Lele Mora, gli anni difficili in carcere e il tentato suicidio: “Non respiravo più”

Il manager dei Vip si mette a nudo e racconta degli anni difficili trascorsi a risolvere i tanti grattacapi con la giustizia

Foto di Martina Dessì

Martina Dessì

Lifestyle Specialist

Content editor di tv, musica e spettacolo. Appassionata di televisione da sempre, designer di gioielli a tempo perso: ama i particolari, le storie e tutto quello che brilla.

Una vita incredibile, fatta di grandi successi e di un’agiatezza che gli aveva dato l’illusione di essere invincibile: Lele Mora ha scoperto molto presto che la realtà poteva trasformarsi in qualcosa difficilissimo da accettare. E mai, proprio mai, avrebbe immaginato di essere privato della sua libertà. L’agente più influente dei Vip, la mente che ha creato i personaggi più amati e controversi dei primi anni 2000, si racconta nel podcast di Luca CasadeiOne more time – in cui non lascia davvero nulla alle più tortuose interpretazioni. “Ho tentato il suicidio”, ha detto, un gesto di cui oggi si pente ma che ha compiuto perché non riusciva a vedere una via d’uscita.

Lele Mora, l’arresto per bancarotta e il tentato suicidio

“Sono stato arrestato per bancarotta perché avevo un debito con l’ufficio entrate. Stavo trattando per pagare questo debito, ma non è stato possibile: ero già stato in tribunale per fare un accordo ma il giudice non aveva accettato la dilazione di pagamento che avevo prospettato. Hanno emesso un mandato di cattura. Io ero seduto alla mia scrivania quel giorno e ho visto nel sottopancia delle televisioni: ‘Arrestato Lele Mora’. Dopo circa tre orette, è suonato il campanello: la Guardia di Finanza è entrata in ufficio con un mandato di arresto. Poi mi hanno accompagnato nel carcere di Opera e lì ho fatto dentro 407 giorni”, ha raccontato Lele Mora, che – nonostante i tanti anni trascorsi – non è mai riuscito a superare davvero il dolore per la detenzione e per la privazione della sua libertà che ha riottenuto dopo oltre un anno.

Tra le mura del carcere ha trovato però una sua dimensione, un aiuto dalla terra che l’ha convinto ad andare avanti anche quando tutto sembrava perduto: “Ho chiesto al comandante di poter creare un orto dietro il carcere. L’ho fatto pulire bene con dei detenuti che mi sono fatto dare e ho creato un orto meraviglioso: era “orto-terapia” e mi aiutava. Prendevo i prodotti che venivano su – pomodori, angurie, meloni, melanzane, peperoncini – tutto quello che io seminavo, cresceva e lo mettevo su un carrello. Erano poi i poliziotti poi che li davano a chi volevano loro perché lì non potevi fare niente di testa tua. Dovevi sempre passare dalla polizia penitenziaria”.

Il suo orto non è bastato per riportarlo a contatto con una realtà che avrebbe dovuto fare propria per troppo tempo e ad accettare quella nuova vita che non era la sua. Da qui, la decisione di togliersi la vita: “Queste cose non si devono mai fare. Era la Vigilia di Natale, erano venuti i miei figli e vederli andare via dalla finestra mi ha fatto sentir morire. Sono tornato in cella, non ho più pensato a niente, solo: ‘Perché devo stare qua? Perché devo soffrire così tanto e far soffrire così tanto i miei figli? Se mi tolgo la vita, forse è la cosa più bella’. Vicino al mio letto, c’era una lampada tutta incerottata, ho staccato tutto lo scotch, mi sono messo un asciugamano in bocca e mi sono incerottato. Penso di essere anche svenuto perché non respiravo più. È arrivato il poliziotto penitenziario, mi ha chiamato e io non ho risposto. Subito mi hanno caricato e portato in ospedale. Per via di quel gesto, poi, ho avuto due ischemie brutte. Sono cose che non vanno fatte”.

L’amicizia con Silvio Berlusconi

“Nacque un’amicizia molto bella, molto vera e molto sincera che continuò per tanti anni. Ci sentivamo cinque, sei volte al giorno: ‘Vieni a cena da me stasera, ci vediamo domani’. Ero molto lusingato di aver incontrato e di avere a che fare con uomo come lui. Nel periodo in cui lo frequentavo, c’era tanta gente che mi chiedeva di venire ad Arcore a cenare con lui o a conoscerlo, però io non mi sono mai permesso di invitare nessuno perché la volevo tenere per me questa grande amicizia”, ha raccontato su Silvio Berlusconi, che col tempo era diventato un suo amico.

Lele Mora era infatti tra i tanti che hanno partecipato alle esequie di Stato dell’ex Premier, scomparso a 86 anni al San Raffaele di Milano per una forma di leucemia molto grave. La loro amicizia è stata inoltre l’anticamera del grande successo come manager di Lele Mora, che ha letteralmente forgiato alcuni dei personaggi più gettonati dei primi anni 2000. È stato lui a favorire l’ascesa dei Tronisti, da Costantino Vitagliano a Daniele Interrante, senza dimenticare il legame a filo doppio con Fabrizio Corona e che ancora oggi è oggetto di dibattito.

Il suo sogno mai realizzato? Quello di poter studiare: “Mio papà ha chiesto a questo frate di aiutarci per farmi studiare. Ho fatto cinque, sei anni in questo convento però poi ho capito che non era il caso che mi facessi frate. Sono uscito dal convento e mi sono iscritto a una scuola alberghiera. Sono riuscito poi ad andare a lavorare a Venezia. Qui ho incontrato tanti artisti che andavano al Festival del Cinema di Venezia e ho capito che quel mondo, poteva essere il mio mondo perché lo sentivo mio”.