Tiroide e Covid-19, cosa bisogna sapere

Gli esperti delineano alcune regole da tener presente in caso di tiroidite di Hashimoto e malattia di Basedow

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Dal 24 al 30 maggio si tiene la Settimana Mondiale della Tiroide. In tempo di Covid-19, ovviamente, occorre fare attenzione per chi è portatore di problemi della ghiandola. Bisogna sempre fare riferimento al medico per qualsiasi tipo di scelta e se compaiono campanelli d’allarme, come ricorda Luca Chiovato, Presidente Associazione Italiana della Tiroide, AIT e coordinatore e responsabile scientifico della Settimana Mondiale della Tiroide.

“La ghiandola svolge importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico – fa sapere l’esperto Per converso, la malattia da Covid-19 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici”. Ma come bisogna comportarsi? Ecco qualche regola generale da tenere presente.

Cosa fare in caso di tiroidite di Hashimoto e malattia di Basedow

“La tiroidite di Hashimoto, molto frequente soprattutto nelle donne, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica e non richiede per il suo trattamento farmaci immunosoppressori; quindi, non espone chi ne è affetto ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da Covid-19″ – spiega Francesco Giorgino, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia, SIE.

“Fanno eccezione a questa regola i casi in cui la tiroidite di Hashimoto si associa a due malattie endocrine che più gravemente impegnano l’organismo e il cui trattamento è molto più complesso: il diabete mellito di tipo 1, cioè quello che solitamente colpisce i bambini, i ragazzi e i giovani adulti ed è insulino-dipendente, e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti come quella da Covid-19.

Questi pazienti sono considerati veramente fragili e, giustamente, hanno una priorità per la vaccinazione utilizzando le formulazioni a RNA che assicurano una maggiore protezione. Lo stesso dicasi per l’associazione con altre malattie autoimmuni sistemiche come il lupus.  Quindi, la buona notizia è che, salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche, non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da Covid-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche quando questi siano in terapia con tiroxina per curare il loro ipotiroidismo”.

Per i pazienti con morbo di Basedow, la pandemia ha rappresentato un’ulteriore difficoltà in un percorso già ad ostacoli. “Il morbo di Basedow si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita causando il quadro clinico comunemente noto come esoftalmo – precisa Francesco Frasca, Rappresentante della European Thyroid Association, ETA. In questi casi bisogna fare molta attenzione anche alla vaccinazione anti- Covid-19 perché la terapia tipica dell’orbitopatia Basedowiana, i cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico”.

“Il paziente con orbitopatia di Basedow – segnala Emma Bernini, Presidente dell’Associazione Basedowiani e Tiroidei – è un paziente molto fragile, spesso gravato da ritardi diagnostici e terapeutici a causa della complessità della sua malattia che richiede il supporto di un team medico multidisciplinare (endocrinologo, oculista, radiologo-radioterapista, chirurgo orbitario, chirurgo plastico).

In questi pazienti, la maggior parte dei quali sono donne, il danno non è soltanto funzionale sino, nei casi più gravi, alla perdita della vista, ma anche estetico, a causa della sporgenza degli occhi e alla conseguente deformazioni dei tratti del volto. Ciò comporta una dolorosa perdita di identità che si aggiunge alle manifestazioni tipiche della malattia. Una volta controllato l’ipertiroidismo e il processo infiammatorio, la chirurgia “ricostruttiva” dello sguardo e del volto deve quindi essere considerata un irrinunciabile completamento della cura.

È quindi auspicabile che il preannunciato potenziamento del servizio sanitario nazionale porti alla creazione di questi team multidisciplinari in sempre più ospedali. La pandemia ci ha infatti insegnato come siano difficili i viaggi della speranza nei pochi centri specializzati spesso presenti in regioni lontane”.

Attenzione nelle persone anziane

La malattia da Covid-19 si è rivelata particolarmente aggressiva e con elevata mortalità nei pazienti anziani e soprattutto negli ultraottantenni – precisa Fabio Monzani, Rappresentante Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, SIGG.

La polmonite da Covid-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con lo sviluppo della cosiddetta sindrome del malato eutiroideo o sindrome con bassa T3 (ormone della tiroide).

Dati preliminari ottenuti da un registro nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG documentano una prevalenza particolarmente elevata della sindrome del malato eutiroideo (con tiroide che funziona normalmente), superiore al 50 per cento nei pazienti anziani ricoverati. La comparsa di questo quadro, pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi, ha un valore prognostico negativo perché si associa ad una maggiore mortalità”.