La storia di orrore di Natascha Kampusch che non è un film

Rapita all’età di 10 anni, Natascha Kampusch, ha vissuto in una prigione fatta di violenza, abusi e soprusi

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Ci sono storie che non possono essere dimenticate, anche se queste appartengono alle pagine più oscure dell’intera umanità che nessuno dovrebbe leggere e scrivere mai.

Storie che per orrore e ferocia assomigliano a quei film dell’orrore che mai e poi mai faremmo vedere ai nostri bambini. E magari quella di Natascha Kampusch fosse stata una pellicola da poter distruggere e dimenticare. Perché la sua storia è tragicamente reale, e per questo merita di non essere dimenticata.

Rapita da bambina, Natascha ha dovuto fare i conti, nel peggiore dei modi, con tutta la brutalità che appartiene all’essere umano, e che si è trasformata in anni di prigionia, di violenze e di abusi che hanno scosso il mondo intero. Ripercorriamo la sua storia.

Natascha Kampusch

Oggi Natascha Kampusch è una scrittrice. È una donna che è tornata alla vita dopo aver attraversato l’inferno, dopo esserne stata prigioniera per otto lunghissimi anni.

La sua storia non si può dimenticare. Non possono farlo gli amici e i familiari, non possiamo farlo noi che siamo stati solo spettatori della cattiveria dell’essere umano. E non potrà farlo lei, nemmeno ora che quella vicenda è solo un lontano ricordo che vive e sopravvive nelle ferite che gli ha lasciato nell’anima.

Nata a Vienna il 17 febbraio del 1988, Natascha Kampusch cresce nella capitale dell’Austria insieme a sua madre, e come tutti i bambini, alterna le giornate tra lo studio, i giochi e la spensieratezza che appartiene alla sua età. Ma tutto è destinato a cambiare nel 1998, quando a distanza di meno di un mese dal compimento del suo decimo compleanno, viene rapita. Segregata per otto anni in una prigione, diventa vittima di abusi, violenze e soprusi da parte di Wolfgang Přiklopil.

2 marzo 1998: il rapimento

È un giorno di fine inverno, quel che il calendario segna come 2 marzo del 1998, e come tutte le mattine Natascha Kampusch esce di casa per raggiungere la scuola. Questa volta, però, non è accompagnata da nessuno. Questa volta è sola, o almeno così crede. Dietro di lei, infatti, c’è un uomo di 30 anni disoccupato che la sta seguendo, il suo nome è Wolfgang Přiklopil e da lì a pochi istanti diventerà il suo aguzzino.

Natascha se ne accorge. Si rende conto che c’è qualcuno su un furgone bianco che la sta osservando insistentemente. Prova a velocizzare il passo, si fa coraggio, si convince che non c’è niente di cui avere paura. Ma si sbaglia. Quell’uomo è lì per lei, disposto a tutto per compiacere la sua follia, per strappare Natascha dalla vita e dalla spensieratezza che si merita.

Stavo camminando verso la scuola, vidi quel furgone bianco, e quell’uomo. Ebbi una paura irrazionale, ricordo la pelle d’oca. Ma mi dicevo tra me: “Niente paura, niente paura”. Quante volte mi ero vergognata della mia insicurezza: avevo dieci anni, vedevo gli altri bambini più indipendenti. Ero piccola, in quell’istante mi sentii sola, minuscola, impreparata. Ebbi l’impulso di cambiare lato della strada, non lo feci. Poi i miei occhi incontrarono quelli di quell’uomo, erano azzurri, aveva i capelli lunghi, sembrava un hippy degli anni settanta. Pensai che lui sembrava quasi più debole di me, più insicuro. Mi passò la paura. Ma proprio quando stavo per superarlo lui mi prese, mi lanciò nel furgone. Non so se gridai, se mi difesi. Non lo so, non lo ricordo (Gli occhi di Natascha Kampusch – Gente, 9 maggio 2011).

La prigionia e l’inferno

Natascha Kampusch diventa la prigioniera di Wolfgang Přiklopil. Le ore che seguono il rapimento si trasformano in giorni, mesi e anni. E la speranza che quell’incubo finisca, per quella bambina costretta a crescere tra le violenze e gli abusi, lascia spazio alla rassegnazione.

Lui la tratta come una schiava. Decide quando e cosa farle mangiare, come e se può dormire. Se deve portare i capelli lunghi e corti. È ancora lui a decidere come quella bambina può e deve soddisfare i suoi bisogni, che presto diventano anche sessuali. Cambia persino il suo nome, come lei stessa ha raccontato dopo essere riuscita a fuggire, in Bibiana. In quel piccolo bunker di appena tre metri situato sotto il garage di una casa di campagna, senza luce né finestre, Natascha Kampusch perde completamente il suo diritto alla vita. Una vita che Wolfgang Přiklopi crede di poter controllare, comandare e manipolare per otto lunghi anni.

Ma c’è una cosa su cui l’uomo proprio non può niente, ed è quella piccola scintilla di speranza che, nonostante tutto, Natascha non ha mai perso. In quei pochi momenti di solitudine, che sono suoi e di nessun altro, la ragazza legge e ascolta la radio. Si guarda i lividi addosso e si convince che c’è ancora una possibilità per uscire da quell’inferno.

La fuga e il ritorno alla vita

Quel giorno che Natascha aveva immaginato così a lungo arriva per caso. Succede proprio quando Wolfgang Přiklopil, convinto di averla in pugno, decide di concederle qualche libertà, come quella di uscire in giardino per farle lavare la sua automobile. Del resto lei è la sua schiava.

Sotto la luce del sole, Natascha Kampusch sente il profumo di quella libertà che gli è stata privata per troppo tempo. Přiklopil si allontana per rispondere al telefono ed è in quel momento che, senza un chiaro piano di fuga in mente, decide di affidarsi al suo istinto e di scappare.

Dopo pochi metri incontra un passante: è la sua salvezza. “Sono Natascha Kampusch”, dice tutto d’un fiato e nel momento stesso in cui pronuncia il suo nome, mette la parola fine a quell’incubo. Wolfgang Přiklopil prova a inseguirla, ma quando capisce che ha perso il controllo sulla ragazza raggiunge la stazione ferroviaria e si suicida.

Natascha ce l’ha fatta. L’uscita da quell’inferno coincide con la sua rinascita. Può finalmente dedicarsi a tutte le cose alle quali è stata costretta a rinunciare. Lancia una linea di gioielli e si occupa di beneficienza. Diventa anche un personaggio pubblico, lo fa perché sente il dovere di raccontare la sua esperienza affinché nessun’altra bambina si ritrovi mai ad affrontare quello stesso incubo.

La sua storia, quella che le ha lasciato i lividi nell’anima, è diventata un libro che porta la sua firma. In 3096 giorni Natascha racconta i lunghi anni di prigionia, ma anche quella grandissima forza di volontà che ha fatto sua per sopravvivere, per tornare a vivere. Dal libro è stato tratto anche un film, dall’omonimo nome, che è stato distribuito nelle sale cinematografiche in Austria e in Germania.