La storia di Elsa, la bambina dimenticata dal mondo, salvata da eroi

Fin dalla nascita è stata abbandonata a se stessa. E se miracolosamente non è morta, lo si deve alla cura dei fratelli più piccoli

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

La storia di Elsa (nome di fantasia) è una di quelle storie che non vorresti raccontare mai, perché, quello che ha subito nei suoi nove anni di vita, questa bambina, sembra impossibile anche solo da immaginare, e invece, in questo caso, la realtà supera di gran lungo la fantasia, soprattutto perché la trama che la descrive non è quella che ci si aspetta. Non è da film di Walt Disney, ma da film dell’orrore. Perché quello che hanno trovato gli assistenti sociali è da brividi: uno scricciolo con braccia e gambe spezzate, la spina dorsale deformata, incapace di pronunciare anche solo una parola. Le perizie fatte sul suo corpicino parlano di maltrattamenti reiterati nel tempo dai suoi genitori.

Fin dalla nascita Elsa è stata abbandonata a se stessa, invisibile agli occhi del mondo, che per nove anni è stato a guardare. Se non è morta lo si deve alla cura dei fratelli più piccoli, che l’hanno alimentata per tutto questo tempo, nell’unico modo da loro conosciuto: latte e biscotti. Salvandole di fatto almeno la vita. Ma che vita può essere quella di una bambina che non ha mai conosciuto un letto, un gioco, e, soprattutto l’amore del suo papà e della sua mamma? Qual è la colpa di questo essere indifeso che non ha chiesto di essere messo al mondo? Ne parliamo con Luca Trapanese, che insieme a La casa di Matteo, fa parte di una cerchia ristretta, quella degli eroi dei nostri giorni, quelli che davanti ai problemi o alle difficoltà altrui, non si girano dall’altra parte. Quelli che dal giorno in cui Elsa è stata tolta ai suoi genitori, e, di fatto, salvata, se ne stanno prendendo cura, cercando di restituirle tutto quello che la vita le ha tolto: il sorriso, l’amore e la dignità.

Luca come siete venuti a conoscenza del caso di Elsa?
Siamo venuti a conoscenza della situazione di Elsa attraverso i servizi sociali che sono stati contattati attraverso una segnalazione, si sono attivati e presentati a casa della bambina, scoprendo una situazione di totale degrado e abbandono. La piccola veniva maltrattata, con una serie di violenze anche fisiche, infatti le sono state riscontrate fratture scomposte su tutto il corpo, mai curate, in pratica la picchiavano, le spezzavano magari un braccio e la lasciavano in balia di se stessa. È stata allattata, quindi nutrita, solo dai fratelli più piccoli, gli unici che se ne prendevano cura.

Cosa non ha funzionato secondo te nelle istituzioni?
Io credo che non abbia funzionato la rete, perché i servizi sociali sono l’ultima spiaggia, quando c’è un problema se non c’è chi lo evidenzia, la macchina non si può mettere in moto, perché gli assistenti sociali non possono andare loro sponte a bussare alle porte della gente. Non ha funzionato la rete fatta da pediatra, Asl, scuola, famiglia, vicini, perché dobbiamo dire anche questo, che secondo me è importante: non esistono solo le istituzioni, noi siamo una comunità, e come tale, dovremmo agire. Se non ci accorgiamo di quello che accade a quelli che ci abitano davanti, ci comportiamo come un’isola che naviga in un mare, completamente indifferenti agli altri. In questa situazione non ha funzionato nulla.

Perché verteva in quello stato di abbandono e sevizia?
Io credo che sia una questione di ignoranza e solitudine, considera che nel comune dove è nata la bambina, che non è il comune della città di Napoli, non erano presenti gli assistenti sociali, e non lo sono stati per quattro anni, perché nei piccoli centri spesso non sono previsti. Per cui se nasce un bambino disabile io non sono strutturato per capire quella disabilità e per accompagnare la crescita di quel bambino, e se io, come genitore sono ignorante, posso diventare violento, soprattutto se penso che quel bambino sia il “frutto di un errore della natura”, passatemi il termine, non c’è una preparazione, non c’è stato l’affiancamento di uno psicologo, non c’è stato un pediatra che mi ha accompagnato nella crescita. Io penso che tutto questo dolore sia frutto di una grande ignoranza e di una famiglia abbandonata a se stessa, incapace di gestire una situazione per la quale non aveva gli strumenti necessari.

Come sta Elsa adesso?
Elsa sta bene, ha cambiato faccia, noi con La Casa di Matteo abbiamo iniziato fin subito a capire il suo stato di disabilità, perché il problema era anche quello, la valutazione del suo grado di inabilità, perché se fin dalla nascita la bambina è stata abbandonata in uno sgabuzzino, non le è stato insegnato a camminare, a parlare, a masticare, tu diventi disabile, quindi noi non sappiamo quanto è nata in quella condizione e quanto invece purtroppo ci è diventata. Adesso inizieremo una serie di attività proprio per capirlo, il primo mese l’abbiamo tenuta a casa, per accudirla, darle amore, affetto, ed è già cambiata la sua predisposizione all’altro, mentre prima ti avvicinavi e lei si copriva il volto con le mani, adesso lei quando ti vede apre le braccia perché vuole essere abbracciata. Stiamo cercando di darle amore, una bambina che non ha mai ricevuto un bacio o un abbraccio quanto dolore può avere dentro?

Può essere adottata o è impossibile?
Questo ancora non lo sappiamo, quello che sappiamo è che i suoi genitori hanno perso la patria potestà su di lei e sui suoi fratelli, questo è certo, ma non sappiamo se potrà essere adottata, perché c’è da fare una considerazione a monte, non hanno voluto Alba (la figlia di Luca, nata con la sindrome di down e rifiutata per la sua condizione da trenta famiglie, ndr.), e a La casa di Matteo ci sono tanti bambini disabili che potrebbero essere adottati, ma nessuno li vuole, per tanti motivi. Perché la disabilità fa paura, perché è una fatica, perché sei solo, abbandonato, ed è una lotta da quando il bambino nasce, l’autonomia, la scuola, la sessualità, l’indipendenza, il lavoro, da questo punto di vista c’è una grande solitudine, non c’è un vero progetto dello Stato rispetto alla disabilità. Per quanto riguarda Elsa però, prima di trovarle una famiglia, o anche un single, che, forse, in questo caso sarebbe anche più adatto, perché una persona sola non deve condividere la sua scelta con nessun altro, bisogna capire il suo grado di disabilità.

Che cosa possiamo fare per evitare che casi come quello della piccola Elsa non accadano più?
Bisogna parlarne di più, bisogna essere più presenti sul territorio, dobbiamo creare più strumenti per i servizi sociali che si trovano spesso da soli o abbandonati, dobbiamo strutturare un welfare che sia a misura delle famiglie e che sia vicino e che ascolti i loro bisogni e le loro esigenze, mentre oggi c’è una grande fatica, e poi dobbiamo rivedere il nostro senso di comunità, dobbiamo essere più presenti verso l’altro.

Ieri hai scritto sui social una bellissima lettera indirizzata a Giorgia Meloni. Ti ha risposto? la incontrerai?
Giorgia Meloni oggi mi ha risposto sulla sua pagina Facebook e mi ha chiesto di incontrarla, e io sono molto contento, perché io credo che il confronto serva sempre. Io parlo di adozioni ai single a prescindere dall’orientamento sessuale, è importante valutare il valore della genitorialità di quella persona che desidera essere padre o madre e di dare la possibilità anche ai single di diventare famiglia, perché i bambini ci sono, e ognuno di loro è un caso a sé. Ci sono bambini che vanno bene per una famiglia composta da un padre e una madre, e ci sono bambini che potrebbero essere più sereni se cresciuti da un solo uomo o da una sola donna perché hanno un vissuto che ha bisogno di una determinato tipo di famiglia. Perché l’unica cosa che conta alla fine è la felicità del bambino, e l’unica cosa che chiedono tutti è sempre la stessa. L’amore.