Epilessia, quando ha senso l’impianto di elettrodi nei bambini

L'impianto di elettrodi intracerebrali è la nuova tecnica efficace per chi soffre di epilessia focale e non reagisce alla terapia farmacologica

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Ci sono casi in cui i farmaci non sono sufficienti per tenere sotto controllo l’epilessia nei bambini. Per questo si punta anche su altre strade per controllare le crisi, come quella che recentemente ha visto protagonisti gli esperti dell’IRCCS Giannina Gaslini di Genova. Presso l’istituto è stata recentemente implementata una nuova tecnica nell’ambito della chirurgia dell’epilessia, ovvero tutti quegli interventi volti a migliorare le condizioni di pazienti che soffrono di crisi epilettiche “focali” (per cui si ipotizza una localizzata regione cerebrale d’origine) poco o per nulla sensibili alla terapia medica.

In questo senso, come del resto già accade, si può puntare in casi selezionati su un impianto di elettrodi intracerebrali secondo la metodologia stereotassica (Stereo-EEG). Nel caso del Gaslini, il primo intervento è stato effettuato su un bambino di nove anni con epilessia focale farmaco-resistente.

Come funziona la tecnica

La Stereo-EEG è una tecnica particolarmente complessa di diagnosi di localizzazione della cosiddetta zona epilettogena, ovvero l’area cerebrale di insorgenza degli episodi critici. Consiste nell’introdurre elettrodi attraverso la teca cranica, nelle strutture cerebrali identificate come potenziali aree di origine di crisi focali.

A differenza di tecniche non-invasive ma meno accurate, permette di registrare le modificazioni dell’attività elettrica cerebrale direttamente alla fonte, rendendosi indispensabile in tutti quei profili in cui la localizzazione risulta complessa. L’intervento permette dunque di fare la differenza nell’efficacia della terapia a cui verrà sottoposto il paziente, ottenendo indicazioni precise anche in quei casi in cui altri metodi non hanno prodotto risultati.

Cosa succede dopo

“La procedura di impianto è “solo” la prima tappa di un’esplorazione Stereo-EEG – commenta Stefano Francione, neurologo della U.O.C. Neuropsichiatria dell’IRCCS Gaslini – Una volta effettuato l‘impianto il paziente viene svegliato ed inizia la fase di monitoraggio clinico e neurofisiologico, che si può protrarre anche per alcuni giorni.

Gli elettrodi vengono collegati a un elettroencefalografo, così da avere una registrazione diretta dell’attività dell’area e individuare il problema facilmente. Grazie all’impianto intracerebrale è inoltre possibile somministrare piccole quantità di corrente elettrica in maniera estremamente specifica e limitata, in modo da studiare sia le possibili risposte fisiologiche che patologiche.

Le stimolazioni elettriche intracerebrali sono di fondamentale importanza anche per stilare un adeguato rapporto rischi/benefici di un possibile intervento chirurgico terapeutico, sia nel caso di resezione cerebrale che di termo-ablazione laser”.  L’intervento è stato svolto da un’equipe di neurochirughi, neurofisiologi, neuropsichiatri infantili, neurologi, neuroradiologi, tecnici di neurofisiopatologia, neurorianimatori, infermieri e anestesisti perché l’impianto necessita di uno studio angiografico e di Risonanza Magnetica cerebrale estremamente accurato, di una ricostruzione del cervello dettagliata e dell’impiego della robotica di precisione.

Quando ha senso l’intervento

“L’intervento estremamente complesso risulta fondamentale con pazienti affetti da epilessia focale che non reagiscono alla terapia farmacologica, in quanto permette di ottenere indicazioni precise per la prosecuzione dell’iter terapeutico altrimenti non individuabili – spiega Lino Nobili, responsabile U.O.C. Neuropsichiatria dell’IRCCS Gaslini”.

“Grazie all’innovativo impianto, siamo riusciti a registrare l’origine delle crisi e così finalmente a guarire il bambino – aggiunge Gianluca Piatelli, responsabile della U.O.C. Neurochirurgia dell’Istituto pediatrico. In diversi casi gli elettrodi vengono impiegati direttamente al fine di consentire la “coagulazione” di piccole porzioni di tessuto cerebrale, realizzando lesioni limitate e molto precise che possono portare già esse stesse alla soppressione degli episodi critici. Con questa metodologia si è potuto intervenire immediatamente sul paziente che è già stato dimesso”.