Perché sognavamo tutte di essere Jo March (e non la Barbie)

Piccole Donne, il libro più amato da tante generazioni di adolescenti. Che sognavano di essere Jo, perché significava sognare la libertà

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Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Noi, che siamo cresciute leggendo Piccole Donne“. E come noi tante generazioni di adolescenti di tutto il mondo. Romanzo di formazione, rivoluzionario e femminista nel periodo in cui fu scritto da Louisa May Alcott (fine ‘800), attuale ancora oggi. Le quattro sorelle della famiglia March, protagoniste del libro, rappresentano quattro tipologie di donne diverse, in cui ognuna di noi può immedesimarsi. Alla fine però, scegliamo tutte Jo, la secondogenita, il maschiaccio. La più ribelle, anticonformista, indipendente e impulsiva. Dotata di una lingua che non sta mai a freno, ma anche di un cuore d’oro.

Tanti commenti ci sono arrivati per questo articolo (femminili, ça va sans dire), tutte, ma proprio tutte, esprimono la propria preferenza per Jo. “Eravamo tutte Jo March”, “Io sono Jo March”, “Ho chiamato mia figlia Jo in suo onore”… Nessuna si immedesima o sogna di essere come la materna e accondiscendente Meg, o la timida e introversa Beth, e nemmeno la più bella delle sorelle, la saputella e viziata Amy. Forse, se facessimo leggere lo stesso libro alle adolescenti di oggi non ci sarebbe lo stesso unanime parere: qualcuna preferirebbe Meg o Amy. Ma fino a 30, 40, 50 anni fa, tra desiderio di emancipazione e indipendenza, non poteva che essere Jo la preferita di tutte.

Perché sognare di essere Jo March era sognare la libertà come valore fondamentale della propria esistenza. Perché l’irrequietezza di Jo era comune a tutte noi adolescenti, prototipo di ragazza libera e selvaggia che scalpita per affermarsi nel mondo. Perché la sua ribellione, il suo anticonformismo, il desiderio di rottura degli schemi sono -quasi sempre – tratti distintivi di ogni nuova generazione. Un po’ meno nell’800 (per questo il romanzo della Alcott, cresciuta non a caso in un ambiente anticonformista, fu così rivoluzionario), di sicuro da fine XX secolo ad oggi.

Perché la sua impulsività va a braccetto con una grande generosità d’animo e onestà morale: Jo si taglia i bellissimi capelli, la cosa più bella che possiede, per aiutare la famiglia in ristrettezze economiche. Jo è quello che siamo state ma anche quello che avremmo voluto essere o diventare, nel periodo della nostra adolescenza. Impulsiva ma generosa, ribelle e anticonformista ma buona e altruista. Un’eroina anche tragica, in qualche modo, che per amore di libertà e avventura sacrifica il Principe Azzurro, ricco e bello, dietro l’angolo, e sceglie alla fine un uomo comune, più povero ma affine a lei. La cultura contro la bellezza.

“Non credo che mi sposerò mai. Sono felice così come sono, e amo così tanto la mia libertà per non avere alcuna fretta di rinunciarvi, per qualsiasi uomo mortale”.

Anche in questo Jo rompe gli schemi e ci conquista totalmente.