Test genetici per il tumore al seno, quando servono e a chi

Test genetici per prevenire e curare il tumore al seno, a chi sono consigliati e perché. Uno studio fa il punto sulla situazione

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

La scienza lo dice. Identificare un difetto genetico specifico (l’alterazione dei geni BRCA1 e BRCA2) può indicare la terapia più efficace per le donne colpite da tumore del seno. Per questo sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Oncology pochi giorni fa sono stati pubblicate, dopo revisione sistematica della letteratura scientifica, le raccomandazioni della società scientifica ASCO insieme all’Associazione dei Chirurghi Senologi Americani in merito all’utilizzo appropriato dei test genetici. Proviamo a decodificare cosa emerge insieme agli esperti della SIGU (Società Italiana di Genetica Umana).

Chi dovrebbe fare il test

Come ricorda Emanuela Lucci Cordisco, genetista medico e ricercatore dell’Università Cattolica di Roma e dirigente Medico  presso il Policlinico Gemelli IRCSS di Roma, “in primo luogo, gli oncologi americani hanno voluto rispondere a un quesito fondamentale: a chi proporre il test?

Le raccomandazioni indicano che il test genetico sul sangue andrebbe offerto al numero più alto di persone con  nuove diagnosi di cancro della mammella,  in particolare  alle donne fino ai 65 anni di età e non fino ai 40 anni come avviene oggi in Italia. È stata infatti sottolineata l’importanza di offrire una gestione clinica personalizzata ai/alle pazienti che presentano alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 per i quali l’utilizzo di un farmaco è in grado di fornire  un vantaggio terapeutico”.  Per questo il test dovrebbe essere offerto al maggior numero di persone.

Anche le persone in età superiore ai 65 anni o con vecchie diagnosi dovrebbero avere accesso al test genetico nel caso in cui questo fosse importante per la loro gestione clinica. Infine, in alcuni casi potrebbe essere utile proporre anche l’analisi di altri geni. “Si tratta di un numero di persone che si fa sempre più elevato: la nostra opinione è che se anche nel nostro Paese sarà offerto un numero così massiccio di test  servirà trovare un  giusto compromesso tra l’aumento della soglia di età e il carico di lavoro dei laboratori – continua la prof. Lucci Cordisco – Questo aspetto indicato dall’ASCO pone la necessità di  una riflessione a livello europeo e in ogni singolo paese per verificarne la possibilità di applicazione di questi grandi numeri  a seconda delle peculiarità dei diversi  sistemi sanitari nazionali”.

Come organizzare il test

L’utilizzo massiccio dei test in ambito oncologico pone diverse sfide ai genetisti sia dal punto di vista del laboratorio che da parte del genetista medico. “La sfida per i genetisti che emerge da questo lavoro è, a nostro avviso, l’aumento del carico di lavoro dei laboratori e delle richieste di consulenza genetiche – fa sapere l’esperta.  Sarà perciò necessario aumentare il coordinamento tra il team multisciplinare per fornire il test genetico in tempi utili, oggi di circa 4 settimane.

Occorre poi considerare che questo tipo di test è diverso dagli altri esami eseguiti durante il percorso di cura del/della paziente con tumore della mammella. Non ha solo importanza per la terapia del cancro della mammella, ma può identificare un rischio di poter sviluppare altri tumori non solo dei/delle pazienti ma anche per alcuni loro familiari. Inoltre, identificarlo può portare alla programmazione di una modalità di prevenzione adeguata all’aumentato rischio”.

Come proporre il test genetico germinale, cioè sul sangue

Partiamo dall’inizio. Occorre far comprendere tutte le implicazioni. Il consenso informato richiesto prevede la firma del paziente che deve avere ben compreso la portata del test; per questo va previsto un counseling per il test genetico pre e uno post, come sottolineato dall’ASCO.

Nel counseling pre-genetico vanno condivise le implicazioni del test, i possibili risultati, i suoi limiti e la utilità clinica con le implicazioni personali e familiari. Nel counseling post-test vanno discussi i risultati, i rischi ad essi associati, le modalità di prevenzione e le indicazioni per i familiari. “È importantissimo discutere il risultato del test genetico per la predisposizione ereditaria che definisce anche il rischio per i familiari.

“Noi genetisti di SIGU siamo impegnati da anni per ottenere una corretta  discussione con il paziente al fine di arrivare ad una corretta comprensione. È importantissimo che i pazienti comprendano tutte queste implicazioni per poter trasmettere le indicazioni ai familiari. Una delle problematiche che emerge nel nostro paese è il numero esiguo di questi specialisti. Con un utilizzo massiccio di test oncologici serviranno molti più genetisti formati in ambito oncologico, che approfondiscano anche la conoscenza delle terapie oggi a disposizione in un continuo percorso di aggiornamento”.

Importante gestire il dato

Bisogna sempre ricordare che la maggioranza delle forme tumorali, più che con la predisposizione ereditaria, ha legami con l’ambiente e le abitudini. Rimaniamo alla mutazione a carico del gene BRCA1, che insieme al BRCA2, determina un rischio aumentato di sviluppare tumore della mammella e dell’ovaio. Se è vero che la presenza di questo corredo genetico indica un maggior rischio di sviluppare tumore in chi è portatore, come del resto accade per il gene RET per il carcinoma della tiroide, o per il gene APC per un tipo di tumore del colon, è altrettanto innegabile che l’informazione va “gestita” e soprattutto bisogna programmare per ogni individuo un percorso di monitoraggio e cura specifico.

In presenza di geni che possono influenzare il profilo di rischio di sviluppare una patologia, insomma, è fondamentale studiare il DNA delle persone giuste e, insieme allo specialista, “utilizzare” al meglio le informazioni. Esistono due scenari principali: in quello più raro – meno del 10% dei casi – la mutazione dei geni coinvolti nei tumori è stata trasmessa da uno dei genitori e la mutazione (che chiamiamo germinale) è presente in tutte le cellule dell’organismo, con il tumore che potrà ricorrere con alta probabilità all’interno della famiglia nei componenti che presentano questa mutazione. Più frequentemente invece la mutazione  – detta somatica – insorge in una singola cellula dell’organismo a causa di eventi esterni che danneggiano il nostro DNA: la traccia dell’errore del DNA sarà presente solo nel tumore.