Talidomide, l’effetto del vecchio farmaco contro la malattia di Crohn nei bimbi

Un gruppo di pediatri ha studiato l'effetto di un vecchio farmaco per curare la malattia di Crohn e la colite ulcerosa nei bambini

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Gli esperti le chiamano MICI. La sigla sta per Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. Sono la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. Purtroppo questi quadri sempre di più si manifestano anche in bambini e adolescenti. Vanno riconosciuti prima possibile e trattati di conseguenza. Ma soprattutto occorre trovare trattamenti specifici per questa fascia d’età.

In questo senso va una ricerca dei un gruppo di pediatri italiani della società scientifica SIGENP, che è andato ad esplorare l’effetto di un vecchio farmaco, divenuto tristemente noto a metà del secolo scorso ma ora attentamente studiato per i suoi effetti positivi, la talidomide. I risultati di uno studio, pubblicato dalla più prestigiosa rivista internazionale del settore, Inflammatory Bowel Disease, e coordinato da un gruppo di ricercatori italiani guidato dal dott. Matteo Bramuzzo, dell‘IRCCS Burlo Garofolo di Trieste, ha raccolto i dati di 10 anni di esperienza clinica del trattamento di questi quadri  in otto centri italiani.

Cosa emerge dalla ricerca

Quando i bambini colpiti sono molto piccoli, di età inferiore ai sei anni, queste patologie vengono spesso definite con l’acronimo VEO-IBD (Very Early Onset Inflammatory Bowel Disease), cioè malattia infiammatoria intestinale a comparsa molto precoce. “In 37 bambini con VEO-IBD  – Bramuzzo – la terapia  con talidomide si è rivelata efficace  e ottimamente tollerata: effetti collaterali solo nel 36% dei casi, molto inferiore a quanto osservato in pazienti adolescenti (77%). Può sembrare una casistica ridotta ma, trattandosi di malattie rare e di pazienti con caratteristiche molto selezionate, la numerosità di questa popolazione è rilevante. Ancor più interessante è il fatto che il farmaco ha permesso una prolungata remissione della malattia in una percentuale significativa di bambini.”

La durata del trattamento è stata da un minimo di un anno a un massimo di 9 anni. Inaspettatamente, quindi, la talidomide,  considerata una molecola superata e dannosa, porta nuove speranze in medicina.  Secondo Claudio Romano, presidente SIGENP e Direttore dell’UO di Gastroenterologia Pediatrica e Fibrosi Cistica dell’Università di Messina “questo studio ha consentito di aggiungere un nuovo farmaco nell’ambito del trattamento di queste patologie complesse nel bambino. Inoltre va considerato il relativo basso costo di questa terapia rispetto ad altri farmaci. Ma, al di là dei risultati positivi, non bisogna dimenticare  che  l’indicazione all’utilizzo di talidomide va discussa  con adeguata attenzione con i medici del centro dove il bambino è seguito.”

“Non è ancora la panacea per queste malattie – continua Bramuzzo – ma i risultati osservati con il nostro studio sono tra quanto di meglio si sia mai ottenuto. Infatti finora questa patologia nei bambini più piccoli  veniva affrontata con gli stessi farmaci – biologici e non – che si adoperano negli adulti, con risultati spesso poco soddisfacenti: adesso, grazie a questo studio, abbiamo appurato che la talidomide è sicuramente una valida opzione terapeutica nei bambini con Malattia Infiammatoria Intestinale ad esordio molto precoce che non risponda alle terapie convenzionali”.

La storia della talidomide negli anni 50

“Una soluzione per combattere, insonnia, nausea mattutina, ansia e altri malesseri  in gravidanza”. Suonava più o meno così il messaggio che, verso la fine degli anni 50, accompagnava quello che sarebbe divenuto al contempo un grande successo commerciale e uno dei più drammatici passaggi nella storia dell’industria farmaceutica. A promettere di eliminare il fastidio erano infatti le compresse a base di talidomide, sostanza che ha creato migliaia di bambini malformati nel mondo, con casi di amelia e focomelia, ovvero la mancanza di braccia con le mani che in pratica partono direttamente dalla spalla, e/o gambe.

La storia inizia nel 1957, quando viene messo in commercio un farmaco che la contiene, dopo una sperimentazione su 300 pazienti che non aveva dato luogo a effetti collaterali particolari. Prima il medicinale era in libera vendita e solo nel 1961 è diventata necessaria la ricetta medica.

In quell’anno un pediatra di nome Wildukind Lenz ipotizza per la prima volta una correlazione tra l’aumento aumento di malformazioni neonatali e l’assunzione del farmaco. Poi poco dopo, si riconosce il rapporto con il medicinale. Il farmaco, assunto in quattro anni da circa cinque milioni di donne nel mondo, viene tolto dal commercio in Germania nel 1961 e in Italia l’anno dopo.

Ora la scienza sta studiando, e non solo per la malattia di Crohn nei bambini, o addirittura ha già identificato, possibili indicazioni terapeutiche per la talidomide. Storie come quella che abbiamo sommariamente raccontato non si possono ripetere perché la situazione è profondamente diversa.

I controlli sui medicinali sono continui, fin dalle primissime fasi della ricerca, tanto che in pratica nove farmaci su dieci “muoiono” prima di nascere. Fin dai primi studi su una determinata molecola, ad esempio, anche grazie a sistemi informatici è possibile vedere se quel composto chimico potrà creare danni ad alcune cellule, ad esempio del fegato o di un altro organo. E poi esiste la farmacovigilanza, che oggi non è più solo passiva, cioè un comportamento di attesa di un riscontro, ma anche attiva: pazienti vengono seguiti e monitorati e, non appena si coglie un effetto indesiderato, il medico lo può segnalare immediatamente.