Influenza K e non solo, perché il virus è un “maestro di metamorfosi”: come affrontare le varianti

Quali sono le Regioni più colpite dall'influenza K e perché preoccupa questo virus: come proteggersi e come capire il modo in cui si formano le varianti

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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Gli ultimi dati sull’epidemie influenzale dicono che nella settimana tra l’1 e il 7 dicembre sono stati 695mila gli italiani colpiti da infezioni respiratorie acute, circa 100mila in più rispetto alla settimana precedente. E, stando a quanto riporta la banca dati sui casi di infezioni respiratorie acute registrati dalla sorveglianza Respivirnet, attualmente l’incidenza settimanale è di 12,4 casi ogni mille soggetti, ma con casi ben più frequenti tra i bambini.

Tra le regioni più colpite Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Sardegna. Come detto, a crescere tra i diversi virus sono soprattutto quelli dell’influenza, anche in considerazione della diffusione del nuovo ceppo, chiamato K, frutto di una variante del virus A-H3/N2. Proprio questo ceppo, peraltro, sarebbe responsabile del prolungamento della stagione nell’emisfero Sud e quindi preoccupa. Ma come mai il virus influenzale varia così di frequente? E come avvengono queste mutazioni?

Come sono fatti i virus

I virus influenzali sono altamente contagiosi e presentano alcune caratteristiche che li rendono del tutto diversi dai loro “simili”. Fanno parte della famiglia Orthomyxoviridae, genere orthomyxovirus.

Hanno la forma di una sfera, più o meno simile ad un pallone da calcio pur se di dimensioni infinitesime rispetto ad esso, siamo nell’ordine degli 80-120 nanometri di diametro. Sulla loro superficie esterna appaiono “spinosi”, perché presentano alcune protuberanze sottili chiamate in termine scientifico “spikes”.

Queste strutture sono fondamentali per la risposta dell’organismo al virus, per l’attività dei farmaci e per la messa a punto dei vaccini. Su queste protuberanze si trovano infatti i cosiddetti antigeni di superficie, ovvero le emoagglutinine (contraddistinte dalla sigla H) e le neuraminidasi (contrassegnate con la lettera N). Questi due elementi sono fondamentali per la definizione del sottotipo di virus: infatti per ogni ceppo influenzale, si usa una lettera che caratterizza in termini generali la “famiglia” virale in base agli antigeni interni (A, B e C); per il tipo A, le due sigle H e N, seguite da un numero contraddistinguono specificamente gli antigeni propri del singolo ceppo. Non vi è invece alcun sottotipo per i virus B e C.

Ovviamente la complessa struttura del virus non è limitata alla sua parte esterna. Al suo interno è infatti presente il patrimonio genetico virale, sotto forma di acido ribonucleico (RNA). Questo è “costruito” come un vero e proprio mosaico che comprende diversi frammenti distinti per i virus di tipo A e B, e meno per il tipo C. A, B e C, come detto, non sono altro che le sigle che individuano le caratteristiche degli antigeni interni del virus.

I virus di tipo B e C hanno come unico serbatoio l’essere umano, mentre quelli di tipo A possono infettare diverse specie animali: ad esempio i suini, gli equini, gli uccelli e il pollame oltre alle anatre. Addirittura questi virus possono infettare anche i mammiferi marini.

Come si classificano i virus dell’influenza

Quando si classificano i virus influenzali, quindi, inizialmente si propone la lettera dell’alfabeto che caratterizza gli antigeni interni, in seguito per quelli di tipo A si inseriscono le lettere H e N. In termini generali, sono conosciute per il virus influenzale di tipo A, diverse emagglutinine (H) e neuraminidasi (N). Poiché i due antigeni possono associarsi casualmente fra loro è potenzialmente possibile un grande numero di combinazioni.

Ad oggi i sottotipi A che associati con la malattia umana sono H1N1, H2N2 e H3N2, pur se esisterebbe la rara eventualità che altri sottotipi possano determinare patologia nell’uomo. Per capire bene cosa significano le sigle che leggiamo ogni giorno nella stagione invernale, quindi, occorre ricordare questo ordine: tipo, specie dal quale il virus è stato isolato (questo dato è omesso per i ceppi isolati dall’uomo) località dell’isolamento, numero assegnato dal laboratorio, anno di isolamento. Nel caso del Virus A si aggiunge il sottotipo.

Perché e come cambiano

A definire i virus influenzali “maestri di metamorfosi” è stato un ricercatore, De Jo, partendo dall’osservazione che ciclicamente questi ceppi vanno incontro a modificazioni più o meno importanti del loro patrimonio genetico.

Questi mutamenti possono risultare minimi, ed è quello che avviene ogni anno in occasione dell’influenza stagionale per cui le popolazioni a maggior rischio debbono vaccinarsi regolarmente, oppure possono verificarsi cambiamenti che mutano profondamente la struttura del virus stesso, rendendolo del tutto “nuovo” e irriconoscibile per il sistema immunitario umano.

Tecnicamente gli esperti definiscono queste modalità di cambiamento “drift antigenico” o “shift antigenico”.

Il primo, o variazione minore, è il risultato di minime mutazioni che si verificano naturalmente durante la replicazione virale in tutti i geni ed in particolare in quelli dell’emagglutinina e della neuraminidasi. Ovviamente il rischio di mutazioni è tanto maggiore quanto più elevato è il numero di individui ospiti in cui il virus si riproduce.

Per questo i virus dell’influenza umana, che ogni inverno colpisce milioni di persone nel mondo, sono particolarmente portati ad andare incontro a queste modificazioni. Il fenomeno è legato alla necessità del virus di “aggiornarsi” sotto il profilo genetico per “sopravvivere”: quindi progressivamente un ceppo che ha circolato ed ha colpito moltissimi individui o comunque si è trovato la strada “sbarrata” da un vaccino tende a modificarsi, seppur di poco. La continua evoluzione dei virus umani tipo A e B rende necessario l’aggiornamento annuale dei vaccini stagionali.

Cosa succede nelle mutazioni più significative

Ben più serio è lo shift antigenico o variazione maggiore. Questo fenomeno si verifica in seguito al riassortimento del materiale genetico di due diversi virus, che infettano la stessa cellula. Da questa “combinazione” di patrimoni genetici virali può nascere un virus del tutto nuovo rispetto ai precedenti.

Il riassortimento può avvenire fra due virus della stessa specie o di diversa specie. Ad esempio in occasione della comparsa del virus AH1N2 c’è stato un riassortimento avvenuto nell’uomo dei virus umani AH3N2 e AH1N1. Qualcosa di simile può avvenire anche tra virus di specie diverse.

In questo caso il materiale genetico virale si modifica attraverso una “mescolanza” tra virus aviari ed umani durante una coinfezione con entrambi i ceppi in un essere umano o in un altro animale.

Il riassortimento genetico che si verifica in questo caso può dar luogo ad un virus altamente trasmissibile che può dare immediatamente origine ad un gran numero di casi di infezione negli esseri umani. Diversa è la cosiddetta mutazione adattativa. Si tratta di un processo progressivo e più lento, che prevede che il virus si adatti nel tempo alle cellule umane infettando l’uomo. Questa mutazione si esprime in un primo tempo in un numero limitato di casi umani, con un aumento della capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.