Arriva la settimana corta in Italia e nel pubblico. È l’inizio di una rivoluzione?

Arriva per la prima volta, e nel pubblico, la settimana lavorativa di 4 giorni in Italia. L'esperimento, però, è ancora per pochi

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Ha fatto il giro del web, incuriosendo ed entusiasmando, la notizia di SACE che ha scelto di introdurre la settimana lavorativa di 4 giorni. È la prima volta, infatti, che una società controllata dallo Stato, e più precisamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si apre a quella che sembra una rivoluzione doverosa del sistema lavoro.

Rivoluzione, però, non è. Soprattutto se consideriamo che la settimana lavorativa di 4 giorni è già realtà in molti Paesi europei, e non solo. La pioniera fu l’Islanda, che nel lontano 2015 decise di introdurre questa modalità di lavoro per testarne l’efficacia. L’esperimento restituì risultati entusiasmanti: meno stress e maggior produttività da parte dei dipendenti.

Nuova Zelanda, Gran Bretagna e poi Belgio, tantissimi Paesi hanno seguito l’esperimento islandese traendone gli stessi vantaggi. In Italia, invece, sono state le aziende private a occuparsi del benessere dei lavoratori sperimentando nuovi benefit, flessibilità e orari ridotti, almeno fino a questo momento.

La situazione in Italia

Se fino a qualche mese fa era stata prerogativa esclusiva dei privati abbracciare quel nuovo modo di lavorare più sostenibile, le cose sembrano destinate a cambiare, adesso, con la notizia che riguarda la SACE e i suoi dipendenti. È la prima volta, infatti, che la settimana corta in Italia arriva nel settore pubblico.

Un primato, questo, che potrebbe finalmente cambiare le cose e che permetterebbe all’Italia di sperimentare tutti quei benefici che altri Paesi hanno già confermato.

Come abbiamo anticipato, non si tratta di una novità in senso assoluto. Alcune realtà Made in Italy, infatti, in questi anni hanno abbracciato il cambiamento con lo scopo di migliorare il welfare aziendale e la vita stessa dei propri dipendenti.

L’esempio più recente è quello di Intesa San Paolo che, lo scorso anno, ha introdotto la possibilità di lavorare per quattro giorni a settimana, suddivisi in nove ore. Non solo: ha concesso ai dipendenti l’opportunità di lavorare in smart working per quattro mesi all’anno.

Così ha fatto anche Luxottica, leader globale nella produzione e nel commercio degli occhiali, che ha avviato l’esperimento coinvolgendo circa 20.000 dipendenti su tutto il territorio italiano e concedendo agli stessi 20 settimane di lavoro da 4 giorni a parità di stipendio.

Certo è che mai, fino a questo momento, il dibattito sulla settimana corta era stato portato nel pubblico come invece è successo con la SACE.

Settimana corta in Italia nel settore pubblico: cosa succede adesso?

Come abbiamo anticipato, con la sperimentazione della SACE si apre una nuova era. Ma cosa cambierà, davvero, per i lavoratori italiani? Questo non possiamo ancora saperlo, anche se l’introduzione della settimana corta nel pubblico potrebbe davvero diventare esemplare per molte realtà.

E considerando che il 55% degli italiani è disposto a guadagnare meno per avere un giorno libero in più, secondo un’indagine condotta da Assimir nel 2023, questo sembra un cambiamento doveroso.

Intanto toccherà alla SACE essere la pioniera di questa rivoluzione Made in Italy. I dipendenti della società, infatti, avranno la possibilità di lavorare 36 ore a settimana distribuiti su quattro giorni. Potranno, inoltre, scegliere di lavorare in smart working senza limiti.

I dati raccolti dalla sperimentazione, poi, saranno inoltrati all’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano che si occuperà di analizzare l’efficacia e l’impatto di questo nuovo modo di lavorare.