Di ricerca c’è bisogno per dare la spallata finale all’epilessia che solo in Italia interessa più di mezzo milione di persone e con lo stigma che a volte si lega alla scarsa conoscenza della malattia.
Per questo si celebrare l’International Epilepsy Day, promosso dalla Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE) che per il 10 febbraio 2020 lancia il claim “La solidarietà si propaga. #liberalaricerca”, mentre, a partire dal Colosseo, molti monumenti in tutto il Paese si colorano di viola.
Come nasce la crisi epilettica
La crisi epilettica è legata fondamentalmente ad un eccesso di attività elettrica di un determinato gruppo di cellule cerebrali. Queste in pratica si “liberano” dal controllo generale e tendono a inviare stimoli elettrici alterati, che si ripercuotono sul corpo nella zona che viene normalmente “governata” da quei neuroni.
La crisi può durare pochi secondi o alcuni minuti e poi termina autonomamente non appena la situazione elettrica cerebrale diventa di nuovo normale. Gli impulsi elettrici che assicurano il corretto passaggio del segnale tra le cellule cerebrali e in caso di crisi epilettica si alterano nascono soprattutto nell’encefalo.
Questo è diviso in due parti, che i medici chiamano emisferi, e rappresenta la struttura operativa centrale del nostro sistema nervoso. Ad esso infatti arrivano tutte le informazioni (ad esempio gli stimoli dolorifici, quanto vediamo e sentiamo) e da esso partono gli ordini di risposta. I due emisferi non lavorano autonomamente. Infatti sono collegati tra loro da un serie di “ponti” nervosi che permettono il costante passaggio delle comunicazioni da una zona all’altra.
Gli emisferi sono a loro volta divisi in quattro porzioni, i lobi: davanti c’è il lobo frontale, lateralmente quello temporale e più in basso il parietale, dietro il lobo occipitale. Ad ognuno di essi è più specificamente delegata una particolare funzione, per cui in base alla sede in cui si trovano le cellule che rilasciano le scariche elettriche anomale si possono avere sintomi diversi. A volte ci sono movimenti inconsulti di braccia e gambe, in altri casi si respira a fatica, in altri ancora si hanno difficoltà a parlare.
In alcuni casi, infine, l’epilessia non è solamente caratterizzata da una sola tipologia di crisi, ma assume un quadro clinico tipico. Per cui esistono vere e proprie “sindromi” specifiche come l’epilessia del lobo temporale, l’epilessia rolandica, le epilessie miocloniche dell’infanzia e dell’età giovanile, l’epilessia con assenze, la sindrome di West e la sindrome di Lennox-Gastaut.
A volte la crisi è solo parziale
Non sempre una crisi epilettica interessa tutto il cervello. In questo caso si tratta di crisi “parziali”, che riguarda solo una zona dell’encefalo e quindi va ad interessare solamente le funzioni del corpo che questa controlla o creare una sorta di “distacco” con l’ambiente circostante.
Si tratta di forme localizzate, che possono però risultare estremamente preoccupanti per chi le osserva soprattutto quando si perdono funzioni fondamentali, come la vista o il movimento del braccio. Le crisi possono essere anche prolungate, e mantenersi attive per dieci minuti o più.
Quando è presente una temporanea perdita della coscienza chi è colpito dall’attacco, quasi sempre un bambino, può anche non avere segni particolarmente intensi. E accade spesso che si compiano automatismi manuali, come ad esempio mettere a posto i vestiti in maniera quasi meccanica, oppure automatismi motori, con piccole passeggiate o addirittura corse senza una meta apparente.
A volte, infine, la crisi è preceduta da una serie di “segnali d’allarme” come dolori di stomaco oppure visioni paurose che attanagliano il bambino. In questi casi si parla di crisi parziali precedute da aura. Alla fine dell’attacco il bambino può non ricordare nulla se c’è stata perdita di coscienza oppure avere “seguito” quanto è avvenuto e quindi essere in grado di spiegare le sue sensazioni.