In sessuologia il termine feticismo indica il desiderio sessuale verso un oggetto inanimato, una specifica parte del corpo (altrimenti detto “parzialismo”) o persino un fluido corporeo, la cui presenza è fondamentale per poter arrivare al piacere sessuale e all’orgasmo. Un grande classico è il feticismo delle scarpe con il tacco o dei collant, ma ne esistono anche di meno conosciuti e di più singolari.
I primi a dedicare un’attenzione approfondita al tema del feticismo sono stati lo psicologo francese Alfred Binet e i pionieri della sessuologia Richard von Krafft-Ebing, Havelock Ellis e Magnus Hirschfeld, indagando sul simbolismo erotico e sulle sue manifestazioni. A lungo si è parlato di feticismo solo al maschile, preconcetto messo in discussione dalle studiose femministe Lorraine Gamman e Merja Makinen in Female fetishism (NYU Press), pubblicato nel 1994.
Oggi è considerato una parafilia, termine che indica interessi sessuali intensi e persistenti che coinvolgono oggetti, attività o situazioni atipiche e che ha sostituito nel linguaggio ufficiale l’ormai desueto “perversione”, parola fin troppo carica di associazioni negative. Si tende a considerare il feticismo un disturbo quando il desiderio o i comportamenti a esso associati creano disagio o interferiscono con la vita quotidiana o interpersonale, ma il fatto che un interesse sia inusuale non significa di per sé che sia dannoso.
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Quali sono i più comuni
Difficile immaginarli tutti, perché i feticismi sono tanti e diversi. Basandosi sulle sue osservazioni di ricerca, il sessuologo del Kinsey Institute Justin Lehmiller elenca i feticci più comuni in una digressione contenuta nel saggio Tell me what you want (Robinson): in cima alla lista ci sono i capi d’abbigliamento, in particolare se usati. Calze collant, scarpe, stivali e biancheria intima che il feticista ama indossare oppure toccare, guardare o annusare durante il sesso o la masturbazione, attorno a cui vengono elaborate le sue fantasie e i suoi desideri.
Quanto ai materiali, uno dei più gettonati è la lycra: forse perché non nasconde nulla ma semmai migliora l’aspetto di alcune parti del corpo (per esempio facendo apparire le gambe più lisce e slanciate), perché al tocco ha una texture unica e riconoscibile o perché viene spesso associata ai genitali, dato che il suo utilizzo principale è nei costumi da bagno e nella biancheria intima.
Cosa piace ai parzialisti
Il cliché porterebbe a pensare che il parzialismo più diffuso sia quello per i piedi, ma come fanno notare provocatoriamente i sessuologi Charles Moser e Peggy J. Kleinplatz il più popolare di tutti è in realtà quello per il seno. Se non lo consideriamo tale è solo perché questo interesse è così comune nella società occidentale da risultare ovvio, e quindi “normale”.
Non è detto però che non si possano sviluppare fetish anche per parti del corpo tradizionalmente considerate sexy, precisa Lehmiller. La differenza è nel rapporto che si ha con l’oggetto del desiderio: si è feticisti quando si è attratti esclusivamente da quella parte del corpo e quando per essere attraente la stessa deve avere una forma o delle caratteristiche specifiche. In tema di parzialismo è piuttosto comune anche il feticismo per gli addominali, per l’ombelico, per i capelli, per le ascelle o per le mani.
Feticisti si diventa
Sembra che questo interesse si sviluppi nell’infanzia, scrive Lehmiller, o almeno è così che lo ricordano i diretti interessati. Normalmente i feticisti sono in grado di associare questa forte attrazione a una precisa esperienza, molto intensa e gratificante. Di mezzo potrebbe esserci il meccanismo che gli psicologi chiamano one-trial-learning, ovvero l’eventualità di associare stimolo e risposta al primo tentativo. Gli stimoli sensoriali legati a quel momento così limpido nella memoria – quello che era possibile vedere, annusare, toccare, ascoltare o sentire – modulano l’eccitazione creando una forte associazione di idee tra il feticcio e il piacere, facendolo diventare il focus del desiderio sessuale.
Perché alcune persone sono attratte da alcune parti del corpo che altri potrebbero trovare addirittura repellenti, come i piedi? Forse perché l’eccitazione sessuale riduce impulsi come il disgusto, suggerisce Lehmiller. Quello che troviamo eccitante sul momento potrebbe lasciarci interdetti o imbarazzati una volta tornati in noi stessi, ecco perché per essere considerati feticisti è necessario che questa peculiare fissazione abbia una durata di almeno sei mesi.
Il feticismo nella moda e nell’arte
Uscendo dal contesto terapeutico fetish è diventato un termine ombrello, utilizzato per indicare sia il feticismo in senso stretto che l’estetica sposata da una parte della più ampia comunità kinky, abbracciata sia dal mondo della moda che da alcune sottoculture musicali. Miniabiti in pvc, collari, corsetti, tute in latex o in vinile, pelle, borchie e zip sono un must, ma anche i tacchi a stiletto sottili e vertiginosi. Fetish e bdsm hanno ispirato collezioni di Gianni Versace, Thierry Mugler e Alexander McQueen, così come un’intera fase della carriera di Madonna.
Di tutte le parafilie, il feticismo è anche una delle più fotogeniche. A giocare su questo concetto sono stati diversi artisti, ognuno con la sua sensibilità e il suo sguardo, dalla delicatezza poetica di Jo Ann Callis, più interessata a suggerire che a mostrare, alla perfezione marmorea dei soggetti di Robert Mapplethorpe. È un sottotesto riconoscibile negli scatti di Helmut Newton, amante dei tacchi alti e delle belle donne, nonché il soggetto preferito di Lee Higgs, affascinato dalle dominatrici e dalle modelle incontrate sulla scena fetish dei primissimi anni Zero.
Al cinema le inquadrature più famose restano quelle di Quentin Tarantino: in Pulp Fiction, Jackie Brown, Kill Bill, Grindhouse – A prova di morte e C’era una volta a Hollywood i piedi scalzi sono una costante, così come le inquadrature ravvicinate. Una passione mai nascosta e su cui è in grado di ironizzare, come dimostra la scena girata insieme a Salma Hayek in Dal tramonto all’alba dell’amico Robert Rodriguez.