Perché la morte dell’orsa Amarena non può lasciarci indifferenti

L'uccisione dell'orsa Amarena, simbolo d'Abruzzo, è il drammatico specchio di una società che non è ancora pronta ad amare e difendere la natura

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Qualche giorno fa, tra i social più popolari del momento, un video dalla grande tenerezza diventava virale incantando tutti quanti. Il filmato ritraeva Amarena, una meravigliosa orsa marsicana che viveva nel Parco Nazionale d’Abruzzo e che aveva deciso di fare una passeggiata tra le strade del paese di San Sebastiano.

Era apparsa all’improvviso da un vicolo e tra lo sgomento e l’ammirazione di tutti i cittadini era stata immortalata in quegli attimi di immensa bellezza. Ha passeggiato lì, davanti alle persone, e a loro si è avvicinata per curiosità. Non era sola, ma ha camminato in compagnia dei suoi cuccioli prima di raggiungere la sua casa nel bosco.

Era bellissima Amarena, e lo era anche quel messaggio di speranza della quale, inconsapevolmente, l’animale si era fatto simbolo. Le fotografie e i video di quella inedita e sorprendente passeggiata, che avevano fatto il pieno di condivisioni e commenti, parlavano di una fiducia ritrovata, quella nella convivenza tra uomo e natura dopo i fatti che hanno coinvolto l’orsa Jj4.

Ma tutto è precipitato nel giro di pochi giorni e con un epilogo inaspettato e drammatico. All’alba del 31 agosto la speranza era già diventata un ricordo: il corpo di Amarena è stato ritrovato senza vita nella zona periferica di San Benedetto dei Marsi. A ucciderla è stato l’uomo.

Chi era Amarena, l’orsa che viveva tra gli uomini

Oggi tutti parlano di Amarena. Perché quello che è successo non si può cancellare e deve farci riflettere, tutti. Deve farci ripensare al modo in cui trattiamo gli animali, a come troppo spesso dimentichiamo di rispettare la natura. A come ci sentiamo noi quando crediamo di essere i padroni di questo mondo, quando in realtà ne siamo solo ospiti, e spesso tutt’altro che gentili. Amarena, invece, era gentile. Era un’orsa buona che aveva imparato a stare tra gli uomini, che aveva dimostrato che la specie umana e la fauna selvatica possono coesistere.

L’animale, che aveva fatto del Parco Nazionale d’Abruzzo la sua casa, faceva parte della popolazione di orsi marsicani che vivono nel territorio dell’Appennino Centrale. Tanti i dubbi sollevati nell’ultimo periodo sulla presenza di questi esemplari che vivono a pochi chilometri dall’uomo, soprattutto dopo i fatti che hanno coinvolto gli orsi del Trentino che fanno parte del progetto di reintroduzione della specie nella regione.

Eppure mai, prima di questo momento, gli esemplari del Parco Nazionale d’Abruzzo avevano spaventato gli abitanti dei comuni circostanti. Le istruzioni, per gestire la loro presenza, erano chiare: avvisare le Guardie del Parco o i Carabinieri Forestali in caso di avvistamento nei pressi di proprietà o centri abitati.

Tutto funzionava bene, e a confermarlo non era solo l’assenza di eventuali notizie di cronaca ma anche e soprattutto gli studi condotti dagli esperti del settore. Secondo una ricerca pubblicata dal Journal for Nature Conservation, e condotta dall’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e l’Istituto spagnolo di studi sociali avanzati, è stato dimostrato che la convivenza tra le due specie è possibile. È reale.

“I tempi sono maturi per promuovere un senso di responsabilità collettiva nei confronti della specie” – ha dichiarato Paolo Ciucci della Sapienza, coordinatore dello studio  – “L’intera comunità deve poter essere coinvolta nella gestione e condividere l’orgoglio e la soddisfazione di una conservazione di successo di una specie localmente considerata di elevato valore”. Eppure per Amarena non è stato così.

La paura dell’orso

Arriviamo adesso al 31 agosto, a quel tragico epilogo che ha sconvolto tutti a pochi giorni di distanza dalla diffusione del video che ritraeva Amarena e i suoi cuccioli passeggiare in un centro abitato. Quella sera, nella zona periferica di San Benedetto dei Marsi, un uomo di 56 anni ha sparato all’orsa, uccidendola. Dinamiche e responsabilità sono ancora al vaglio degli inquirenti, mentre l’uomo è indagato dalla Procura di Avezzano, ma quello che è accaduto non ha lasciato indifferente nessuno.

Tutti si chiedono perché. Amarena non è mai stata considerata un pericolo né dalla comunità, né tantomeno dagli esperti di settore. Eppure viene da pensare, o forse da sperare, che quel colpo sia esploso solo ed esclusivamente per una paura alimentata dalla non conoscenza, dalla mancata educazione, dalle conseguenze scatenate da “Una stagione di odio e di paura ingiustificata contro i grandi carnivori che attraversa incredibilmente il Paese da nord a sud”, come ha dichiarato in una nota Carla Rocchi, presidente nazionale dell’Enpa.

Forse non aveva paura per la sua incolumità, il 56enne di San Benedetto dei Marsi. Forse, come ha sostenuto qualcuno era più preoccupato di salvare le galline dall’orsa. Forse avremmo presto una risposta, ma quella, semmai, sarà utile alla giustizia per fare il suo corso. Quello che resta a noi, invece, è un episodio drammatico che lascia un segno che non può essere ignorato o cancellato. Che non può e non deve diventare un’attenuante per perdere la speranza.

La speranza non può finire

La morte di Amarena è inaspettata, è tragica. È ingiusta. “L’orsa era un’icona di pacifica convivenza tra uomo-animale. Un simbolo virtuoso dell’Abruzzo” – ha dichiarato Walter Caporale, Presidente degli Animalisti Italiani – “La sua morte è una perdita inestimabile per la biodiversità e una ferita profonda per la comunità”.

Una perdita che ci costringe in qualche modo a ripensare al nostro ruolo e più in generale a tutti quegli scenari legati alla convivenza tra uomo e natura. Perché è vero: l’incontro con un orso può spaventare. Ma dobbiamo ricordarci che loro, e più in generale gli esemplari di fauna selvatica, non sono degli invasori arrivati sulla terra per dannengiarci. Sono esseri viventi che appartengono al mondo, che sono sempre stati qui, anche prima di noi.

Ed è bene ricordare, qualora servisse ancora, che noi uomini non siamo esseri superiori, non siamo le uniche creature viventi che popolano la terra.

Quindi sì, la morte di Amarena sembra quasi una drammatica prospettiva del destino che ci attende, quello che accende i riflettori sull’incapacità che abbiamo di proteggere e difendere una specie animale messa a rischio dall’uomo stesso.  Eppure non è così che deve andare per forza. Dovremmo rifiutarci di pensare che questo è l’unico epilogo possibile e imporci affinché vengano gettate le basi per un rapporto sano, gentile e leale tra la specie umana e l’orso.