratta di due patologie distinte, per cause, età di insorgenza, sintomatologia di esordio, terapia e possibilità di prevenzione.
Il diabete di tipo 2 è fortemente correlato a sovrappeso e obesità, scorretta alimentazione, sedentarietà e condizioni socio-economiche svantaggiate e pertanto è, in parte, prevenibile attraverso interventi sull’ambiente di vita e azioni che favoriscano la modifica degli stili di vita delle persone a rischio, in particolare per quel che riguarda l’alimentazione e l’attività fisica.
La maggior parte delle persone con diabete mellito di tipo 2, al momento della diagnosi, presenta entrambi questi difetti:
- insufficiente produzione di insulina da parte del pancreas (deficit parziale di insulina),
- inadeguata risposta all’insulina (insulino-resistenza).
La malattia si presenta in genere in età adulta (circa i 2/3 dei casi di diabete interessano persone di oltre 64 anni), anche se negli ultimi anni un numero crescente di casi viene diagnosticato in età adolescenziale, fatto questo correlabile anche all’aumento dei casi di obesità infantile.
I numeri del diabete in Italia
Gli italiani affetti da diabete tipo 2 sono circa il 6% della popolazione, cioè quasi 4 milioni di persone. Si stima, tuttavia, che a questo numero possa aggiungersi circa 1,5 milione di persone che hanno la malattia ma ancora non lo sanno. La prevalenza aumenta al crescere dell’età fino a un valore del 21% nelle persone con età uguale o superiore a 75 anni (dati ISTAT 2020).